Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5708 del 13/12/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 5708 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: GRAZIOSI CHIARA

Data Udienza: 13/12/2013

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CALIANDRO ISABELLA N. IL 21/11/1948
ROMANIN GIUSEPPE N. IL 19/10/1947
avverso l’ordinanza n. 70/2013 TRIB. LIBERTA’ di BRINDISI, del
26/04/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;
10t/sentite le conclusioni del PG Dott.
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RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 26 aprile 2013 il Tribunale di Brindisi ha rigettato la richiesta di riesame
contro provvedimento di sequestro preventivo del gip dello stesso Tribunale emesso in data 27
marzo 2013 e avente ad oggetto il Castello Svevo di Oria, richiesta proposta da Caliandro
Isabella e Romanin Giuseppe, indagati per i reati di cui agli articoli 181 e 170 d.lgs. 42/2000 e
44, lettera c), d.p.r. 380/2001 per avere, in concorso con altri soggetti (tra cui funzionari del
Comune di Oria e della Sopraintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici), effettuato,

peraltro illegittimamente rilasciati, in un bene di notevole interesse pubblico e vincolato appunto il suddetto castello – lavori di ristrutturazione e riqualificazione per destinarlo a uso
incompatibile (manifestazioni conviviali e convegni).
2. Ha presentato ricorso il difensore adducendo un unico motivo di violazione dell’articolo
321 c.p.p. Viene contestata l’esistenza di fumus commissi delicti e di periculum in mora; i
lavori indicati nella motivazione, che sarebbero stati pedissequamente trascritti da una
comunicazione della Polizia Municipale, non proverebbero l’esecuzione di opere senza
permesso di costruire. La motivazione sarebbe poi apparente, tenuto conto anche del fatto che
la Polizia Municipale avrebbe effettuato un sopralluogo ben due anni dopo la fine dei lavori,
solo allora qualificandoli abusivi. Non sarebbe stata considerata la prova a favore degli indagati
consistente in una relazione storica sul restauro del castello, effettuato due volte nel secolo
scorso. D’altronde gli interventi esterni sarebbero in gran parte assentiti e in molti casi privi di
rilievo penale. Non sarebbe quindi configurabile il reato di cui all’articolo 44, lettera c), d.p.r.
380/2001: la stessa Sopraintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici avrebbe dato
atto, nel certificato di collaudo dell’Il febbraio 2011, dell’esecuzione di un restauro “filologico”,
cioè in armonia con i permessi di costruire. Il ricorso ripropone inoltre una eccezione di
illegittimità costituzionale relativa all’articolo 170 d.lgs. 42/2004 che sarebbe stata disattesa in
modo inadeguato dal Tribunale. Infine si lamenta, come già anticipato, l’assenza del periculum
perché costituirebbe nel caso in esame solo una generica e astratta ipotesi, non potendosi
eseguire altri lavori, essendo l’intervento da tempo ultimato.
In data 9 dicembre 2013 sono stati depositati motivi aggiunti. Il primo motivo denuncia
nullità dell’ordinanza per violazione di legge e mancanza, contraddittorietà e manifesta
illogicità della motivazione; si sarebbero violati gli articoli 170 e 181, commi 1 e 1 bis lettera
a), d.lgs. 42/2004 con riferimento all’articolo 44, lettere b) e c), d.p.r. 380/2001. L’ordinanza
non avrebbe un apparato logico-giustificativo e sarebbe confusionaria. Si fonderebbe su un
macroscopico equivoco: l’inquadramento del castello nei beni culturali, laddove sarebbe solo
un bene paesaggistico. Non sarebbe stato accertato se gli interventi in questione rilevano sotto
é19profilo paesaggistico; erronea sarebbe anche la valutazione dei lavori interni al castello. In
conclusione si sarebbe violato l’articolo 170 d.lgs. 42/2004. Il secondo motivo denuncia ancora

in assenza di autorizzazione paesaggistica e in difformità rispetto a permessi di costruire

nullità dell’ordinanza per violazione di legge e mancanza, contraddittorietà e manifesta
illogicità motivazionale. Sarebbe violato l’articolo 321 c.p.p. in quanto l’ordinanza cautelare non
può anticipare la decisione di merito, onde è preclusa ogni valutazione sugli indizi di
colpevolezza e sulla loro gravità. Sarebbe poi inadeguata la rappresentazione del periculum.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è infondatofiut

