Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5750 del 04/02/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 5750 Anno 2014
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: LANZA LUIGI

SENTENZA
decidendo sul ricorso proposto da AHMETOVIC Keoma, nato a Roma il 3
gennaio 1977, indicato nel Sistema Informativo Schengen come cittadino
della Bosnia Erzegovina, avverso la sentenza 17 dicembre 2013 della Corte
di appello di Milano.
Visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso.
Udita la relazione fatta dal Consigliere Luigi Lanza.
Sentito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore
Generale Mario Fraticelli che ha concluso per annullamento con rinvio della
gravata sentenza, nonché il difensore del ricorrente avv. Mario Fortunato di
Pordenone che ha chiesto l’accoglimento dell’impugnazione.

Data Udienza: 04/02/2014

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RITENUTO IN FATTO
1. Ahmetovic Keoma, ricorre, a mezzo del suo difensore, avverso la
sentenza 17 dicembre 2013 della Corte di appello di Milano, la quale ne ha
disposto la consegna all’Autorità Giudiziaria della Repubblica di Germania, in

a) mandato d’arresto europeo n. 242 AR 38/11 del 19 settembre
2011, fondato sulla sentenza del Tribunale di Colonia del 10 gennaio 2011,
irrevocabile il 18 gennaio 2011 (n. 101 KLs 32/10), che lo ha condannato alla
pena di anni quattro e mesi sei di reclusione (di cui anni tre e mesi otto di
reclusione quale pena residua) “per rapina aggravata, furto di particolare
gravità, commesso professionalmente da una banda, per accordo finalizzato
alla truffa professionale e commesso da una banda, in cinque casi” (artt. 242.
243, 244 lett. a, 249, 250, 263, 22, 23, 25, 30 e 53 c.p. tedesco);

b)

mandato d’arresto europeo n. 422 3s 5383/13 del 17 luglio

2013, fondato sul mandato d’arresto interno della Pretura di Dresda del 9
luglio 2013 (n. 271 Gs 2541/13) e relativo ai reati di “associazione per
delinquere finalizzata a commettere reati di truffa continuata” (artt. 263
commi 1, 2 e 5, 22, 23, 25 comma 2, 30 comma 2 e 53 c.p. tedesco).
2. Dagli atti nella disponibilità della Corte risulta la seguente
scansione cronologica:
a) il 22 ottobre 2013 i Carabinieri del Comando provinciale di Milano
hanno arrestato AHMETOVIC Keoma, nato a Roma il 3 gennaio 1977,
apolide, perché colpito da mandato d’arresto europeo emesso in forza di due
diversi provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria della Repubblica federale
tedesca;
b) il primo provvedimento concerne la sentenza del Tribunale di
Colonia, 10 gennaio 2011, irrevocabile il 18 gennaio 2011, recante
statuizione di condanna alla pena di anni quattro e mesi sei di reclusione (di
cui anni tre e mesi otto di reclusione quale pena residua), per i reati di:
rapina aggravata, furto aggravato e continuato in concorso, associazione per

forza dei seguenti due provvedimenti:

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delinquere finalizzata a commettere reati di truffa aggravata,continuata (artt.
242. 243, 244 lett. a. 249. 250, 263, 22, 23, 25 30 e 53 c.p. tedesco).
c)

l’Ahmetovic è stato ritenuto membro di un’organizzazione

criminale, costituita nel maggio 2009, per creare una permanente fonte di

quali furti o truffe.
d)

