Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5705 del 12/12/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 5705 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: GRAZIOSI CHIARA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CAPPELLO PIETRO N. IL 20/11/1957
avverso l’ordinanza n. 580/2013 TRIB. LIBERTA’ di GENOVA, del
23/09/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;
10(e/sentite le conclusioni del PG Dott.

p2SEDC=.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 12/12/2013

RITENUTO IN FATTO

, 40874/2013

1. Con ordinanza del 23 settembre 2013 il Tribunale di Genova ha respinto la richiesta di
riesame presentata dal difensore di Cappello Pietro – indagato per il reato di cui all’articolo 11
d.lgs. 74/2000 – avverso l’ordinanza del gip del Tribunale di Imperia del 5 agosto 2013 che lo
aveva sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari.
2. Ha presentato ricorso il difensore adducendo due motivi. Il primo motivo denunzia vizio

274, lettere b) e c), c.p.p. e alla eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche. Il
secondo motivo denuncia violazione dell’articolo 274, comma 2, lettera c), come novellato dal
d.l. 78/2013 convertito nella I. 94/2013 nonché vizio motivazionale in relazione all’articolo 292,
comma 2,Iettere c) e c bis), c.p.p.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è infondato.
I motivi addotti dal ricorrente possono essere valutati congiuntamente, in quanto consistono
in una sorta di monitoraggio complessivo della motivazione dell’ordinanza del Tribunale della
libertà, adattandosi alla sua sequenza strutturale.
Anzitutto, in ordine ai gravi indizi, secondo il ricorrente non sarebbero state affrontate nella
motivazione determinate argomentazioni difensive: il fatto che lo “svuotamento” del conto
corrente della società Air Process Mediterranée sarebbe avvenuto perché era una società di
diritto francese che in Italia aveva un mero punto di rappresentanza e il conto corrente di
Nizza cui erano convogliati i bonifici era quello della sua società madre; la società comunque
sarebbe stata operante perché il bilancio prodotto dalla difesa avrebbe dimostrato
l’immobilizzazione in esso di altre somme; l’indagato era un dipendente della società, con
delega ad operare nei confronti della clientela italiana, non un amministratore di fatto, e anche
ciò sarebbe stato dimostrato producendo la difesa il contratto di lavoro e le buste paga. Le
indagini inoltre sarebbero rimaste incomplete per non essere stati sentiti il commercialista

motivazionale in riferimento ai gravi indizi di colpevolezza, alle esigenze cautelari ex articolo

francese della società e i clienti francesi e non vi sarebbe prova che i modelli Iva con dati
falsificati siano comunque imputabili al indagato. Non sarebbero stati infine tenuti in
considerazione la produzione documentale dell’indagato e i suoi chiarimenti resi
nell’interrogatorio di garanzia.
Questo aspetto della doglianza è stato analiticamente richiamato perché ciò evidenzia la sua
sostanza fattuale, diretta a perseguire dal giudice di legittimità una sorta di revisione della
valutazione probatoria effettuata dal giudice di merito. D’altronde, nella motivazione il giudice
di merito non è tenuto a menzionare qualunque argomento difensivo nè ogni dato fattuale,
secondo il canone dell’assorbimento logico in via implicita degli elementi non decisivi che non
vengono espressamente menzionati (Cass. sez. I, 22 maggio 2013 n. 27825; Cass. sez. II, 8

(—D17

febbraio 2013 n.9242; Cass. sez. VI, 19 ottobre 2012 n.49970; Cass. sez.I, 19 ottobre 2011 n.
41738; Cass. sez. IV, 13 maggio 2011 n. 26660 e Cass. sez. VI, 4 maggio 2011 n. 20092;
Cass. sez. VI, 2 dicembre 2010 n. 45036). E nel caso in esame, poi, non è discutibile la
presenza di una motivazione specifica e attenta in ordine ai gravi indizi, che ha considerato
anche alcuni degli elementi sopra indicati e che non è dotata di una struttura scardinabile dai
dati addotti dal ricorrente. Il Tribunale ha infatti dato atto di una sistematica serie di prelievi a
opera dell’indagato dal conto corrente sociale (per circa 1 milione di euro dal 2009 al 2011)