cassazione contro le ordinanze relative a cautele reali alla denuncia della violazione di legge e
non, quindi, del vizio motivazionale come conformato dall’articolo 606, primo comma, lettera
e), c.p.p. Quale violazione di legge (articolo 125 c.p.p.) rileva allora, unicamente, la mancanza
assoluta della motivazione o la motivazione apparente (S.U. 13 febbraio 2004 n. 5876; Cass.
sez.III, 15 giugno 2004 n. 26583; Cass. sez.V, 1 ottobre 2010 n. 35532), non rilevando invece
in questa sede illogicità o incompletezza dell’apparato motivazionale (Cass. sez.V, 28 febbraio
2007 n. 8434; Cass. sez.VI, 20 febbraio 2009 n. 7472). Inammissibili sono dunque le censure
fondate su pretese contraddittorietà o illogicità della motivazione, potendosi considerare
esclusivamente quella che adduce apparenza, ovvero carenza motivazionale.
3.2 Sfrondando, allora, nelle doglianze del ricorso e dei motivi nuovi – che, in realtà, vedono
sulle stesse tematiche e possono essere considerati congiuntamente – quelli che possono
qualificarsi pretesi vizi motivazionali riconducibili all’articolo 606, primo comma, lettera e),
c.p.p., occorre evidenziare che gran parte delle censure – cioè laddove non si afferma
l’esistenza di una motivazione apparente e non si ripropone l’eccezione di illegittimità
costituzionale dell’articolo 170 d.lgs. 42/2004 – vede su profili puramente fattuali, tentando di
conseguire una versione alternativa degli esiti del compendio probatorio sommario, nel senso
della inesistenza sia del fumus commissi delicti sia del periculum in mora, e ciò da un lato per
la pretesa assenza di interventi affetti da criticità (sarebbe stata eseguita una operazione di
“restauro filologico”), e dall’altro perché il castello non sarebbe comunque un bene culturale,

3.1 Deve anzitutto ricordarsi che l’articolo 325 c.p.p. limita l’oggetto del ricorso per

negandosi infine l’esistenza di esigenze cautelari perché – ulteriore dato fattuale – i lavori
sarebbero ultimati da tempo. Una mera lettura della accurata motivazione dell’ordinanza del
Tribunale di riesame,, d’altronde, evidenzia la correttezza dell’accertamento espletato dal
giudice di merito in ordine alla sussistenza di

fumus e periculum, accertamento che, a

differenza di quanto prospettano i ricorrenti nel secondo dei motivi aggiunti, non viene affatto
confuso nell’ordinanza con una valutazione precoce della responsabilità o meno dei ricorrenti
stessi per i reati de quibus, ma finalizzato esclusivamente ai presupposti della cautela reale. Gli
interventi edilizi che allo stato appaiono illegittimi, in quanto compiuti in assenza o comunque
in difformità rispetto ai due permessi di costruire (nn. 131/2008 e 45/2009), oltre che dopo la
scadenza del termine di efficacia del titolo, sono stati specificamente elencati dal Tribunale
(motivazione, pagina 4) e di almeno alcuni di essi emerge ictu ocu/i l’incompatibilità assoluta

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con un “restauro filologico”. A titolo di esempio, si possono menzionare in tal senso lo
. spostamento di colonne monumentali, l’apertura di finestre sul perimetro esterno del castello,
l’abbattimento di alberi ad alto fusto per realizzare un parcheggio, la parziale demolizione della
scala che fronteggia il convento di San Benedetto e la costruzione di una scalinata esterna
nuova che dal bosco porta al primo piano del castello con interessamento del muretto del
camminamento esterno (v. anche pagina 5 della motivazione). Il giudice di merito inoltre – a
ulteriore dimostrazione che la motivazione non è stata fornita con modalità solo apparente – ha
espletato un’analitica ricostruzione della vicenda sotto il profilo delle prescritte autorizzazioni e

