Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5720 del 19/12/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 5720 Anno 2014
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: VECCHIO MASSIMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LEO DOMENICO N. IL 13/03/1956
avverso la sentenza n. 1311/2009 CORTE APPELLO di MESSINA, del
28/06/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 19/12/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MASSIMO VECCHIO
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Data Udienza: 19/12/2013

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – SEZIONE PRIMA PENALE

Ricorso n. 47.376/2013 R.G. – Udienza del 19 dicembre 2013

– il Pubblico Ministero, in persona del dott. Oscar Cedrangolo,
sostituto procuratore generale della Repubblica presso questa
Corte suprema di cassazione, il quale ha concluso per la
inammissibilità del ricorso e per la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e di una somma a favore
della cassa delle ammende.
– il difensore del ricorrente, avvocato Gregorio Calarco, ha
concluso per l’ accoglimento del ricorso.
Rileva
1. — Con sentenza, deliberata il 28 giugno 2013 e depositata il
18 settembre 2013, la Corte di appello di Messina ha
confermato la sentenza del Tribunale ordinario di quella stessa
sede, 7 giugno 2007, di condanna alla pena della reclusione in
tre anni e sei mesi e della multa in euro duemila a carico di
Domenico Leo, imputato dei delitti di detenzione e di porto
illegali di armi da guerra, di detenzione e di porto illegali di
armi comuni da sparo, di detenzione e di porto di armi
clandestine, commessi in Messina in epoca anteriore e prossima
al 29 giugno 1991, con le aggravanti di cui all’articolo 61,
comma primo, numero 2, cod0 pen., essendo le condotte
delittuose finalizzate alla perpetrazione degli omicidi di
Giorgio Mancuso e di Rosario Rizzo, e dell’articolo 7 del
decreto legge 13 maggio 1991, n.152, convertito nella legge 12
luglio 1991, n. 203, concorrendo la ulteriore finalità di
agevolare l’attività di associazione di tipo mafioso e la relativa
metodologia.
Il giudizio a carico del Leo è stato promosso all’esito della
assoluzione del prevenuto da analoghi reati, commessi da
gennaio ad aprile 2001, giusta sentenza 24 maggio 2004 della
Corte di assise di appello di Reggio di Calabria, la quale aveva

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Uditi, altresì, nella pubblica udienza:

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disposto la trasmissione degli atti al procuratore della

«per
quanto di competenza in ordine alla condotta successiva al 15
maggio 1991, giorno della uccisione di Di Blasi Domenico»
Repubblica presso il Tribunale ordinario di Messina

1.1 — Dopo aver inquadrato la commissione dei reati nel
contesto del cruento conflitto tra i gruppi criminali messinesi,
che era insorto dopo l’ uccisione di Giuseppe Leo, fratello
dell’imputato, perpetrato da Giorgio Mancuso il 6 settembre
1990, e si era acuito per il successivo omicidio di Domenico Di
Blasi, commesso il 15 maggio 1991 dal Mancuso, alleatosi nel
frattempo con Rosario Rizzo, i giudici di merito hanno
accertato, sulla base delle dichiarazioni dei collaboranti
Giovanni Salvo e Sebastiano Ferrara, che Domenico Leo,
sebbene non affiliato, allo scopo di vendicare la morte del
germano ed essendo il fratello Giovanni ristretto agli arresti
domiciliari, aveva posto a disposizione dei sodali, quale base
logistica l’appartamento sito nel villaggio Aldisio, in
precedenza occupato da Giovanni (dopo l’omicidio di Di Blasi
costui, per ragioni di sicurezza, si era trasferito nella abitazione
materna nel villaggio di Bordonaro) e aveva loro fornito armi
da guerra (una mitraglietta, due fucili

Kalashinikov) e armi

comuni da sparo (un fucile a pompa, due pistole) in occasione
di vari appostamenti e agguati (tutti falliti), orditi contro
Mancuso e Rizzo, entrambi abitanti nel ridetto villaggio
Aldisio.

1.2 – Con riferimento ai motivi di gravame e in relazione a
quanto assume rilievo nella sede del presente scrutinio di
legittimità, la Corte territoriale ha osservato quanto segue.
Le censure difensive in ordine alla collocazione temporale della
condotta dopo l’omicidio del Di Blasi (finalizzate ad escludere
la applicazione della ritenuta aggravante a effetto speciale,
introdotta nell’ordinamento a far tempo dal 13 maggio 1991, e

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(condotta con compresa nella contestazione).

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I collaboranti hanno, infatti, unanimemente riferito che, solo
in seguito all’omicidio del Di Blasi, l’appellante aveva messo a
disposizione dei sodali la casa di famiglia, sita al villaggio
Aldisio; forniva loro supporto logistico e assicurava la
provvista delle armi in occasione dei vari agguati falliti.
L’intervento di Domenico Leo trova peraltro logica
spiegazione nella circostanza che, all’epoca, il fratello
Giovanni, esponente del gruppo criminale, si trovava ristretto
agli arresti domiciliari.
La permanenza delle condotte di detenzione e di porto è,
pertanto, incoata dopo il 13 maggio 1991, data dell’entrata in
vigore del decreto legge di pari data, che ha introdotto la
aggravante ritenuta.
Conseguentemente deve essere disattesa la «questione inerente
la prescrizione dei reati»,
2. — L’imputato ha proposto ricorso per cassazione, col
ministero dei difensori di fiducia, avvocati Giuseppe Serafino e
Gregorio Calarco, mediante atto recante la data del 4
novembre 2013, depositato il 6 novembre 2013, col quale
dichiara promiscuamente di denunziare, ai sensi dell’articolo
606, comma 1, lettere b) ed e), cod, proc. pen. inosservanza
della legge penale o di altre norme di cui si deve tenere conto
nella applicazione della legge penale, in relazione all’articolo 7
del decreto legge 22 maggio 1991, n.152, convertito nella legge
12 luglio 1991, n. 203, nonché mancanza e manifesta illogicità
della motivazione, anche sotto il profilo della formale
violazione dell’articolo 192 cod. proc. pen.
I difensori censurano l’accertamento del tempus commissi
delicti, postulando la retrodatazione della condotta in epoca
anteriore all’omicidio del Di Blasi e, segnatamente, alla

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a lucrare, per effetto della succitata esclusione, la prescrizione)
sono infondate.