dalla Guardia di Finanza era emerso che – essendo stati i bonifici diretti a un conto estero della
stessa società Air Process Mediterranée a Nizza o a un conto della società Proclean – “sia la
sede di Nizza della Air Process sia la sede della Proclean, in favore delle quali venivano deviati
gli utili, erano soltanto cassette postali di domiciliazione della corrispondenza”. Inoltre ha
chiarito il ruolo, allo stato emergente dagli indizi, dell’indagato nella vicenda, rilevando che la
società Air Process Mediterranée si poneva come “sostanziale prosecuzione” di una società
fallita del Cappello, nuova versione, quindi, che “non poteva evidentemente essere più
formalmente gestita dal indagato in quanto fallito”. Il Tribunale ha altresì osservato – così
logicamente disattendendo le contestazioni sul ruolo del Cappello di amministratore di fatto
della Air Process Mediterranée – come l’indagato stesso sia comunque comportato uti dominus
nelle vicende della società suddetta, sia in considerazione della sua condotta tipicamente
fraudolenta nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, sia per il significativo esser rimasto ignoto
l’apparente legale rappresentante della Air Process Mediterranée.
Il secondo profilo di doglianza attiene alla pretesa inutilizzabilità delle intercettazioni
telefoniche che il Tribunale non avrebbe confutato – rilievo infondato: v. ordinanza, pag.3 – .
Peraltro, tale pretesa inutilizzabilità non merita considerazione, in quanto dal complessivo
apparato motivazionale emerge che i gravi indizi sono stati dedotti principalmente e
sufficientemente dalla condotta stessa dell’indagato, sia per quanto concerne le operazioni di
bonifico che svuotavano il conto corrente della Air Process Mediterranée, sia per quanto
concerne il suo atteggiamento nei confronti della Agenzia delle Entrate, nonché da dati
oggettivi come la non identificabilità del legale rappresentante della Air Process Mediterranée e

che ne apportava il sostanziale svuotamento, sottolineando altresì che dalle indagini effettuate

le caratteristiche già sopra evidenziate dei collegamenti esteri della società stessa.
Il terzo aspetto contesta l’esistenza di un’adeguata motivazione – a seguito dell’invocata
novella – delle esigenze cautelari: l’ordinanza si limiterebbe al pericolo di recidiva e non vi
sarebbe motivazione sul pericolo di fuga, nè sarebbero specificate le ragioni dell’insufficienza di
una misura minore. Anche sotto questo aspetto, peraltro, il ricorso è privo di consistenza,
poiché il Tribunale, nell’ordinanza impugnata, ha offerto una motivazione correttamente
adeguata ai criteri normativi invocati dal ricorrente. Accanto al pericolo di reiterazione di
condotte analoghe, derivante dall’esistenza di una precedente società dello stesso genere, e
dalla sistematicità delle operazioni di svuotamento del conto corrente, il Tribunale – che
evidenzia come tale rischio di reiterazione imponga una “misura che garantisca l’interruzione

9r\–)

dei contatti con gli interlocutori e con i collaboratori che hanno reso possibile la commissione
delle condotte contestate” – affianca adeguati rilievi in ordine al pericolo di fuga e ancora sulla
insufficienza di una misura minore, osservando come la residenza all’estero dell’indagato “gli
consentirebbe agevolmente di sottrarsi alle indagini, con conseguente adeguatezza della
misura domiciliare in atto che appare proporzionata alla notevole entità del profitto ed alla
sistematicità della condotta illecita contestata”.
Sulla base delle considerazioni fin qui svolte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile,

del presente grado di giudizio. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale
emessa in data 13 giugno 2000, n.186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il
ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di
Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di €1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma il 12 dicembre 2013

Il Presidente

con conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art.616 c.p.p., al pagamento delle spese

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