Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5738 del 19/11/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 5738 Anno 2015
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
– POMPEI MATTEO, n. 3/07/1986 ad UMBERTIDE
– FIORUCCI MONICA, n. 9/11/1993 ad UMBERTIDE

avverso l’ordinanza tribunale della libertà di PERUGIA in data 25/07/2014;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. V. D’Ambrosio, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi;
udito, per i ricorrenti, l’Avv. R. Agea, che ha chiesto accogliersi i ricorsi;

Data Udienza: 19/11/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 25/07/2014, depositata in data 29/07/2014, il tribunale
della libertà di PERUGIA confermava l’ordinanza cautelare emessa in data 7
luglio 2014 nei confronti della FIORUCCI in relazione all’imputazione sub 1) – con
conferma della misura dell’obbligo di dimora nel comune di Pietralunga – nonché
l’ordinanza cautelare emessa in data 7 luglio 2014 nei confronti di POMPEI in

cautelare degli arresti domiciliari – annullando, diversamente, la predetta
ordinanza cautelare nei confronti della FIORUCCI, quanto al capo 2), e nei
confronti del POMPEI, quanto ai capi 3), 4), 5), 6) e 7).

2. Hanno proposto separati ricorsi gli indagati a mezzo del difensore fiduciario
cassazionista, impugnando l’ordinanza predetta, deducendo, il POMPEI, quattro
motivi di ricorso e, la FIORUCCI, tre motivi di ricorso, di seguito enunciati nei
limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc.
pen.

2.1. Deduce, il POMPEI, con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. c) ed
e), cod. proc. pen., per violazione e falsa applicazione dell’art. 127 cod. proc.
pen. e correlati vizi motivazionali.
In sintesi, la censura investe l’impugnata ordinanza in quanto il tribunale della
libertà avrebbe erroneamente ritenuto insussistenti le censure relative alla
celebrazione dell’udienza camerale del 25 luglio 2014; in particolare, il tribunale
avrebbe affermato che nel corso di tale udienza il difensore non avrebbe
prodotto alcuna documentazione da cui poter desumere che il Pompei avesse
richiesto l’autorizzazione al GIP di Perugia di allontanarsi dal luogo degli arresti
domiciliari per partecipare alla predetta udienza e che l’autorizzazione non era
stata concessa o che era pervenuta in ritardo o non comunicata all’organo di
polizia giudiziaria delegato al controllo dell’indagato; tali affermazioni sarebbero
frutto di un palese travisamento dei fatti, anzitutto in quanto – pur essendo
rispondente al vero che la difesa non ebbe a produrre documentazione – la
stessa aveva esibito al tribunale sia la richiesta di partecipazione all’udienza
camerale che l’autorizzazione del GIP, sicchè ciò significava che il tribunale del
riesame era a conoscenza o che comunque con un minimo sforzo supplementare
avrebbe potuto affermare il contrario; la motivazione sarebbe poi contraddittoria
in quanto dalla stessa ordinanza emerge che il tribunale avrebbe affermato la
sussistenza della richiesta e dell’autorizzazione, sicchè sarebbe stato necessario,
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relazione alle imputazioni di cui ai capi 1), 2) ed 8 – con conferma della misura

avendo ricevuto gli atti il 20 luglio 2014, o disporre il rinvio dell’ud. 25 luglio
2014 o verificare la sussistenza della richiesta ed autorizzazione; inoltre
contraddittoria sarebbe l’affermazione del tribunale secondo cui il difensore non
avrebbe evidenziato che l’autorizzazione era pervenuta in ritardo o che non era
stata comunicata all’organo di PG delegato al controllo dell’indagato, atteso che
in sede di udienza camerale era stato lo stesso difensore a fare presente il fatto

all’indagato, il quale non era comparso perché impossibilitato a presenziare per
non incorrere nella violazione degli obblighi connessi alla misura; si censura,
ulteriormente, di contraddittorietà l’affermazione del tribunale secondo cui
sarebbe stato onere del difensore di fiducia comunicare prontamente che
l’autorizzazione era stata rilasciata, atteso che non sussiste alcun obbligo per il
difensore in tal senso, anche tenuto conto del fatto che il provvedimento di
autorizzazione rilasciato il 24 luglio 2014, conteneva, tra i destinatari, proprio il
suo assistito, sicchè non vi era alcun obbligo di attivarsi in tal senso da parte del
difensore; ciò, in definitiva, avrebbe determinato la nullità dell’udienza camerale
con conseguente nullità dell’impugnata ordinanza.