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Sostengono i ricorrenti: non è certo che la detenzione e il porto
delle armi da parte dfit Leo si siano protratti oltre il 13 maggio
1991; Leo Giovanni ha confessato di aver partecipato a due
appostamenti contro Mancuso e Rizzo, dopo la morte del Di
Blasi, fornendo ai sodali l’appoggio logistico della casa di
famiglia e le armi; è pertanto «altamente verosimile che la
attività posta in essere dal fratello Domenico [..] sia da collocarsi e
cessi in epoca antecedente alla predetta data dell’omicidio del Di
Blasi] e, specificamente, prima del 15 maggio 1991: da tale
momento, è, infatti, il fratello Giovanni che personalmente e
direttamente partecipa alle riunioni e agli appostamenti, fornendo
pure le armi»; Leo Roberto ha riferito che gli appostamenti
avevano preceduto l’omicidio del Di Blasi e che Domenico Leo
aveva preso parte a uno dei ridetti appostamenti e, nella
occasione, si era impegnato a procurare le armi; peraltro i
compartecipi del ricorrente (nelle condotte delittuose
perpetrate dopo il 15 maggio 1991) non sono mai stati
processati in relazione alla detenzione e al porto delle armi per
il periodo successivo al 15 maggio 1991.
3.— Il ricorso è manifestamente infondato.
3.1 — Non ricorre alla evidenza il vizio della violazione della
legge penale sostanziale:
—né sotto il profilo della inosservanza (per non aver il giudice a
quo applicato una determinata disposizione in relazione
all’operata rappresentazione del fatto corrispondente alla
previsione della norma, ovvero per averla applicata sul
presupposto dell’accertamento di un fatto diverso da quello
contemplato dalla fattispecie);
— né sotto il profilo della erronea applicazione, avendo il
Tribunale di sorveglianza esattamente interpretato le norme

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entrata in vigore della norma recante la introduzione della
ritenuta aggravante a effetto speciale.

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3.2 — Neppure palesemente ricorre vizio alcuno della
motivazione.
Innanzi tutto, il riferimento alle dichiarazioni di Roberto Leo
non è pertinente, in quanto concerne fatto palesemente diverso
dalla condotta oggetto del giudizio.
Irrilevante è, per vero, la rappresentata partecipazione del
ricorrente a uno degli appostamenti effettuati prima
dell’omicidio del Di Blasi, laddove la fonte ha sostenuto che
nella occasione l’imputato non forni loro alcuna arma,
essendosi, invece, semplicemente «impegnato» a procurarle loro
in avvenire.
E, per l’appunto, i giudici di merito hanno accertato che il
ricorrente, dopo l’omicidio del Di Blasi, mantenne tale
impegno.
La partecipazione di Giovanni Leo a due appostamenti
finalizzati ad attentati contro Mancuso e Russo, organizzati in
epoca imprecisata e, comunque, posteriore all’omicidio del Di
Blasi, non implica in alcun modo che la accertata condotta
delittuosa dell’imputato, in ordine alla compartecipazione nel
porto illegale delle armi da guerra, debba collocarsi
cronologicamente prima del ridetto fatto di sangue.
Del pari irrilevanti sono le considerazioni dei difensori in
ordine all’esercizio (mancato) della azione penale a carico dei
compartecipi del ricorrente.
Conclusivamente la Corte territoriale ha dato conto
adeguatamente — come illustrato nei paragrafi che precedono
sub 1.2 e sub 1.3 — delle ragioni della propria decisione, sorretta

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applicate, alla luce dei principi di diritto fissati da questa
Corte, né, oltretutto, opponendo il ricorrente alcuna
alternativa interpretazione a quella correttamente seguita nel
provvedimento impugnato.

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da motivazione congrua, affatto immune da illogicità di sorta,
sicuramente contenuta entro i confini della plausibile
opinabilità di apprezzamento e valutazione (v. per tutte: Cass.,
Sez. I, 5 maggio 1967, n. 624, Maruzzella, massima n. 105775 e,
da ultimo, Cass., Sez. IV, 2 dicembre 2003, n. 4842, Elia,
massima n. 229369) e, pertanto, sottratta a ogni sindacato
nella sede del presente scrutinio di legittimità; laddove le
deduzioni, le doglianze e i rilievi residui espressi dal ricorrente,
benché inscenati sotto la prospettazione di vitia della
motivazione, si sviluppano tutti nell’orbita delle censure di
merito, sicché, consistendo in motivi diversi da quelli
consentiti dalla legge con il ricorso per cassazione, sono
inammissibili a’ termini dell’articolo 606, comma 3, cod, proc.
pen..

3.3 — Conseguono la declaratoria della inammissibilità del
ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonché — valutato il contenuto dei motivi e in
difetto della ipotesi di esclusione di colpa nella proposizione
della impugnazione — al versamento a favore della cassa delle
ammende della somma, che la Corte determina, nella misura
congrua ed equa, infra indicata in dispositivo.

P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000
(mille) alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, addì 19 dicembre 2013.

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