Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5752 del 28/11/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 5752 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: ANDREAZZA GASTONE

SENTENZA

sul ricorso proposto da : Viscito Mario, n. a Salerno il 27/07/1979;

avverso la sentenza della Corte di Appello di Salerno in data 02/11/2012;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Gastone Andreazza;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale A. Policastro, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio;
udite le conclusioni dell’Avv. A. Quaranta, in sostituzione dell’avv. M. De Feo, che
chiede l’accoglimento e in subordine l’annullamento senza rinvio;

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 02/11/2012 la Corte d’Appello di Salerno ha confermato la
sentenza del Tribunale di Salerno di condanna di Viscito Mario per il reato di cui
all’art. 6, comma 6, della I. n. 401 del 1989 in relazione all’inottemperanza al
divieto di accesso per sei mesi presso tutti i campi sportivi e all’obbligo di
presentarsi in Questura in occasione degli incontri della Salernitana calcio.

Data Udienza: 28/11/2013

2. Ha proposto ricorso l’imputato lamentando che la sentenza di appello si è
limitata a riprodurre la decisione del Tribunale senza motivare sulle
argomentazioni e censure proposte con l’atto di appello nonché la intervenuta
prescrizione del reato anteriormente alla data della sentenza impugnata.

3. Quanto al primo profilo affrontato in ricorso, ed attinente al fatto che la
sentenza impugnata non avrebbe argomentatamente valutato le doglianze
esposte con l’atto di appello, va ricordato che, secondo il costante indirizzo di
questa Corte, è inammissibile il ricorso per cassazione i cui motivi si limitino a
lamentare l’omessa valutazione, da parte del giudice d’appello, delle censure
articolate con il relativo atto di gravame, rinviando genericamente ad esse,
senza indicarne specificamente, sia pure in modo sommario, il contenuto, al fine
di consentire l’autonoma individuazione delle questioni che si assumono irrisolte
e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimità, dovendo l’atto di ricorso essere
autosufficiente, e cioè contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto
e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica (cfr., da ultimo, Sez. 6, n. 21858
del 19/12/2006, Tagliente e altro, Rv. 236689); nella specie la doglianza è
generica, posto che il ricorrente si appunto è limitato a dolersi della mancata
risposta alle censure avanzate con l’atto di appello sul cui contenuto, però, nulla
viene riportato in ricorso.

4. Sul secondo profilo di ricorso, va premesso che è ammissibile il ricorso per
cassazione dell’imputato avverso la sentenza di condanna emessa in appello, con
cui si contesta l’omessa declaratoria della prescrizione maturatasi prima della
pronuncia dell’impugnata sentenza, ancorché la relativa eccezione non sia stata
dedotta in appello (tra le altre, Sez.4, n. 49817 del 06/11/2012, Cursio ed altri,
Rv. 254092).
Ciò posto, la doglianza è tuttavia infondata atteso che, nonostante la specie
“contravvenzionale” della pena irrogata in concreto dai giudici di merito, il reato
in oggetto è un delitto punito, attualmente e per effetto del d.l. 08/02/2007 n.8,
con la pena della reclusione da uno a tre anni e con la multa da 10.000 euro a
40.000 euro e, al momento del fatto (posto in essere in data 21/01/2007), con
la pena della reclusione da tre a diciotto mesi o con la multa fino ad euro
1.549,00. Solo originariamente, infatti, e sino alle modifiche operate dal d.l. n.
336 del 2001, convertito in legge n. 377 del 2001, il reato consisteva in una
fattispecie contravvenzionale.
2

CONSIDERATO IN DIRITTO

Ne consegue come, sulla base del disposto dell’art. 157 c.p., il termine
prescrizionale, pari ad anni sette e mesi sei per effetto delle interruzioni
intervenute, non sia, a tutt’oggi, ancora decorso.
Per effetto di quanto appena detto, deve tuttavia procedersi d’ufficio alla
correzione, ex art. 619, comma 2, c.p.p., nella sentenza impugnata, della
denominazione della pena irrogata, da indicarsi in quella della reclusione e non

non osta a che si provveda in tal senso, non essendo la possibilità di
rettificazione in oggetto condizionata, a differenza di quanto testualmente
previsto dall’art. 130 c.p.p., alla necessaria ammissibilità dell’impugnazione.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa
delle ammende. Rettifica la pena detentiva inflitta all’imputato nel senso che
debba intendersi “reclusione” e non “arresto”.
Così deciso in Roma, il 28 novembre 2013

Il Con

est.

Il P

idente

già dell’arresto. Va solo precisato che la declaratoria di inammissibilità del ricorso

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