2.2. Deduce, il POMPEI, con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. c)
ed e), cod. proc. pen., per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 309, comma
quinto, cod. proc. pen. e correlati vizi motivazionali.
In sintesi, la censura investe l’impugnata ordinanza in quanto il tribunale della
libertà avrebbe erroneamente risolto la questione relativa alla mancata completa
trasmissione degli atti; sul punto, la nota dei carabinieri di Gubbio 17 febbraio
2014 contenuta negli atti inviati ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen. risulterebbe
incompleta in quanto mancante di tutte le pagine pari né essendo possibile
comprendere quanto la stessa si estenda dopo l’ultima pagina trasmessa; l’atto
in questione, secondo il ricorrente, rappresentato da una richiesta tendente ad
ottenere intercettazioni telefoniche, assumerebbe valenza decisiva in ordine alla
violazione del disposto dell’art. 309 cod. proc. pen.; sarebbe quindi illogica,
contraddittoria e mancante la motivazione del tribunale del riesame secondo cui
l’annotazione in questione avrebbe avuto scarsissimo peso investigativo,
mancando l’enunciazione dei criteri per i quali l’atto si connoterebbe in tal senso;
non sarebbe idonea in tal senso, l’affermazione del tribunale secondo cui il PM
avrebbe trasmesso integrale fascicolo, circostanza che secondo il ricorrente non
potrebbe essere desunta sulla base della nota di trasmissione del PM pervenuta
al tribunale il 20 luglio 2014, non essendo dato comprendere se si tratti di copie
o di originali; secondo il ricorrente dalla stessa nota di trasmissione emergerebbe
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che l’autorizzazione era stata concessa ma come non gli risultasse la notifica

trattarsi di copie di atti trasmessi al GIP e non di originali (con ciò smentendosi il
contrario assunto del tribunale della libertà anche per quanto riguarda
l’affermazione secondo cui il medesimo tribunale avrebbe adottato la propria
decisione sulla scorta degli stessi atti trasmessi al GIP quando questi ebbe ad
adottare la misura cautelare nei confronti dell’indagato); l’indagato, dunque, non
avrebbe avuto la possibilità di articolare la propria difesa davanti al GIP ed al

cod. proc. pen.

2.3. Deduce, il POMPEI, con il terzo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. c) ed

e), cod. proc. pen., per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 65, 294 e 302
cod. proc. pen. e correlati vizi motivazionali.
In sintesi, la censura investe l’impugnata ordinanza in quanto il tribunale della
libertà avrebbe erroneamente risolto la questione relativa alla dedotta nullità
dell’interrogatorio dell’indagato nel corso dell’udienza di convalida dell’arresto;
rileva, sul punto, il ricorrente che detta nullità era stata dedotta solo in relazione
agli obblighi derivanti dall’art. 65 cod. proc. pen., vale a dire in relazione alla
necessità di rendere noti di gli elementi di prova a carico e per non aver rivelato
le fonti ove non ne fosse derivato pregiudizio per le indagini; nel corso
dell’udienza del 25 luglio 2014 era stato evidenziato dalla difesa del ricorrente
come nel verbale di interrogatorio del GIP, dopo la locuzione “rendendogli noti i
seguenti elementi di prova e fonti delle medesime” non vi fosse alcuna
illustrazione, ciò costituendo violazione degli obblighi di cui all’art. 65 cod. proc.
pen., con conseguente perdita di efficacia della misura cautelare applicata ed
estinzione ai sensi del combinato disposto degli artt. 294 e 302 cod. proc. pen.,
non rilevata dal tribunale del riesame; sarebbe illogica e contraddittoria la
motivazione del tribunale del riesame che ha ritenuto ininfluente detta
omissione, avendo avuto modo di evidenziare come le affermazioni dell’indagato
medesimo nel corso dell’interrogatorio si sarebbero articolate anche in relazione
alla piena ed effettiva conoscenza degli elementi di prova a suo carico ciò in
quanto, si legge nell’impugnata ordinanza, la difesa sarebbe stata condotta solo
in relazione al cessionario di cui all’episodio del 4 luglio 2014 ma anche in
relazione ad altri pretesi acquirenti di cui al verbale di arresto ed alla richiesta di
convalida; al tribunale, dunque, sarebbe sfuggita la circostanza che le risposte
laconiche dell’indagato non contenevano alcun riferimento agli elementi di prova
a suo carico; ciò sarebbe confermato dal fatto che l’indagato non avrebbe reso
dichiarazioni, fatta eccezione per l’episodio del 4 luglio 2014, sugli altri che non
sarebbe stato in grado di contestare, riferendosi in particolare alle dichiarazioni

