Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5712 del 13/12/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 5712 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: DI NICOLA VITO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Tortora Andrea, nato a Salerno il 13/05/1980
avverso l’ordinanza del 30/07/2013 del Tribunale della libertà di Salerno

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Sante
Spinaci, che ha concluso chiedendo il rigetto ricorso;
udito per l’imputato l’avv. Roberto Giuffrida che ha concluso per l’annullamento
dell’ordinanza impugnata

Data Udienza: 13/12/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale del riesame di Salerno, con ordinanza depositata in data 30
luglio 2013, rigettava l’istanza con la quale Tortora Andrea aveva impugnato il
decreto di sequestro preventivo emesso dal Gip presso il Tribunale di Vallo della
Lucania.
La cautela era stata disposta con riferimento ai reati di cui agli artt. 44 lett.
c), 64 e 71, 65 e 72, 93,94 e 95 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, 181 d. Igs. 22

Tortora di avere, quale legale rappresentante della società “Villa Sirio A&A s.r.l.”,
variato la destinazione d’uso delle pertinenze dell’hotel Villa Sirio, trasformando i
locali, che in precedenza erano adibiti a deposito e lavanderia, in camere per gli
ospiti e ciò in assenza del permesso di costruire e del necessario nulla osta
paesaggistico.
Il Tribunale osservava come, in mancanza di un titolo che autorizzasse il
mutamento della destinazione d’uso, fosse ampiamente configurato il fumus dei
reati posti a fondamento del provvedimento cautelare, tanto più che risultava un
espresso diniego del comune di Castellabate rispetto ad una istanza
dell’interessato avanzata per sanare ex post il già realizzato mutamento della
destinazione d’uso dei locali, mutamento che, secondo il Tribunale, avrebbe
dovuto necessariamente comportare, per adattare i locali originariamente
destinati a deposito e lavanderia in camere per ospiti dell’albergo, anche la
realizzazione di opere eseguite in assenza di permesso.
In presenza poi di un aggravio del carico urbanistico, desumibile dal
considerevole aumento della ricettività alberghiera quale diretta conseguenza del
realizzato mutamento della destinazione d’uso, doveva ritenersi integrato, ad
avviso del tribunale del riesame, anche il periculum in mora, derivando da ciò la
conferma del decreto di sequestro preventivo.

2.

Per l’annullamento dell’impugnata ordinanza ricorre per cassazione

Andrea Tortora, per mezzo del suo difensore, affidando il gravame a tre motivi.
2.1. Con il primo motivo, articolato sotto plurimi profili, si lamenta violazione
e falsa applicazione dell’art. 44 lett. c) d.P.R. n. 380 del 2001 nonché
travisamento dei fatti e carenza assoluta di motivazione.
Deduce il ricorrente come il Tribunale abbia completamento travisato i fatti
di causa, avendo malamente ritenuto che il Tortora avesse adibito i locali
deposito e lavanderia in camere d’albergo, laddove si era limitato a destinare a
camere per gli ospiti i locali previsti come alloggio del personale che, reclutato in
persone residenti nel comune di Castellabate, non ne usufruivano, con la

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gennaio 2004, n. 42, 6 e 30 legge 6 dicembre 1991, n. 394, rimproverandosi al

conseguenza che, essendo la variazione stata operata per categorie omogenee,
alcuna modifica interna, diversamente da quanto opinato dal Tribunale, era stata
eseguita ed alcun aggravio del carico urbanistico era, per l’effetto, ipotizzabile
con conseguente inconfigurabilità delle esigenze cautelari.
2.2. Con il secondo motivo si lamenta violazione dell’art. 2 L.R. Campania 28
novembre 2001 n. 19 nonché violazione dell’art. 321 cod. proc. pen. e carenza
assoluta di motivazione.
Deduce il ricorrente come al medesimo approdo, secondo quanto esposto

