Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5728 del 19/12/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 5728 Anno 2014
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: VECCHIO MASSIMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE
DI PADOVA
nei confronti di:
BERNI ENZO N. IL 04/08/1962
avverso l’ordinanza n. 999/2013 GIUD. SORVEGLIANZA di
PADOVA, del 30/05/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MASSIMO VECCHIO;
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Data Udienza: 19/12/2013

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – SEZIONE PRIMA PENALE

Ricorso n. 27.739/2013 R.G. *

Udienza del 19 dicembre 2013

Letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del
dott. Nicola Lettieri, sostituto procuratore generale della Repubblica presso questa Corte, il quale ha concluso per
l’annullamento del provvedimento impugnato con rinvio al
giudice a quo per nuovo esame.

1. — Con ordinanza deliberata il 30 maggio 2013 e depositata il
10 giugno 2013, il Magistrato di sorveglianza di Padova — per
quanto qui rileva — ha accolto il reclamo del detenuto Enzo
Berni relativamente alla «doglianza inerente lo spazio disponibile all’interno della camera detentiva» e, per l’effetto, ha disposto
che le competenti Autorità penitenziarie adottassero le «determinazioni conseguenti ivi compresa l’allocazione del reclamante
in altro locale di pernottamento ove sia garantito uno spazio minimo individuale pari o superiore a tre metri quadrati».
Il Magistrato di sorveglianza ha motivato: la istruttoria espletata ha accertato: il reclamante è ristretto, unitamente ad altri
due detenuti, in una cella dalla superficie di nove metri e nove
centimetri quadrati; la permanenza del detenuto nell’ambiente
non è limitata al pernottamento, in quanto nella ridetta cella si
svolge «la intera vita» dei tre reclusi; lo spazio a disposizione di
ciascuno degli occupanti è di tre metri e tre centimetri quadrati
al lordo; detratto l’ingombro del mobilio, lo spazio effettivamente disponibile per i tre detenuti è di otto metri e cinquantacinque centimetri quadrati e, pertanto, per ciascuno di essi di
due metri e ottantacinque centimetri quadrati; risulta, pertanto, «nettamente al di sotto del limite vitale di tre metri quadrati»
stabilito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo; quel giudice
ha, infatti, stabilito (nel caso Torregiani) che ai fini della determinazione dello «spazio vitale»
deve tenersi conto
dell’ingombro dei mobili.

2.— Il procuratore della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Padova, in persona del dott. Marco Peraro, sostituto procuratore della Repubblica (interessato da nota del 17 giugno
2013 del Direttore generale dei detenuti e del trattamento del

2

Rileva

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Udienza del 19 dicembre 2013

Dipartimento della amministrazione penitenziaria, espressamente citata e integralmente riprodotta nella impugnazione),
ha proposto ricorso per cassazione, mediante atto, recante la
data del 18 giugno 2013, col quale denunzia «violazione di legge», deducendo: il Magistrato di sorveglianza è incorso in «errore di diritto», in quanto ha sottratto dal computo della superficie utile della cella l’ «area occupata dall’armadietto a muro»; la
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo ha
sempre fatto riferimento «alle sole dimensioni dell’immobile»,
prescindendo dalla «ovvia presenza di mobili»; in particolare, il
riferimento al mobilio, contenuto nella sentenza Torreggiani è
«estrapolato dagli ‘argomenti delle parti’ [ed] è da valutarsi come
una argomentazione aggiuntiva, rafforzativa del giudizio».

3. — Il procuratore generale della Repubblica presso questa
Corte, mediante atto del 18 agosto 2013, ha osservato ad a diuvandum dopo aver postulato l’ammissibilità del ricorso,
in quanto «vertente in tema di diritti soggettivi del detenuto» :
circa la determinazione dello spazio individuale minimo intramurario, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti
dell’uomo è oscillante: la sentenza Sulejmanovic prescrive uno
spazio di «almeno tre metri quadrati»; mentre la sentenza Torreggiani esige uno spazio «superiore a tre metri quadrati»; in ordine al punto cruciale controverso se la «metratura utile» debba
essere «conteggiata al netto del mobilio», mentre nelle sentenze
Sulejamanovic e Tellissi non si fa cenno dell’ arredamento intramurario, dalla sentenza pilota Torreggiani si evince che il riferimento all’arredo rappresenta «solo una coloritura della conclusione» della Corte e che la superficie della cella deve essere
«calcolata al lordo anche perché, altrimenti, la pronuncia avrebbe
menzionato in dettaglio pure la metratura occupata dal mobilio».
4.-11 ricorso è inammissibile.

4.1

Giova ricordare che l’articolo 236, comma 2, disp. coord.
cod. proc. pen. (la norma dispone: “Nelle materie di competenza
del tribunale di sorveglianza continuano ad applicarsi le disposizioni contenute dalla legge 26 luglio 1975, n. 354 diverse da quelle
contenute nel capo Il-bis del titolo Il della stessa legge”) non reca

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Udienza del 19 dicembre 2013