tribunale del riesame, con conseguente violazione dell’art. 309, comma quinto,

di tale Lucarini ed ai servizi di o.c.p. ed al contenuto delle intercettazioni
telefoniche; di tali elementi l’indagato avrebbe avuto contezza, attesa la
ristrettezza dei tempi che avevano portato all’udienza di convalida del suo
arresto, solo al momento in cui gli atti vennero trasmessi al tribunale della
libertà, di talchè l’omissione in questione costituirebbe vizio insanabile che
comporta l’annullamento dell’impugnata ordinanza e la conseguente declaratoria

2.4. Deduce, il POMPEI, con il quarto motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b),
c) ed e), cod. proc. pen., per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 274 e
275 cod. proc. pen. nonché dell’art. 73 T.U. Stup. e correlati vizi motivazionali.
In sintesi, la censura investe l’impugnata ordinanza in quanto il tribunale della
libertà avrebbe erroneamente ritenuto sussistere le esigenze cautelari di cui
all’ordinanza genetica sia quanto alla gravità indiziaria che al pericolo di
reiterazione dei reati, nonostante lo stesso tribunale abbia invece ritenuto
insussistente detta gravità quanto ad alcuni capi di imputazione; in sostanza, pur
avendo illustrato le ragioni per le quali la gravità indiziaria non era sussistente
quanto ai capi da 3) a 7), lo stesso tribunale avrebbe invece ritenuto sussistere
detta gravità limitatamente all’episodio del 4 luglio 2014, quanto alle precedenti
cessioni nei confronti di Lucarini e Picchi; sul punto, osserva la difesa del
ricorrente, non vi sarebbe anzitutto alcuna confessione del medesimo quanto
all’episodio del 4 luglio 2014 né per gli altri oggetto di contestazione (avrebbe
riferito solo di cessioni a titolo di favore, non penalmente rilevanti); in secondo
luogo, poi, lo stupefacente sequestrato era destinato ad uso personale in quanto
avrebbe dovuto essere consumato a Torino, ove gli indagati si sarebbero dovuti
recare (di ciò si avrebbe conferma in considerazione delle modalità
approssimative di occultamento dello stupefacente, che era visibile come
affermato dalla PG in quanto custodita all’interno della borsa personale della
Fiorucci e/o all’interno del reggiseno di quest’ultima; l’unico elemento di gravità
indiziaria, dunque, sarebbe costituito dal rinvenimento della sostanza
stupefacente, ma a fronte di ciò sarebbe illogico sostenere come fa l’ordinanza
impugnata che gli involucri non fossero destinati ad uso personale e invece
destinati alla vendita, come contraddittorio sarebbe escludere che quello
stupefacente non era destinato ad essere consumato a Torino nell’ambito di
un’iniziativa della tifoseria juventina, in quanto tali accordi non sarebbero emersi
in relazione al contenuto delle intercettazioni telefoniche nei confronti del
Pompei; ciò sarebbe smentito dalle dichiarazioni della Fiorucci che avrebbe
organizzato la trasferta nonché dalle indagini difensive svolte, riscontrate dalle
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di inefficacia della misura.

dichiarazioni del Pompei sui festeggiamenti del suo compleanno cui il consumo di
stupefacente e la trasferta a Torino erano preordinati; ancora, sarebbe smentito
dalle modalità, orario e luogo in cui l’asserito spaccio sarebbe avvenuto nonché
dallo stesso quantitativo di stupefacente, compatibile con un uso personale;
sarebbe, poi, contraddittoria l’affermazione secondo cui il ricorrente fosse dedito
all’attività contestatagli alla luce dell’avvenuto annullamento dell’ordinanza

secondo cui questi avrebbe corrisposto del denaro, circostanza non incompatibile
con un’attività lecita.
La censura, infine, investe l’ordinanza impugnata in ordine alla sussistenza
dell’esigenza cautelare di cui alla lett. c) dell’art. 274 cod. proc. pen., avendo il
tribunale del riesame desunto la sussistenza di detta esigenza in relazione ad
una stabile connivenza con l’ambiente del traffico di stupefacenti; detta stabilità,
tuttavia, sarebbe venuta meno proprio con il venir meno dei gravi indizi di
colpevolezza con riferimento agli altri episodi, cui si aggiungerebbe l’originaria
insussistenza della gravità indiziaria quanto all’episodio del 4 luglio 2014 e alle
precedenti cessioni al Lucarini ed al Picchi, rispetto alle quali l’indagato avrebbe
svolto, al più, la funzione di longa manus a mero titolo di cortesia; a ciò, poi, si
aggiunge secondo il ricorrente che il fatto sarebbe sussumibile, alla luce
dell’avvenuto ridimensionamento, nell’ipotesi del comma 5 dell’art. 73, T.U.
Stup., con le conseguenze prevedibili in termini di trattamento sanzionatorio,
essendo verosimile la concessione del beneficio della sospensione condizionale
della pena.