il secondo provvedimento riguarda il mandato d’arresto della

Pretura di Dresda n. 271 GS 2541/13 del 9 luglio 2013 in relazione al reato di
associazione per delinquere finalizzata a commettere reati di truffa continuata
(artt. 263 commi 1, 2 e 5, 22, 23, 25 comma 2, e 53 cod. pen. tedesco.
e) il 24 ottobre 2013 è pervenuto il testo del primo mandato d’arresto
europeo n. 242 AR 38/11 del 19 settembre 2011, relativo alla sentenza del
Tribunale di Colonia 10 gennaio 2011, irrevocabile il 18 gennaio 2011 (n. 101
KLs 32/10).
f) all’udienza del 24 ottobre 2013 il ricorrente, identificato, ha negato il
consenso alla consegna, ed il suo arresto è stato convalidato con applicazione
della misura della custodia cautelare in carcere;
g) il solo provvedimento cautelare è stato impugnato per cassazione
ed il relativo ricorso è stato dichiarato inammissibile con sentenza 9 gennaio
2014 di questa sezione n.5573/2014;
h) Il 28 ottobre 2013 (5) è pervenuto il testo del secondo mandato di
arresto europeo n.422. Js 5383/13 del 17 luglio 2013, relativo al mandato di
arresto interno della Pretura di Dresda,
i) il 19 novembre 2013 è pervenuta la motivazione della sentenza del
Tribunale di Colonia 10 gennaio 2011, con la quale Ahmetovic Keoma è stato
condannato alla pena di anni quattro e mesi sei di reclusione “per rapina
aggravata, furto di particolare gravità, commesso professionalmente da una
banda, e per accordo finalizzato alla truffa professionale e commesso da una
banda, in cinque casi”.
I) il condannato è stato considerato componente di una banda che
agiva a livello internazionale, che si era costituita nel maggio del 2009 per

reddito mediante la commissione continuata di reati contro il patrimonio,

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procurarsi una fonte di guadagno di durata e di entità possibilmente “grossa”
con l’esercizio continuato di delitti contro la proprietà e il patrimonio.
m) la tecnica operativa consisteva nel rivolgersi a offerenti-venditori
di immobili, simulando un interesse all’acquisto del bene e chiedendo

scambiare una determinata quantità di denaro, contante di piccola pezzatura,
contro denaro contante di grossa pezzatura, in quanto i membri della banda
progettavano di indurre il senza controprestazione oppure
con l’inganno (ad esempio mostrando banconote false), alla consegna del
denaro portato con sè, oppure di sottrarre al medesimo il denaro durante
un’occasione propizia, od estorcerglielo anche con la forza.
n)

la banda procedeva suddividendosi il lavoro: ad alcuni era

assegnato il reclutamento di vittime potenziali, altri invece dovevano
assicurare la consegna del denaro contante ottenuto, e guidare veicoli
utilizzati per la fuga.
o)

i reati realizzati sono minutamente elencati nei due mandati di

arresto.
3. La Corte di appello (pag.5) ha ritenuto di disporre la consegna di
Ahmetovic all’Autorità della Repubblica di Germania per i fatti indicati nel

primo mandato di arresto europeo del Tribunale di Colonia, considerato
che:
a) i reati a lui contestati costituiscono illecito penale anche nel nostro
ordinamento, trattandosi delle fattispecie di cui agli artt. 416, 628. 640, 56 e
640, 624 e 61 n. 7 cod. pen.;
b) il mandato d’arresto europeo contiene una chiara esposizione dei
fatti, soddisfacendo cosi in maniera quanto mai esaustiva il requisito secondo
cui, pur non occorrendo “un elaborazione dei dati fàttuali”, è necessaria la
specifica indicazione degli stessi, al fine di poter svolgere il giudizio di gravità
indiziaria richiesto dalla norma (cosi Cass. pen. sez. VI, 10 giugno 2009. n.
26698, mass. 244282, nonché Cass. pen. sez. fer. 24 agosto 2010, n. 32381,
mass. 248254).

successivamente, nel corso dei pagamento del prezzo di acquisto, di

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3.1. La corte distrettuale ha ritenuto di dar corso alla richiesta di
consegna, nonostante si tratti di reati commessi in parte anche in Italia,
tenuto conto, da un lato, che non risulta che per essi sia in corso un
procedimento penale nel nostro Paese e, dall’altro, che essi sono oggetto di

consegna di cui all’art. 18 lett. o) legge 69/2005, opera la causa di esclusione
del rifiuto, consistente nella “ipotesi in cui il mandato di arresto europeo
concerna l’esecuzione una sentenza definitiva di condanna emessa da uno
Stato membro dell’Unione europea”.
4. Quanto al secondo mandato di arresto europeo n.422. 3s