la quale (art. 2 lett. f) L.R. n. 19 del 2001) gli interventi edilizi che non
comportino trasformazione dell’aspetto esteriore e dei volumi e di superfici
possono essere realizzati con semplice DIA, tant’è (comma 5) che, sempre
secondo la normativa regionale, il mutamento di destinazione d’uso senza opere
nell’ambito di categorie compatibili alle singole zone territoriali omogenee è
libero sicché, mentre il mutamento di destinazione da lavanderia – deposito in
struttura ricettiva richiederebbe il permesso di costruire non svolgendosi
all’interno di categorie compatibili alle zone territoriali omogenee, tale permesso
non è richiesto qualora il mutamento della destinazione d’uso senza opere
rientri, come nella specie, nell’ambito di categorie compatibili alla medesima
zona territoriale omogenea.
2.3. Con il terzo ed ultimo motivo si denuncia violazione dell’art. 321 cod.
proc. pen. e carenza assoluta di motivazione.
Deduce il ricorrente come il Tribunale, pur dando atto del nulla osta
rilasciato dall’ente parco e prodotto dalla difesa nel corso del contraddittorio
camerale, abbia omesso qualsiasi motivazione sulla rilevanza del provvedimento
amministrativo in ordine all’inesistenza del

periculum in mora

venuto

irrimediabilmente meno in conseguenza dell’atto emanato dall’autorità preposta
alla tutela del vincolo paesistico.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato e pertanto inammissibile.

2. Il primo ed il secondo motivo, essendo tra loro strettamente collegati,
possono essere congiuntamente trattati.
Il Tribunale distrettuale, sulla base degli atti di causa, ha accertato che i
locali in sequestro, precedentemente adibiti a deposito e a lavanderia, sono stati
trasformati in camere per gli ospiti dell’albergo, con conseguente modificazione
della destinazione d’uso, in assenza del rilascio dei necessari titoli abilitativi.

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con la prima doglianza, si giunga sulla base della normativa regionale, secondo

Il Collegio cautelare ha tratto ulteriore conferma di ciò dal fatto che lo stesso
ricorrente aveva chiesto, senza ottenere il permesso, di essere autorizzato al
cambio di destinazione ad uso ricettivo delle opere in sequestro ed il Tribunale
del riesame ha ricavato, anche da ciò, solido argomento per ritenere, da un lato,
la sussistenza del fumus commissi delicti dei reati urbanistici e paesaggistici, in
considerazione anche dei vincoli esistenti sulla zona, e la esistenza, dall’altro, del
periculum in mora in considerazione dell’aggravamento del carico urbanistico che
il mutamento della destinazione d’uso dell’immobile aveva comportato.

regionale, non necessitava il rilascio di alcun titolo abilitativo perché il cambio
d’uso sarebbe intervenuto, quanto ai parametri urbanistici, entro categorie
omogenee, essendo stati investiti dalla trasformazione i locali in precedenza
destinati ad abitazione per i dipendenti che, senza il ricorso ad opera alcuna,
sarebbero stati destinati a camere di albergo per gli ospiti.
A prescindere che un tale assunto cozza inevitabilmente con i precedenti
comportamenti concludenti avviati dallo stesso ricorrente, che pure aveva
avvertito la necessità di essere autorizzato al cambio di destinazione d’uso, va
precisato che oggetto del sequestro, per quanto indicato nel dispositivo del titolo
cautelare, sono i locali, già destinati a deposito e lavanderia, di pertinenza
dell’albergo de quo (con riferimento ai quali è lo stesso ricorrente ad ammettere
che, in caso di cambio d’uso, sarebbe stato necessario il previo rilascio del titolo
abilitativo) e non dunque le altre parti dell’edificio, cui pure il ricorrente accenna
nel ricorso e che pertanto esulano dal petitum cautelare.

3. Ciò posto, è tuttavia utile delineare, in breve, l’evoluzione della disciplina
riguardante la materia del cambio di destinazione d’uso di immobili o di loro parti
al solo fine di meglio cogliere le specificità relative ai casi in cui il cambio d’uso
avvenga senza l’esecuzione di opere (ulteriore profilo di doglianza sostenuto dal
ricorrente).
3.1. L’art. 2, comma 60, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, novellando
l’art. 25, ultimo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, disponeva che le
leggi regionali stabiliscono quali mutamenti, connessi o non connessi a
trasformazioni fisiche, dell’uso di immobili o di loro parti, subordinare a
concessione, e quali mutamenti connessi o non connessi a trasformazioni fisiche,
dell’uso di immobili o di loro parti siano subordinati ad autorizzazione.
L’art. 10, comma 2, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, ribadendo le previsioni
contenute nell’art. 2, comma 60, legge n. 662 del 1996, dispone che le Regioni
stabiliscono con legge quali mutamenti, connessi o meno a trasformazioni
fisiche, dell’uso di immobili o di loro parti sono subordinati a permesso di
costruire o a denuncia di attività.
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L’assunto del ricorrente è che, avuto anche riguardo alla normativa