2.5. Deduce, la FIORUCCI, con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. c)
ed e), cod. proc. pen., per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 309, comma
quinto, cod. proc. pen. e correlati vizi motivazionali.
In sintesi, la censura investe l’impugnata ordinanza in quanto il tribunale della
libertà avrebbe erroneamente risolto la questione relativa alla mancata completa
trasmissione degli atti; sul punto, la nota dei carabinieri di Gubbio 17 febbraio
2014 contenuta negli atti inviati ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen. risulterebbe
incompleta in quanto mancante di tutte le pagine pari né essendo possibile
comprendere quanto la stessa si estenda dopo l’ultima pagina trasmessa; l’atto
in questione, secondo la ricorrente, rappresentato da una richiesta tendente ad
ottenere intercettazioni telefoniche, assumerebbe valenza decisiva in ordine alla
violazione del disposto dell’art. 309 cod. proc. pen.; sarebbe quindi illogica,
contraddittoria e mancante la motivazione del tribunale del riesame secondo cui
l’annotazione in questione avrebbe avuto scarsissimo peso investigativo,

custodiale per gli altri episodi, non rilevando l’affermazione del teste Lucarini

mancando l’enunciazione dei criteri per i quali l’atto si connoterebbe in tal senso;
non sarebbe idonea in tal senso, l’affermazione del tribunale secondo cui il PM
avrebbe trasmesso integrale fascicolo, circostanza che secondo la ricorrente non
potrebbe essere desunta sulla base della nota di trasmissione del PM pervenuta
al tribunale il 20 luglio 2014, non essendo dato comprendere se si tratti di copie
o di originali; secondo la ricorrente dalla stessa nota di trasmissione

smentendosi il contrario assunto del tribunale della libertà anche per quanto
riguarda l’affermazione secondo cui il medesimo tribunale avrebbe adottato la
propria decisione sulla scorta degli stessi atti trasmessi al GIP quando questi
ebbe ad adottare la misura cautelare nei confronti dell’indagata); l’indagata,
dunque, non avrebbe avuto la possibilità di articolare la propria difesa davanti al
GIP ed al tribunale del riesame, con conseguente violazione dell’art. 309, comma
quinto, cod. proc. pen.

2.6. Deduce, la FIORUCCI, con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett.
c) ed e), cod. proc. pen., per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 65, 294
e 302 cod. proc. pen. e correlati vizi motivazionali.
In sintesi, la censura investe l’impugnata ordinanza in quanto il tribunale della
libertà avrebbe erroneamente risolto la questione relativa alla dedotta nullità
dell’interrogatorio dell’indagata nel corso dell’udienza di convalida dell’arresto;
rileva, sul punto, la ricorrente che detta nullità era stata dedotta solo in relazione
agli obblighi derivanti dall’art. 65 cod. proc. pen., vale a dire in relazione alla
necessità di rendere noti di gli elementi di prova a carico e per non aver rivelato
le fonti ove non ne fosse derivato pregiudizio per le indagini; nel corso
dell’udienza del 25 luglio 2014 era stato evidenziato dalla difesa della ricorrente
come nel verbale di interrogatorio del GIP, dopo la locuzione “rendendogli noti i
seguenti elementi di prova e fonti delle medesime” non vi fosse alcuna
illustrazione, ciò costituendo violazione degli obblighi di cui all’art. 65 cod. proc.
pen., con conseguente perdita di efficacia della misura cautelare applicata ed
estinzione ai sensi del combinato disposto degli artt. 294 e 302 cod. proc. pen.,
non rilevata dal tribunale del riesame; sarebbe illogica e contraddittoria la
motivazione del tribunale del riesame che ha ritenuto ininfluente detta
omissione, avendo avuto modo di evidenziare come le affermazioni dell’indagata
medesima nel corso dell’interrogatorio si sarebbero articolate anche in relazione
alla piena ed effettiva conoscenza degli elementi di prova a suo carico ciò in
quanto, si legge nell’impugnata ordinanza, la difesa sarebbe stata condotta solo
in relazione al cessionario di cui all’episodio del 4 luglio 2014 ma anche in