notevole interesse pubblico con d.m. 16 marzo 1998, nonché “sottoposto a vincolo diretto ai
sensi della legge n. 1089 del 1939, decreto di vincolo d’area archeologica del 18. 11. 2010,
vincolo boschi e macchie tav. 4 D PUTT, vincolo ambito C Tav. 2 D PUTT approvato con D.C.C.
n. 29 del 27. 10. 2005”, con conseguente necessità di ottenere, ai fini della validità dei
permessi di costruire rilasciati dal Comune di Oria, l’autorizzazione paesistica ex articoli 146 e
21 d.lgs. 42/2004, di cui la società proprietaria non ha mai goduto (motivazione, pagina 4).
Anche l’interno progetto è risultato “non legittimamente assentibile in quanto in contrasto con
le caratteristiche storico-artistiche del bene e senza che sia possibile distinguere tra parte
monumentale e non monumentale del castello, atteso il suo valore storico-culturale unitario”
(motivazione, pagina 6, che evidenzia altresì il percorso sfociato in esito negativo della
procedura di autorizzazione paesistica).
3.3 Sotto il profilo, poi, della pretesa assenza del periculum in mora, la motivazione
dell’ordinanza è ancora tutt’altro che apparente: vengono vagliate le esigenze cautelari sia in
riferimento all’articolo 181, commi 1 e 1 bis, lettera a), sia in riferimento all’articolo 170 d.lgs.
42/2004 (motivazione, pagina 8) ed evidenziata congruamente l’attualità delle stesse,
qualificando “concreto ed attuale” quello che viene identificato come “il rischio che la struttura
venga adibita, nuovamente, ad usi di tipo squisitamente turistico-ricettivo, incompatibili, come
tali, con le caratteristiche storico (sic) e giuridiche del complesso” (motivazione, pagina 9 s.). È
peraltro ovvio che la valutazione di incompatibilità di siffatte manifestazioni con il castello (che
i ricorrenti contestano, reputando sia notorio che tali attività non sono incompatibili con i
castelli) rientra nella cognizione di merito, per cui non può essere, in presenza come si è
appena visto di una motivazione non apparente, oggetto di censura in questa sede.
3.4 Infine, i ricorrenti ripropongono l’eccezione di illegittimità costituzionale dell’articolo 170
d.lgs. 42/2004 già sottoposta al Tribunale. Secondo i ricorrenti, infatti, vi sarebbe
indeterminatezza nell’espressione normativa “uso incompatibile” con il carattere storico e
artistico, e sarebbe stata violata la legge delega 137/2002 che nulla stabiliva sulle sanzioni
applicabili. L’eccezione deve essere considerata, naturalmente, nei limiti di rilevanza che può
assumere in questa sede: non è pertanto rilevante, trattandosi di cautela reale, la doglianza
relativa alla determinazione della sanzione per il reato di cui all’articolo 170. Quanto, allora,

dei titoli abilitativi, rimarcando che il castello d’Oria è un immobile plurisecolare dichiarato di

all’espressione “uso incompatibile” – che confliggerebbe con l’articolo 25 Cost. per assenza di

• “alcuna precisazione” – è la stessa difesa dei ricorrenti a riconoscere (pagine 6-7 del ricorso)
che “è agli occhi di tutti” quello che è compatibile con la natura storica di un maniero (cioè, a
suo avviso, le attività commerciali): logicamente non si vede, allora, come sarebbe di difficile
percezione il contrario, cioè l’attività incompatibile. In ogni caso, l’espressione utilizzata dal
legislatore ictu °culi non è affetta da indeterminatezza, poiché l’incompatibilità è commisurata
e rapportata specificamente a un “carattere storico od artistico”: il che costituisce, ovviamente,
una valutazione di merito affidata al giudice e che peraltro si nutre di quello che insegna il

Manifestamente infondata risulta, pertanto, l’eccezione di illegittimità, rispetto alla quale,
seppur in modo conciso, anche il Tribunale ha fornito una motivazione non apparente, laddove
ha, tra l’altro, qualificato l’articolo 170 “norma fornita di sufficiente grado di determinatezza ed
tassatività come risulta dalla complessiva interpretazione della normativa di tutela dei beni
culturali contenuta nel d.lgs. 42/2004” (motivazione, pagina 6).
In conclusione, per quanto fin qui osservato il ricorso deve essere dichiarato inammissibile,
con conseguente condanna dei ricorrenti, ai sensi dell’art.616 c.p.p., al pagamento delle spese
del presente grado di giudizio. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale
emessa in data 13 giugno 2000, n.186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il
ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, si dispone che i ricorrenti versino la somma, determinata in via equitativa, di
Euro 1000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e
della somma di €1000,00 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma il 13 dicembre 2013

notorio quanto all’incidenza di un siffatto carattere sulla corretta fruizione di un edificio.

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