3.2. In particolare la Regione Campania, con la legge 28 novembre 2001, n.
19, art. 2, modificata dalla L.R. 22 dicembre 2004, n. 16, ha stabilito che
possono essere realizzati in base a semplice denunzia d’inizio attività (oggi SCIA)
“i mutamenti di destinazione d’uso d’immobili o loro parti, che non comportino
interventi di trasformazione dell’aspetto esteriore, e di volumi e superfici”,
aggiungendo che “la nuova destinazione d’uso deve essere compatibile con le
categorie consentite dalla strumentazione urbanistica per le singole zone
territoriali omogenee” (comma 1, lett. f).

destinazione d’uso senza opere, nell’ambito di categorie compatibili alle singole
zone territoriali omogenee, è libero” (comma 5).
Ne consegue che il mutamento di destinazione d’uso, senza opere, assume
valore giuridicamente rilevante solo quando si verifichi un passaggio tra
categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, mentre è
giuridicamente irrilevante allorquando il cambio di destinazione non determini un
tale passaggio, salvo che nei centri storici dove il mutamento della destinazione
d’uso rileva anche all’interno di una stessa categoria omogenea (Sez. 3, n. 9894
del 20/01/2009, Tarallo, Rv. 243102).
La ragione per la quale il cambio di destinazione d’uso senza realizzazione di
opere non costituisce un’attività del tutto priva di vincoli risiede nel fatto che ne
risulterebbero altrimenti vulnerate le regole generali finalizzate ad assicurare il
corretto ed ordinato assetto del territorio, con conseguente concreto ed
inevitabile pericolo di compromissione degli equilibri prefigurati dalla
strumentazione urbanistica (Cons. Stato n. 759 del 25 maggio 2012), potendo
risultare pregiudicato anche l’interesse patrimoniale dell’ente perché gli
interessati sarebbero altrimenti indotti a chiedere il rilascio di un titolo edilizio
che sconta il pagamento di un minor contributo per il basso carico urbanistico,
per poi mutare liberamente e gratuitamente la destinazione d’uso originaria
senza corrispondere i maggiori oneri che derivano dal maggior carico urbanistico.
Questa Corte ha chiarito che la destinazione d’uso è un elemento che
qualifica la connotazione del bene immobile e risponde a precisi scopi di
interesse pubblico, di pianificazione o di attuazione della pianificazione. Essa
individua il bene sotto l’aspetto funzionale, specificando le destinazioni di zona
fissate dagli strumenti urbanistici in considerazione della differenziazione
infrastrutturale del territorio, prevista e disciplinata dalla normativa sugli
standard, diversi per qualità e quantità proprio a seconda della diversa
destinazione di zona (Sez. 3, n. 9894 del 20/01/2009, Tarallo).
L’organizzazione del territorio comunale e la gestione dello stesso vengono,
infatti, realizzate attraverso il coordinamento delle varie destinazioni d’uso in
tutte le loro possibili relazioni e le modifiche non consentite di queste incidono

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Inoltre, per quanto qui interessa, ha stabilito che “il mutamento di

negativamente sull’organizzazione dei servizi, alterando appunto il complessivo
assetto territoriale (Sez. 3, n. 24096 del 07/03/2008, Desimine; Sez. 3,
Sentenza n. 35177 del 12/07/2001, dep. 21/10/2002. Cinquegrani Rv. 222740).
Perciò non è sufficiente dimostrare che il mutamento della destinazione
d’uso sia stato eseguito in assenza di opere edilizie interne ma occorre
dimostrare che il cambio della destinazione presenti il requisito dell’omogeneità
nel senso che sia intervenuto tra categorie urbanistiche omogenee perché il
cambio, allorquando investe categorie urbanistiche disomogenee di utilizzazione,

Va quindi conclusivamente ribadito che è giuridicamente rilevante solo il
mutamento di destinazione d’uso tra categorie funzionalmente autonome dal
punto di vista urbanistico, posto che nell’ambito delle stesse categorie possono
aversi mutamenti di fatto, ma non diversi regimi urbanistico-contributivi stante
le sostanziali equivalenze dei carichi urbanistici nell’ambito della medesima
categoria.
Ne consegue che il mutamento di destinazione d’uso senza opere è
assoggettato a D.I.A. (ora SCIA), purché intervenga nell’ambito della stessa
categoria urbanistica, mentre è richiesto il permesso di costruire per le modifiche
di destinazione che comportino il passaggio di categoria o, se il cambio d’uso sia
eseguito nei centri storici, anche all’interno di una stessa categoria omogenea.