Consegue che l’articolo 71-ter dell’Ordinamento penitenziario
(contenuto nel capo II-bis del titolo II) non è derogato in parte
de qua dalla anzidetta norma di coordinamento (cfr. Cass., Sez.
Un., 27 giugno 2006, n. 31461, Passamani, massima n. 234147,
circa la intervenuta abrogazione delle disposizioni del suddetto
capo II-bis in relazione alle materie di competenza del tribunale di sorveglianza).
Sicché il ricorso per cassazione avverso i provvedimenti
del magistrato di sorveglianza continua ad essere esperibile
esclusivamente per violazione di legge (Cass., Sez.
Un., 26 febbraio 2003, n. 25079, Gianni; Sez. I, 12 novembre
2008, n. 44321, Araniti; Sez. I, 12 febbraio 2009, n. 9508, Testa, non massimate sul punto, e Sez. I, 20 ottobre 2010, n.
39314, Farinella, massima n. 248844).
4.2 — Orbene, nella specie, il ricorrente censura che il giudice a
quo non si sarebbe attenuto al canone fissato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, in particolare colla sentenza pilota
dell’8 gennaio 2013, Torreggiani, circa la determinazione dello
spazio minimo intramurario da assicurare a ogni detenuto perché lo stato non incorra nella violazione del divieto dei trattamenti inumani e degradanti, stabilito dall’articolo 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali, adottata a Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848.
4.3 — Nel sancire il divieto (della tortura,) delle pene e dei trattamenti inumani o degradanti, l’articolo 3 della Convenzione
cit. non ha tipizzato le condotte integratrici della violazione del
divieto.
Analogamente neppure l’articolo 27, comma 2, della Costituzione, stabilendo che «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità», ha stabilito alcuno specifico
canone per la determinazione dei trattamenti vietati.

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alcun riferimento alle materie di competenza del magistrato
di sorveglianza.

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La corrispondente disposizione dell’articolo 6 del Regolamento
penitenziario non contiene alcuno stardard o parametro metrico in ordine alle dimensioni dei locali destinati al soggiorno dei
detenuti e delle celle di pernottamento.
4.4 — Anche alla luce di criteri elaborati dal Comitato per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti disumani o degradanti, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’
uomo, mediante plurimi arresti, ha fissato canoni particolari in
funzione di specifici standard dimensionali in ordine alla superficie degli spazi intramurari.
4.5 — Adito dalla doglianza del detenuto, di sottoposizione a
trattamento inumano o degradante, per essere ristretto in ambienti carcerari di ampiezza così esigua da non soddisfare i requisiti minimi della abitabilità intramuraria fissati dalla Corte
europea dei diritti dell’uomo, il giudice del reclamo è chiamato
ad accertare e valutare la condizione di fatto della carcerazione; e tale valutazione è operata esclusivamente alla stregua dei
canoni e degli standard giurisprudenziali, in difetto di alcuna
disposizione normativa e tampoco legislativa o codicistica.
Sicché lo scrutinio compiuto sulla base della regula di giudizio
di matrice giurisprudenziale è sindacabile, sotto il profilo della
violazione di legge, esclusivamente in relazione al vizio della
motivazione ai sensi dell’articolo 125, comma 3, cod. proc. pen.
in relazione all’ articolo 69, comma 6 dell’Ordinamento penitenziario (come integrato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 26 dell’i 1 febbraio 1999) e in relazione all’articolo 71 ter
dell’Ordinamento cit., e, cioè, sotto il profilo della mancanza di
motivazione.

5

Con particolare riferimento agli spazi intramurari l’articolo 6
dell’Ordinamento penitenziario prescrive, al comma primo, che
«i locali nei quali si svolge la vita dei detenuti devono essere di
ampiezza sufficiente …» e, al comma secondo, che «i locali destinati al pernottamento consistono in camere dotate di uno o più
posti».

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Udienza del 19 dicembre 2013

Tale vizio è pacificamente fuori discussione nel caso in
4.6
esame.

E — per incidens — deve osservarsi che la inammissibilità del
ricorso preclude il positivo vaglio della fondatezza della valutazione operata dal magistrato di sorveglianza il quale si è esattamente uniformato al criterio stabilito dalla Corte europea
dei diritti dell’uomo nella citata sentenza pilota, avendo scomputato dalla superficie lorda della cella del reclamante lo spazio
occupato dall’arredo fisso dell’armadio allocato nel vano; mentre non è condivisibile l’obiezione del Pubblico Ministero concludente, fondata sulla mancata specificazione della superficie
di ingombro da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo
nell’arresto in parola; gli è che, avendo quel giudice accertato,
nel caso scrutinato, che la superficie della cella era pari al limite minimo di tre metri quadrati, sarebbe stata affatto superflua e irrilevante la determinazione dello spazio occupato
dal mobilio, in quanto necessariamente l’ ingombro -a prescindere dalla ampiezza della superficie occupata- comportava indefettibilmente l’inosservanza dello standard dei tre metri
quadrati.
4.7 — Conclusivamente le censure del ricorrente, non essendo riconducibili né alla inosservanza, né alla erronea applicazione di
alcuna norma di legge, si risolvono nella proposizione di motivi
non consentiti dalla legge col ricorso per cassazione avverso i
provvedimenti del magistrato di sorveglianza e, pertanto, sono
inammissibili ai sensi dell’articolo 606, comma 1, numero 3,
cod. proc. pen.
Consegue la relativa declaratoria.

6

Il giudice a quo ha dato conto adeguatamente — come illustrato nel paragrafo che precede sub 1. — delle ragioni della propria
decisione, sorretta da motivazione congrua e, pertanto, sottratta a ogni sindacato nella sede del presente scrutinio di legittimità.

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Ricorso n. 27.739/2013 R. G.

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Udienza del 19 dicembre 2013

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso, il 19 dicembre 2013.

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