emergerebbe trattarsi di copie di atti trasmessi al GIP e non di originali (con ciò

relazione ad altri pretesi acquirenti di cui al verbale di arresto ed alla richiesta di
convalida; al tribunale, dunque, sarebbe sfuggita la circostanza che le risposte
laconiche dell’indagata non contenevano alcun riferimento agli elementi di prova
a suo carico; ciò sarebbe confermato dal fatto che l’indagata non avrebbe reso
dichiarazioni, fatta eccezione per l’episodio del 4 luglio 2014, sugli altri che non
sarebbe stata in grado di contestare, riferendosi in particolare alle dichiarazioni

telefoniche; di tali elementi l’indagata avrebbe avuto contezza, attesa la
ristrettezza dei tempi che avevano portato all’udienza di convalida del suo
arresto, solo al momento in cui gli atti vennero trasmessi al tribunale della
libertà, di talchè l’omissione in questione costituirebbe vizio insanabile che
comporta l’annullamento dell’impugnata ordinanza e la conseguente declaratoria
di inefficacia della misura.

2.7. Deduce, la FIORUCCI, con il terzo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b),
c) ed e), cod. proc. pen., per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 274 e
275 cod. proc. pen. nonché dell’art. 73 T.U. Stup. e correlati vizi motivazionali.
In sintesi, la censura investe l’impugnata ordinanza in quanto il tribunale della
libertà avrebbe erroneamente ritenuto sussistere le esigenze cautelari di cui
all’ordinanza genetica sia quanto alla gravità indiziaria che al pericolo di
reiterazione dei reati, nonostante lo stesso tribunale abbia invece ritenuto
insussistente detta gravità quanto ad alcuni capi di imputazione; in sostanza, pur
avendo illustrato le ragioni per le quali la gravità indiziaria non era sussistente
quanto al capo 2), lo stesso tribunale avrebbe invece ritenuto sussistere detta
gravità limitatamente all’episodio del 4 luglio 2014; sul punto, osserva la difesa
della ricorrente, non vi sarebbe anzitutto alcuna confessione della Fiorucci
quanto all’episodio del 4 luglio 2014 in relazione al quale si sarebbe limitata ad
affermare di non aver ravvisato stranezze nel comportamento del Pompei né che
conoscesse il Lucarini, né per gli altri oggetto di contestazione (ma si tratta di un
evidente refuso del ricorso, in quanto l’unico episodio contestato è quello del
capo 1); in secondo luogo, poi, lo stupefacente sequestrato era destinato ad uso
personale in quanto avrebbe dovuto essere consumato a Torino, ove gli indagati
si sarebbero dovuti recare (di ciò si avrebbe conferma in considerazione delle
modalità approssimative di occultamento dello stupefacente, che era visibile
come affermato dalla PG in quanto custodita all’interno della borsa personale
della Fiorucci e/o all’interno del reggiseno di quest’ultima; la stessa avrebbe poi
risposto a domande e contestazioni non oggetto di addebito nei suoi confronti,
ravvisandosi la nullità dell’interrogatorio rese in sede di convalida dell’arresto;
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di tale Lucarini ed ai servizi di o.c.p. ed al contenuto delle intercettazioni

l’unico elemento di gravità indiziarla, dunque, sarebbe costituito dal
rinvenimento della sostanza stupefacente, ma a fronte di ciò sarebbe
indimostrato anzitutto un suo coinvolgimento quale concorrente nelle attività del
Pompei non avendola il Lucarini coinvolta come, ancora, illogico sarebbe
sostenere – come fa l’ordinanza impugnata – che gli involucri non fossero
destinati ad uso personale e invece destinati alla vendita, come contraddittorio