5383/13 del 17 luglio 2013, relativo al mandato di «arresto interno» della
Pretura di Dresda, 9 luglio 2013, e concernente i reati di “associazione per
delinquere finalizzata a commettere reati di truffa continuata” (artt. 263
commi 1, 2 e 5, 22, 23, 25 comma 2, 30 comma 2 e 53 c.p. tedesco),
mandato pervenuto il 28 ottobre 2013, anche per questo la corte distrettuale
ha disposto la consegna del ricorrente .
4.1. La motivazione

sul punto ricalca pedissequamente la

giustificazione data in precedenza per il primo mandato (cfr.. 3, a.b).
4.2. la sentenza ha nuovamente spiegato che, nonostante i fatti
oggetto del mandato d’arresto europeo basato sul mandato d’arresto interno
della Pretura di Dresda appaiano commessi anche in Italia, non opera la
causa di rifiuto di cui all’art. 18 lett. p) legge 22 aprile 2005, n. 69, secondo il
quale la consegna non può essere disposta “se il mandato d’arresto europeo
riguarda reati che dalla legge italiana sono considerati reati commessi in tutto
o in parte nel suo territorio” ( si cita in proposito sezione. VI, 45524/2010,r.v.
248717)
4.3. (pag.9) Per la Corte di appello sussistono le condizioni per
applicare l’art. 2 del I Accordo bilaterale Italia Germania, in quanto la
richiesta di consegna emessa dall’Autorità Giudiziaria di Dresda riguarda
anche reati commessi sul territorio tedesco.

una sentenza definitiva di condanna, sicchè, rispetto al caso di rifiuto della

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1. Con un primo motivo di impugnazione viene dedotta inosservanza
ed erronea applicazione della legge in relazione agli artt. 18 lettere o) e p)
L. 69/2005, relativamente all’interpretazione sistematica delle due cause di
rifiuto alla consegna in costanza di un fatto di reato avvenuto in parte in
Italia.
E’ noto che l’art. 18 comma 1 della legge 22 aprile 2005 n.69
(Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro
2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato
d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, in GU
n.98//2005), nel disciplinare i casi di « Rifiuto della consegna », ha
testualmente previsto che ciò avvenga, tra le altre, nelle ipotesi regolate dai
disposti delle lettere “o” e “p” del seguente preciso tenore: “o) se, per lo
stesso fatto che è alla base del mandato d’arresto europeo, nei confronti
della persona ricercata, è in corso un procedimento penale in Italia,
esclusa l’ipotesi in cui il mandato d’arresto europeo concerne l’esecuzione di
una sentenza definitiva di condanna emessa in uno Stato membro
dell’Unione europea”; “p) se il mandato d’arresto europeo riguarda reati che
dalla legge italiana sono considerati reati commessi in tutto o in parte nel
suo territorio, o in luogo assimilato al suo territorio; ovvero reati che sono
stati commessi al di fuori del territorio dello Stato membro di emissione, se
la legge italiana non consente l’azione penale per gli stessi reati commessi al
di fuori del suo territorio”.
Orbene, nella specie, ad avviso del difensore, vi sarebbe stato da
parte della corte distrettuale un uso improprio della giurisprudenza di
questa sezione e della stessa giurisprudenza della corte milanese che aveva
stabilito (sentenza n.28/2013) l’applicabilità dell’art. 18 lettera “p” anche in

CONSIDERATO IN DIRITTO

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ipotesi di mandato di arresto europeo esecutivo di una sentenza di condanna
di paese contraente, dato che il legislatore avrebbe privilegiato le esigenze
della giurisdizione nazionale nella loro espressione spaziale.
2. Con un secondo motivo si lamenta che la Corte di appello abbia