4. Chiarita dunque la ratio essendi del provvedimento impugnato, che perciò
non merita le censure contro di esso dirette, avendo correttamente statuito la
configurabilità del

fumus

dei reati urbanistici e paesaggistici in quanto,

contrariamente all’assunto del ricorrente, il mutamento della destinazione d’uso
è stato effettuato proprio con riferimento a categorie tra loro incompatibili, con la
conseguenza che l’intervento richiedeva, per la sua conformità al diritto,
l’assenso dell’autorità di governo del territorio e di quella preposta alla tutela del
vincolo paesaggistico, va precisato, per delimitare il campo d’indagine devoluto a
questa Corte dalle ulteriori prospettazioni contenute nel ricorso, che in questa
materia, a norma dell’art. 325 cod. proc. pen., il ricorso per cassazione può
essere proposto solo per violazione di legge, nella cui nozione, secondo
l’orientamento prevalente di questa Corte, rientrano la mancanza assoluta di
motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto
correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma non l’illogicità
manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo
specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e) dell’art. 606 stesso
codice (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, Ferazzi, Rv. 226710), né tanto meno il
travisamento del fatto non risultante dal testo del provvedimento, sicché le
argomentazioni del ricorrente tendenti a censurare l’iter logico seguito dal
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determina, come nella specie, un aggravamento del carico urbanistico esistente.

Tribunale per giungere alla conferma del decreto di sequestro preventivo sono
inammissibili in questa sede.
In ogni caso, il censurato difetto di motivazione non si apprezza sotto alcun
profilo avendo il Tribunale distrettuale puntualmente confutato le argomentazioni
del ricorrente ritenendo che il fumus dei reati fosse ulteriormente corroborato
dalla presenza in atti del diniego (del 6 luglio 2012) del Comune di Castellabate
alla richiesta di sanatoria ex post del mutamento di destinazione d’uso dei locali.
Va aggiunto, per inciso, che l’Ufficio tecnico comunale aveva espressamente

sensi dell’art. 5, comma 2, L.R. n. 19 del 2001, tanto sul presupposto che
l’immobile ricade all’interno del Piano di recupero (zona A), essendo perciò
assoggettato alla normativa edilizia vigente che non prevede tra le destinazioni
d’uso compatibili con la singola zona omogenea, cui ricade il fabbricato, né quella
ad attrezzature ricettive alberghiere né tantomeno quella ad attrezzature para
alberghiere.

5. Sicché la diversa destinazione dei locali lavanderia – deposito in camere
d’albergo, per la diversità di tipologia degli ambienti, aveva di certo
comportato, secondo il Collegio cautelare, anche l’esecuzione di opere
quantomeno interne di adattamento ed in ogni caso determinato un consistente
aggravio del carico urbanistico, avendo la struttura aumentato significativamente
la sua ricettività ed avendo, senza permesso di costruire, realizzato nuovi vani
abitabili, alterando la consistenza originaria del manufatto in conseguenza
dell’avvenuto cambio di destinazione incidente sul carico urbanistico,
configurandosi perciò anche le esigenze cautelari sottese al sequestro.
Nel pervenire a tali conclusioni, il Tribunale si è attenuto alla giurisprudenza
di questa Corte (Sez. 3, n. 11544 del 27/11/2012; Sez. 3, n. 6599 del
24/11/2011; Sez. 3, n. 40033 del 18/10/2011; Sez. U., n. 12878 del
20/03/2003), secondo cui l’incidenza di un immobile sul carico urbanistico va
valutata secondo indici concreti e può essere rappresentata, a titolo
esemplificativo, dalla consistenza dell’insediamento edilizio, dal numero di nuclei
familiari presenti, dall’incremento della domanda di strutture, opere collettive e
dotazione minima di spazi pubblici per abitante, dalla necessità di salvaguardare
l’ambiente e la staticità dei luoghi e, infine, dalla possibilità che le opere non
ancora ultimate siano portate a compimento e le unità non ancora abitate siano
occupate.
Perciò la sussistenza del pericolo derivante dalla libera disponibilità del bene
pertinente al reato va parametrata alla reale compromissione degli interessi
attinenti al territorio ed ad ogni altro dato utile a stabilire in che misura il
godimento e la disponibilità attuale della cosa da parte dell’indagato o di terzi
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contestato che il mutamento della destinazione d’uso potesse ritenersi libero, ai