consumato a Torino nell’ambito di un’iniziativa della tifoseria juventina, in quanto
tali accordi non sarebbero emersi in relazione al contenuto delle intercettazioni
telefoniche nei confronti del Pompei; ciò sarebbe smentito dalle dichiarazioni
della Fiorucci che avrebbe organizzato la trasferta nonché dalle indagini difensive
svolte, riscontrate dalle dichiarazioni del Pompei sui festeggiamenti del suo
compleanno cui il consumo di stupefacente e la trasferta a Torino erano
preordinati; ancora, sarebbe smentito dalle modalità, orario e luogo in cui
l’asserito spaccio sarebbe avvenuto nonché dallo stesso quantitativo di
stupefacente, compatibile con un uso personale; sarebbe, poi, contraddittoria
l’affermazione secondo cui la ricorrente fosse dedita all’attività contestatale e che
la sua condotta sia qualificabile in termini di concorso punibile alla luce
dell’avvenuto annullamento dell’ordinanza custodiale per l’altro episodio.
La censura, infine, investe l’ordinanza impugnata in ordine alla sussistenza
dell’esigenza cautelare di cui alla lett. c) dell’art. 274 cod. proc. pen., avendo il
tribunale del riesame desunto la sussistenza di detta esigenza in relazione ad
una stabile connivenza con l’ambiente del traffico di stupefacenti; detta stabilità,
tuttavia, sarebbe venuta meno proprio con il venir meno dei gravi indizi di
colpevolezza con riferimento all’altro episodio, cui si aggiungerebbe l’originaria
insussistenza della gravità indiziaria quanto all’episodio del 4 luglio 2014; a ciò,
poi, si aggiunge secondo la ricorrente che il fatto sarebbe sussumibile, alla luce
dell’avvenuto ridimensionamento, nell’ipotesi del comma 5 dell’art. 73, T.U.
Stup., con le conseguenze prevedibili in termini di trattamento sanzionatorio,
essendo verosimile la concessione del beneficio della sospensione condizionale
della pena.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso POMPEI dev’essere accolto per il primo motivo, essendo invece
manifestamente infondati i motivi di ricorso proposti dalla FIORUCCI.

sarebbe escludere che quello stupefacente non era destinato ad essere

4. Quanto, infatti, alla posizione POMPEI, con il primo motivo il ricorrente ha
dedotto la violazione dell’art. 127 cod. proc.pen., per violazione del diritto ad
essere presente all’udienza camerale; il tribunale ha ritenuto infondata
l’eccezione in quanto il ricorrente era stato autorizzato dal GIP e ben avrebbe
potuto personalmente comparire innanzi al tribunale senza timore di poter
essere accusato di un allontanamento arbitrario dal luogo degli arresti

all’interessato che l’autorizzazione era stata rilasciata.
Questa Corte, attesa la natura processuale dell’eccezione, quale giudice del fatto,
ha proceduto alla valutazione degli atti esistenti nel fascicolo, rinvenendo solo la
richiesta di autorizzazione a partecipare all’udienza camerale del 25/07/2014 e la
relativa autorizzazione da parte del GIP; non risultando, tuttavia, la avvenuta
notifica dell’autorizzazione del GIP all’indagato, questa Corte ha disposto per le
vie brevi accertamenti finalizzati a verificare l’avvenuta esecuzione della notifica
medesima. L’esito di tali accertamenti, compendiato nella nota n. 29951/14 di
prot. P del 19/11/2014 trasmessa dalla Stazione CC di Unibertide, non da adito a
dubbi di sorta, avendo comunicato detto organo di PG a questa Corte che la
notifica non risulta essere stata eseguita al Pompei.
Non v’è dubbio, pertanto, che la mancata comparizione dell’indagato all’udienza
camerale del 25/07/2014 non fosse seguita ad una scelta dell’indagato di non
comparire, ma ad un’omissione della notifica della relativa autorizzazione a
comparire, senza scorta, per tale udienza trovandosi il medesimo nel regime
degli arresti domiciliari. Né, del resto, può ritenersi sussistere un onere difensivo
di comunicare al proprio assistito l’intervenuto rilascio del provvedimento
autorizzativo, non ammettendo il vigente codice di rito (art. 22, comma primo,
disp. Att. Cod. proc. pen.) equipollenti rispetto alla comunicazione di un atto
dell’A.G. di natura “personalissima” (qual è l’autorizzazione ad assentarsi dal
domicilio ove il destinatario si trova in stato di arresto, per comparire
all’udienza), perdipiù avente rilievo giuridico esterno in quanto produttivo di
rilevanti effetti (privare di rilevanza penale la condotta di allontanamento dal
luogo di arresti domiciliari, diversamente punibile ex art. 385 cod. pen., atteso
che ex lege, ossia in base al disposto dell’art. 284, comma quinto, cod. proc.
pen., l’imputato agli arresti domiciliari si considera in stato di custodia
cautelare).
Ne discende, pertanto, che la mancata comparizione dell’indagato all’udienza
camerale, per difetto della notifica dell’autorizzazione ex art. 22 disp. Att. Cod.
proc. pen., integra una nullità di ordine generale ed assoluta ex art. 178, lett. c),
e 179 cod. proc. pen. attenendo all’intervento dell’imputato.
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domiciliari, aggiungendo che era onere del difensore comunicare prontamente