“c.d. preventivo”, emesso dall’A.G. di Dresda, per il reato di associazione a
delinquere finalizzata a commettere reati di truffa continuata, in violazione
della legislazione in materia.
2.1. Sostiene sul punto il ricorrente:
a)

che l’udienza del 24 ottobre 2013, nel corso della quale

l’Ahmetovic non ha prestato il consenso alla consegna, ha avuto come
oggetto l’identificazione e l’acquisizione dell’eventuale consenso alla
consegna, ma soltanto con riferimento al «mandato di arresto europeo
esecutivo», tenuto conto che il mandato di arresto europeo dell’autorità
giudiziaria di Dresda è stato trasmesso solo quattro giorni dopo: da ciò la
deduzione della violazione di ogni diritto di difesa afferente l’obbligatorio
intervento e rappresentanza dell’imputato a norma degli artt. 178 e 179
cod. proc. pen. .;
b) che pertanto la richiesta di consegna del secondo mandato di
arresto europeo è stata accolta senza l’osservanza di tutta la procedura
prevista dalla L. 69/05 ed in particolare degli artt. 10 (inizio del
procedimento), 12 (adempimenti conseguenti all’arresto), 13 (udienza di
convalida);
c)

che il secondo mandato di arresto europeo non può essere

considerato come «una evoluzione o una integrazione del mandato di
arresto europeo di Colonia», basato su una sentenza di condanna.
3. Con un terzo motivo si prospetta violazione dell’art. 606, comma 1,
lettera b) c.p.p. in relazione all’art. 18 lett. p) L. 69/2005, con riferimento
all’interpretazione della causa di rifiuto alla consegna in costanza di un fatto
di reato avvenuto in parte in Italia e a fronte di richiesta fondata su titolo

illlegittimamente disposto la consegna anche con riferimento al mandato

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custodiale provvisorio, equivalente ad un’ordinanza dì custodia cautelare
emessa dall’ordinamento italiano.
4. Nessuno dei tre motivi di ricorso ha fondamento.
La dedotta radicale invalidità della procedura attinente al II mandato
di arresto europeo (mandato interno della Pretura di Dresda) è
manifestamente infondata, avuto riguardo alla scansione degli eventi ed al

a) l’apolide AHMETOVIC, che aveva fornito ai Carabinieri le false
generalità di Tunischi Mihail Catalin, è stato provvisoriamente arrestato il 22
ottobre 2013 in quanto dalla Banca dati risultava colpito dal II mandato di
arresto europeo della Pretura di Dresda;
b) l’ordinanza di convalida in data 24 ottobre 2013 ad ore 14,45 ha
specificamente riguardato entrambi i mandati di arresto europeo, sia quello
processuale della Pretura di Dresda (I), sia quello esecutivo del Tribunale di
Colonia (II);
c) il Presidente della corte distrettuale, nel fissare la data dell’udienza
del 17 dicembre 2013, e nel disporre il deposito dei mandati e della
documentazione di cui all’art. 6 legge 22 aprile 2005 n.69, ha precisato che i
titoli per la consegna erano costituiti dal mandato di arresto europeo in data
19 settembre 2011 (I mandato esecutivo) e in data 17 luglio 2013 (II
mandato processuale).
Da ciò consegue la ritualità della procedura e la regolarità formale e
sostanziale delle contestazioni e del relativo giudizio e l’inammissibilità delle
censure.
4.2. Del pari inammissibili risultano le residue doglianze del I e del
III motivo di ricorso .
4..3. Invero, quanto alla prospettata violazione dell’art. 18, comma
1, lett. p), della legge. 22 aprile 2005, n. 69, deve riconoscersi che, sia nel
mandato di arresto europeo esecutivo che nel provvedimento cautelare,
emessi dall’ Autorità giudiziaria tedesca alcuni fatti contestati devono
considerarsi come commessi, sia pure in parte, nel territorio nazionale, e

tenore degli atti che si sono succeduti, in quanto:

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quindi per essi potrebbe essere integrato il motivo di rifiuto della consegna
contemplato dall’art. 18, comma 1, lett. p), della legge n. 69 del 2005.
Peraltro, pur confermata l’ormai consolidata giurisprudenza di questa
Corte, secondo cui sussiste la causa ostativa alla consegna allorquando
anche una parte sola della condotta si sia verificata nel territorio italiano (tra
le altre, Sez. 6, n. 47133 del 18/12/2007, Lichtenberger, Rv. 238159; Sez. 6,

28/10/2008, Erikci, Rv. 241519; Sez. 6, n. 16115 del 24/04/2012, G., Rv.
252507), fermo restando che la giurisdizione italiana fondata su tale criterio
territoriale deve risultare con certezza, non potendosi ritenere sufficiente la
mera ipotesi che il reato sia stato commesso in tutto o in parte nel territorio
dello Stato (Sez. 6, n. 45669 del 29/12/2010, Lianaj, Rv. 248973), ciò
nonostante il ricorso non può essere accolto.
In proposito vanno testualmente riprese le argomentazioni
puntualmente esposte, in analoghi casi, riguardanti proprio la disposizione di
cui all’art. 18, comma 1, lett. p), della legge. n. 69 del 2005 (cfr. in termini:
sez. 6, 45524/2010, Ahmad e 20281/2013, Vetro).
4.1 Sul tema va infatti evidenziato:
a) che tale disposizione prevede il divieto della consegna “se il
mandato d’arresto europeo riguarda reati che dalla legge italiana sono
considerati reati commessi in tutto o in parte nel suo territorio, o in luogo
assimilato al suo territorio”;
b) che la norma nasce da uno dei motivi facoltativi di rifiuto della
consegna, previsti dalla decisione-quadro del 2002 (art. 4, par. 7), la quale, a
sua volta, si ispira all’art. 7 della Convenzione europea di estradizione, con
cui si è inteso dare preminente rilievo alla giurisdizione territoriale dello Stato
richiesto, risolvendo in favore di quest’ultimo un ipotetico conflitto positivo di
giurisdizione sul medesimo fatto di reato;
c) che l’applicazione dell’art. 18, comma 1, lett. p) cit. va coordinata
con quanto stabilisce l’art. 31 della stessa decisione-quadro del 2002, la
quale ha fatto salvi (senza onere di notifica) gli accordi e le intese bilaterali o

n. 1180 del 07/01/2008, Lichtenberger, Rv. 238228; Sez. 6, n. 40287 del

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multilaterali vigenti al momento della sua adozione «nella misura in cui questi
consentono di approfondire o di andare oltre gli obiettivi di quest’ultima e
contribuiscono a semplificare o agevolare ulteriormente la consegna del
ricercato» e sempre che gli stessi non pregiudichino le relazioni con gli Stati
membri che non sono parti degli stessi;
d) che nei rapporti con la Germania deve ritenersi ancora applicabile

ratificato in Italia con la legge 11 dicembre 1984, preordinato a facilitare tra
le Parti l’applicazione della Convenzione europea di estradizione del 1957, con
il quale è stata limitata l’incidenza del motivo di rifiuto di cui all’art. 7 della
stessa Convenzione, laddove la domanda di consegna riguardi anche altri
reati non soggetti alla giurisdizione dello Stato di rifugio, qualora risulti
opportuno far giudicare tutti i suddetti reati dall’autorità giudiziaria dello
Stato richiedente;
e) che trattasi di disposizione finalizzata alla risoluzione dei frequenti
casi di domande estradizionali per reati “cross-border” o comunque
caratterizzati da transnazionalità, in considerazione della contiguità
territoriale tra i due Paesi, la quale non solo si pone in linea con la “clausola
di salvezza” contenuta nel citato art. 31 della decisione-quadro (in quanto
obiettivamente diretta a facilitare la consegna della persona ricercata,
superando un ostacolo alla cooperazione bilaterale), ma appare anticipare ed
ora anche dare puntuale attuazione ai principi contenuti nella decisionequadro 2009/948/GAI del 30 novembre 2009 sulla prevenzione e la
risoluzione dei conflitti relativi all’esercizio della giurisdizione nei procedimenti
penali;
f) che con tale nuovo strumento, gli Stati membri hanno inteso
concretizzare uno degli obiettivi espressamente previsti dal Trattato
dell’Unione europea (ora Trattato sul funzionamento dell’Unione europea),
ove all’art. 82, comma 1, lett. b), si prevede che le azioni comuni nel settore
della cooperazione giudiziaria in materia penale debbano “prevenire e
risolvere i conflitti di giurisdizione tra gli Stati membri”;