possa implicare una effettiva ulteriore lesione del bene giuridico protetto, ovvero
se l’attuale disponibilità del manufatto costituisca un elemento neutro sotto il
profilo della offensività.
Come le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito (Sez. U., n. 12878 del
20/03/2003,cit.), la nozione di “carico urbanistico”, deriva dall’osservazione che
ogni insediamento umano è costituito da un elemento c.d. primario (abitazioni,
uffici, opifici, negozi) e da uno secondario di servizio (opere pubbliche in genere,
uffici pubblici, parchi, strade, fognature, elettrificazione, servizio idrico,

all’insediamento primario, ossia al numero degli abitanti insediati ed alle
caratteristiche dell’attività da costoro svolte. Quindi, il carico urbanistico è
l’effetto che viene prodotto dall’insediamento primario come domanda di
strutture ed opere collettive, in dipendenza del numero delle persone insediate
su di un determinato territorio. Si tratta di un concetto, non definito dalla vigente
legislazione, ma che è in concreto preso in considerazione in vari istituti del
diritto urbanistico, tra i quali:
a) gli standards urbanistici di cui al D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, che
richiedono l’inclusione, nella formazione degli strumenti urbanistici, di dotazioni
minime di spazi pubblici per abitante a seconda delle varie zone;
b)

la sottoposizione a concessione e, quindi, a contributo sia di

urbanizzazione che sul costo di produzione, delle superfici utili degli edifici, in
quanto comportino la costituzione di nuovi vani capaci di produrre nuovo
insediamento;
c) il parallelo esonero da contributo di quelle opere che non comportano
nuovo insediamento, come le opere di urbanizzazione o le opere soggette ad
autorizzazione.
Il carico urbanistico deve quindi intendersi come rapporto tra insediamenti
e servizi in un determinato territorio, attesa la potenziale incidenza di un
insediamento abitativo sulla distribuzione degli impianti urbanistici e dei servizi
pubblici, con la conseguenza che il suo aggravamento non è altro che l’effetto
che viene prodotto da una condotta ulteriore rispetto alla semplice consumazione
del reato e, cioè, dall’incidenza indebita che l’insediamento primario produce su
quello secondario in termini di domanda di strutture ed opere collettive.
Ciò è quello che si è puntualmente verificato nel caso di specie, come il
Giudice di merito ha congruamente spiegato, richiamando il numero non
irrilevante di camere di albergo, aperte e destinate al pubblico, ricavate
attraverso il mutamento della destinazione d’uso dei precedenti locali, in
considerazione della consistenza quantitativa degli spazi diversamente utilizzati
come desumibili dalle planimetrie in atti.

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condutture di erogazione del gas) che deve essere proporzionato

6. Manifestamente infondato è anche il terzo motivo di gravame perché il
Tribunale, non avendo ignorato che, in sede di udienza camerale, il ricorrente
aveva prodotto il nulla osta rilasciato dall’ente parco, ha correttamente ritenuto
come ciò, lungi dall’incidere sul

fumus

dei reati paesaggistici rimasto

impregiudicato dalla postuma autorizzazione (Sez. 3, Sentenza n. 17535 del
24/03/2010, Medina, Rv. 247166), di certo fosse del tutto irrilevante ai fini della
restituzione dei beni della vita reclamati, tanto sul fondamentale rilievo che sia il
fumus

che il

periculum in mora

fossero ampiamente integrati dai reati

7. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 136 della Corte
costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che la parte
abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa
di inammissibilità, alla relativa declaratoria, segue, a norma dell’art. 616 cod.
proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al
versamento della somma, ritenuta congrua, di Euro mille alla cassa delle
ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 13/12/2013

urbanistici, reati sui quali comunque reggeva il titolo cautelare.

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