5. L’impugnata ordinanza dev’essere, pertanto, annullata con rinvio al tribunale
di Perugia in diversa composizione per nuovo esame; l’accoglimento del primo
motivo esime, peraltro, questo Collegio dall’esame dei residui motivi, da ritenersi
dunque assorbiti. All’annullamento, peraltro, non segue la perdita di efficacia
della misura applicata (peraltro, attualmente, l’indagato trovasi sottoposto

questa Corte dall’ufficio GIP del tribunale di Perugia in data 14/11/2014); ed
invero, questa Corte ha più volte affermato (sebbene con riferimento all’omessa
notificazione dell’avviso all’indagato della data dell’udienza fissata dal tribunale
del riesame, ai sensi dell’art. 309, comma ottavo, cod. proc.pen.), che la nullità
che, ai sensi dell’art. 185 c.p.p., si estende all’ordinanza emessa dal tribunale,
non comporta la perdita di efficacia della misura coercitiva ai sensi dell’art. 309,
comma decimo, cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 3202 del 23/10/1998 – dep.
25/11/1998, Sanseverino G, Rv. 212330).

6. Può quindi, procedersi all’esame dei motivi di ricorso FIORUCCI, per i quali,
diversamente, questo Collegio ritiene di dover pervenire ad un giudizio di
manifesta infondatezza.

6.1. Quanto al primo motivo, la ricorrente censura la mancata trasmissione al
tribunale del riesame di una nota con cui si avanzava richiesta di intercettazioni
telefoniche, eccependo la violazione dell’art. 309, comma quinto, cod. proc. pen.
Il tribunale del riesame evidenzia che sono stati trasmessi integralmente gli atti,
sicchè non è ravvisabile alcuna violazione in quanto si tratta degli stessi atti che
il PM aveva trasmesso al GIP (privi di alcune pagine, come precisa il tribunale del
riesame) per decidere sulla richiesta di applicazione della misura cautelare.
Si ricorda, peraltro, che la sanzione di inefficacia del provvedimento coercitivo, a
causa dell’omessa trasmissione degli atti – ivi compresi quelli sopravvenuti a
favore dell’indagato – da parte dell’autorità giudiziaria procedente non oltre il
quinto giorno dall’avviso del presidente del tribunale, ha ad oggetto le sole
attività investigative originariamente presentate dal pubblico ministero per gli
atti assunti prima della richiesta, ma non rimessi alla valutazione del giudice per
le indagini preliminari poste a fondamento dell’ordinanza applicativa, ovvero – se
favorevoli all’indagato – espletate dopo l’adozione della misura e prima della
scadenza del termine perentorio di cui all’art. 309, comma quinto, cod. proc.
pen. (Sez. 1, n. 3047 del 25/05/1998 – dep. 08/07/1998, Mazzeo, Rv. 211018).
Ne discende, nel caso di specie, che essendovi identità tra gli atti trasmessi al
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all’obbligo di presentazione alla PG, giusta quanto comunicato su richiesta di

tribunale del riesame e quelli trasmessi al GIP, la questione perde di rilevanza,
per effetto del principio di diritto affermato in precedenza da questa Corte.

6.2. Quanto, poi, al secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione degli artt.
65, 294 e 302 cod. proc. pen., in quanto non sarebbero stati resi noti gli
elementi di prova e la stessa non avrebbe reso dichiarazioni al GIP perché non a

Il tribunale del riesame chiarisce sul punto che l’indagata, come emerge dalla
lettura del verbale di interrogatorio, avrebbe articolato le proprie difese in
relazione a tutti gli episodi oggetto di contestazione, con conseguente
insussistenza del denunciato vizio.
Deve, in ogni caso, essere qui ricordato che dal disposto del primo comma
dell’art. 65 cod. proc. pen. (secondo il quale quando procede all’interrogatorio
della persona sottoposta alle indagini l’autorità giudiziaria le contesta gli elementi
di prova esistenti contro di essa), non può desumersi che tale autorità sia
obbligata a dare lettura durante l’interrogatorio delle fonti di prova anche quando
proceda a tale atto nel corso delle indagini preliminari. La norma in questione,
infatti, va coordinata con quella di cui al primo comma dell’art. 329 cod. proc.
pen., che prevede che gli atti di indagine, compiuti dal P.M. e dalla polizia
giudiziaria, sono coperti dal segreto fino a quando l’imputato non ne possa aver
conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari, e con
quella di cui al primo comma dell’art. 511 stesso codice che prevede per la sola
istruzione dibattimentale che il giudice, anche di ufficio, dispone che sia data
lettura degli atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento (Sez. 1, n. 281 del
18/01/1994 – dep. 08/03/1994, De Tursi, Rv. 196652).