P

part. Il dell’Accordo bilaterale aggiuntivo, stipulato il 24 ottobre 1979 e

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g) che, pertanto, lo scopo della decisione-quadro risulta essere doppio:
da un lato, stabilire un meccanismo di composizione del conflitti di
giurisdizione, qualora già risultino pendenti in due o più Stati membri
“procedimenti paralleli”, ovvero procedimenti penali per gli stessi fatti in cui è
implicata la stessa persona; dall’altro, obbligare gli Stati membri a impedire
prima l’insorgenza di tali situazioni;

obiettivo della decisione-quadro è di evitare procedimenti penali paralleli
superflui, in quanto nello spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia, il
principio di obbligatorietà dell’azione penale, che informa il diritto processuale
in vari Stati membri, deve essere inteso e applicato in modo da ritenerlo
soddisfatto “quando ogni Stato membro garantisce l’azione penale in
relazione ad un determinato reato” (paragrafo n. 12);
i) che in tale cornice, sottesa alla prevenzione e soluzione del conflitti
di giurisdizione, vi è, non è solo l’esigenza di evitare che per la stessa vicenda
vi sia una dispersione di energie processuali dei singoli Stati impegnati in
processi che, in un’ottica di reciproca fiducia, potrebbero essere condotti da
uno solo di essi, ma anche, come ricorda il preambolo (consideranda nn. 3 e
12) della stessa decisione-quadro, la necessità di impedire la violazione del
divieto del “ne bis in idem”, quindi di un principio posto a garanzia
dell’individuo che, significativamente, è stato elevato dall’art. 50 della Carta
di Nizza tra i principi fondamentali dell’Unione europea e che, ora, con
l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, è da ritenere direttamente
applicabile in tutti i sistemi giuridici nazionali, accanto alle Costituzioni.
4.2 Conclusioni queste ulteriormente da ribadirsi nella loro fondatezza:
a) in quanto esse non possono essere invalidate dalle argomentazioni
secondo cui il riferito accordo intercorso tra Italia e Germania è “aggiuntivo”
alla Convenzione Europea di estradizione e inteso a facilitare l’applicazione
solo di quest’ultima, e non si può estendere alla successiva disciplina in
materia di MAE, tenuto conto che proprio dalla citata disposizione di cui
all’art. 31, n. 2, comma primo, contenuta nella decisione quadro

h) che in tal senso, il preambolo, opportunamente, ha chiarito che

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2002/584/GAI del 13 giugno 2002, si ricava lo scopo di mantenere effetto ad
accordi o intese interstatuali previgenti che «consentono di approfondire o di
andare oltre gli obiettivi di quest’ultima [e cioè della stessa decisione-quadro]
e contribuiscono a semplificare o agevolare ulteriormente la consegna del
ricercato;
m) in quanto è del pari irrilevante, perché non di ostacolo al valore e