6.3. Quanto, infine, al terzo ed ultimo motivo di ricorso, la ricorrente censura
l’impugnata ordinanza per violazione degli artt. 73 TU Stup., 274 e 275 cod.
proc. pen., censurandola per aver ritenuto sussistere sia il fumus del reato in
questione che le esigenze cautelari.
Il tribunale del riesame, per ciascun capo di imputazione, evidenzia gli elementi
indiziari a carico di ciascun indagato, donde la censura difensiva, anche per
quanto concerne l’art. 274, lett. c), cod. proc. pen., si risolve nella
manifestazione di un dissenso rispetto al risultato del procedimento di
valutazione degli elementi indiziari e delle ragioni fondanti la ritenuta sussistenza
dell’esigenza cautelare richiamata; lo scrupolo motivazionale del Collegio
cautelare del resto, si coglie nella parte della motivazione in cui i giudici del
riesame si soffermano anche a escludere la configurabilità del comma 5 dell’art.
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conoscenza degli elementi contestati.

73, T.U. Stup., nonché sulla c.d. prognosi triennale, come richiesto dal novellato
art. 275, comma 2-bis, cod. proc. pen.
Questa Corte non può esimersi dal ricordare che, in tema di misure cautelari
personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di
motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla
consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte suprema spetta il compito
di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti

delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a
carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la
valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di
diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie. La richiesta di
riesame ha, infatti, la specifica funzione, come mezzo di impugnazione, sia pure
atipico, di sottoporre a controllo la validità dell’ordinanza cautelare con riguardo
ai requisiti formali enumerati nell’art. 292 cod. proc. pen. e ai presupposti ai
quali è subordinata la legittimità del provvedimento coercitivo, sicchè la
motivazione della decisione del tribunale del riesame, dal punto di vista
strutturale, deve essere conformata al modello delineato dal citato articolo,
ispirato al modulo di cui all’art. 546 cod. proc. pen., con gli adattamenti resi
necessari dal particolare contenuto della pronuncia cautelare, non fondata su
prove, ma su indizi e tendente all’accertamento non della responsabilità, bensì di
una qualificata probabilità di colpevolezza (per tutte: Sez. U, n. 11 del
22/03/2000 – dep. 02/05/2000, Audino, Rv. 215828; Sez. 4, n. 26992 del
29/05/2013 – dep. 20/06/2013, P.M. in proc. Tiana, Rv. 255460).
Quanto, poi, alla valutazione delle esigenze cautelari, in sede di giudizio di
legittimità sono rilevabili esclusivamente i vizi argomentativi che incidano sui
requisiti minimi di esistenza e di logicità del discorso motivazionale svolto nel
provvedimento e non sul contenuto della decisione. Il controllo di logicità deve
rimanere all’interno del provvedimento impugnato e non è possibile procedere a
una nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame
degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate e, nel ricorso afferente i
procedimenti “de libertate”, a una diversa valutazione dello spessore degli indizi
e delle esigenze cautelari (v., tra le tante: Sez. 1, n. 1083 del 20/02/1998 – dep.
14/03/1998, Martorana, Rv. 210019; Sez. 1, n. 717 del 12/02/1992 – dep.
20/02/1992, D’Avino ed altro, Rv. 189227; Sez. 5, n. 806 del 08/03/1993 – dep.
19/04/1993, Arena, Rv. 194139).

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che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto

7. Il ricorso FIORUCCI deve essere, dunque, dichiarato inammissibile. Segue, a
norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle
spese del procedimento e, non emergendo ragioni di esonero, al pagamento a
favore della Cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria, di somma che
si stima equo fissare, in euro 1.000,00 (mille/00).

La Corte dichiara inammissibile il ricorso di FIORUCCI MONICA e condanna la
ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in
favore della Cassa delle ammende.
Annulla l’ordinanza impugnata nei confronti di POMPEI MATTEO e rinvia al
tribunale di Perugia.
Così deciso in Roma, il 19 novembre 2014

Il Cinsigl -re est.

Il Presidente

P.Q.M.

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