Germania, la circostanza che tale patto non sia stato oggetto di notificazione
al Consiglio e alla Commissione, con la manifestazione della volontà di
mantenerne l’applicazione, come previsto dal comma quarto del n. 2 dell’art.
31 della decisione-quadro, perché dal mancato rispetto di tale formalità non
consegue alcun effetto di non ultrattività di simili intese;
c) infine, non è neppure rilevante che la legge n. 69 del 2005, di
conformazione del diritto interno alla decisione-quadro sul MAE non contenga
una esplicita previsione circa il mantenimento della efficacia di precedenti
accordi interstatuali, posto che la legge in questione e finalizzata (v. art. 1) a
dare attuazione nell’ordinamento interno alla decisione-quadro, per quanto
specificamente in essa previsto, ma non toglie valore, nè esplicitamente nè
implicitamente, a speciali accordi che con essa non siano incompatibili, tanto
meno a quell’ espressamente fatti salvi dalla decisione-quadro.
5. Tanto premesso, accertato che nella specie può trovare applicazione
l’art. H dell’accordo intercorso tra Italia e Germania, stipulato il 24 ottobre
1979, ratificato in Italia con la legge 11 dicembre 1984 (G.U. 29 gennaio
1985, n. 24, suppl. ord.), ed entrato in vigore il 4 luglio 1985 (G.U. 6 luglio
1985, n. 158), resta da verificare a chi spetti di farne applicazione e, ancora,
quali siano i criteri di “opportunità” in base ai quali può essere stabilita la
consegna di una persona all’a.g. tedesca per fatti soggetti alla giurisdizione
italiana, qualora detta persona, come nella specie, debba essere consegnata
per altri fatti non rientranti nella giurisdizione italiana.
5.1. Quanto al primo aspetto, una volta trasferito il contenuto della
speciale disposizione di tale accordo bilaterale nel nuovo contesto del MAE,

alla perdurante efficacia del precisato accordo aggiuntivo tra Italia e

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disciplinato dalla legge 22 aprile 2005, n. 69, non è discutibile che sia
l’autorità giudiziaria dello Stato di esecuzione, e quindi nella specie, quella
italiana, a dovere esprimere una simile valutazione, in luogo dell’autorità
politica (Ministro della giustizia) cui è rimesso il potere di decidere in merito a
una domanda di estradizione.
5.2. Una simile valutazione spetta all’Autorità giudiziaria, ed è stata

parte del ricorrente.
5.3.. Quanto al secondo aspetto, va considerato:
a)

che fatti ascritti al Keoma Ahmetovic risultano essere stati

commessi con continuità temporale e in accordo con (almeno in parte) le
medesime persone, secondo modalità operative ricorrenti, sicchè
l’accertamento giudiziale non potrebbe prescindere della complessiva
comprensione dei rapporti allacciati dal Keoma, nella realtà associativa;
b) che, mentre il procedimento penale (fatti del II mandato di arresto
europeo) in corso in Germania è in una avanzata fase di indagine, non risulta
che per i fatti che sarebbero stati commessi, almeno in parte, nel territorio
nazionale, sia stata assunta alcuna iniziativa investigativa e tanto meno
giudiziaria, tanto più che nella voicenda sarebbero necessarie indagini anche
sul territorio di altro Stato sulla base di elementi o prove difficilmente o non
più acquisibili, se non a seguito di rogatoria;
e) che, data la natura dei fatti, non risultano essere coinvolti interessi
di persone offese dal reato che potrebbero essere sacrificati da una
trattazione del procedimento in territorio estero.
6. Per concludere: esistono obiettive ragioni di “opportunità”,
apprezzabili in questa sede, che impongono la trattazione di un processo
unitario a carico del consegnando avanti all’Autorità giudiziaria tedesca,
ricorrendo le condizioni per l’applicazione dell’art. H del richiamato accordo
bilaterale intercorso tra l’Italia e la Germania, con declaratoria di
inammissibilità della proposta impugnazione.

esercitata dalla corte distrettuale senza che sul punto vi sia stata censura da

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Alla decisa inammissibilità consegue, ex art. 616 C.P.P., la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma, in
favore della Cassa delle ammende, che si stima equo determinare in €.
1000,00 (mille) Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 22
comma 5 legge n.69 del 2005.
P.Q.M.

delle spese processuali e della somma di €. 1.000,00 in favore della Cassa
delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 22
comma 5 legge n.69 del 2005.
Così deciso in Roma il giorno 4 febbraio 2014
Il consigliere estensore

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento

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