Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5701 del 19/12/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 5701 Anno 2014
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: ORILIA LORENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CAPPELLI MANUELA N. IL 19/06/1976
avverso la sentenza n. 1243/2012 CORTE APPELLO di ANCONA, del
14/01/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 19/12/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LORENZO ORILIA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per e (

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 19/12/2013

RITENUTO IN FATTO
1.

Con sentenza 14.1.2013 la Corte d’Appello di Ancona – adita su

impugnazione del Procuratore Generale – riformando la pronuncia assolutoria emessa
dal Tribunale di Ascoli Piceno, ha ritenuto Cappelli Manuela colpevole del reato di cui
agli artt. 81 cpv cp e 2 D.L. 463/1983, convertito in legge 638/1983 e successive
modifiche (omesso versamento di ritenute previdenziali e assistenziali) in relazione alle
omissioni contributive nei termini di legge per il periodo compreso tra giugno e ottobre

15 di reclusione. Per quanto ancora interessa in questa sede, la Corte di merito ha
motivato la decisione rilevando che il verbale di contestazione risultava completo degli
elementi richiesti e regolarmente notificato. Ha ritenuto che i pagamenti erano
avvenuti oltre i termini di legge
2. La Cappelli – tramite il difensore – ricorre per cassazione deducendo tre
censure.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con la prima censura si denunzia ex art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cpp la
mancanza dell’accertamento della violazione, l’incompletezza dell’avviso di
accertamento, l’improcedibilità dell’azione e la mancanza di motivazione sul punto.
Sostiene la ricorrente di non avere ricevuto nessuna notifica del verbale di
accertamento, risultando agli atti la sola missiva dell’INPS indirizzata alla ricorrente
senza alcuna dimostrazione della ricevuta di ritorno o comunque senza la prova del
suo ricevimento e della piena conoscenza dell’atto. Rileva altresì l’incompletezza
dell’avviso per mancanza dell’indicazione delle somme. La Corte d’Appello, secondo la
ricorrente, avrebbe dovuto preventivamente verificare la corretta emissione dell’avviso
di accertamento completo dei requisiti di legge e successivamente la conseguente e
regolare notifica: rileva che non vi è alcuna motivazione sul punto.
Il motivo è infondato.
Il D.L. 12 settembre 1983, n. 463, art. 2, comma 1 bis, convertito nella L. 11
novembre 1983, n. 638, dispone che il datore di lavoro non è punibile se provvede al
versamento entro tre mesi decorrenti o dalla contestazione ovvero dalla notifica
dell’avvenuto accertamento della violazione. Il successivo comma 1 ter dispone poi che
la denuncia di reato è presentata o trasmessa dopo il versamento di cui al comma 1
bis ovvero decorso inutilmente il termine ivi previsto, mentre il comma 1 quater
stabilisce che durante il suddetto termine di cui al comma 1 bis il corso della
prescrizione rimane sospeso.
È stato precisato dalla giurisprudenza di legittimità che in riferimento al reato di
omesso versamento di ritenute previdenziali e assistenziali, ai fini del computo del
termine di mesi tre dall’accertamento per provvedere al pagamento del debito
contributivo integrante la causa di non punibilità di cui all’art. 2, comma 1 bis, è
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2007, condannandola alla pena di €. 700 di multa, di cui 570 in sostituzione di giorni

sufficiente l’effettiva sicura conoscenza da parte dei contravventore dell’accertamento
previdenziale svolto nei suoi confronti e non sono necessarie particolari formalità per la
notifica dello stesso (in tal senso,sez. 3, Sentenza n. 8963 del 2011, Santangelo; Sez.
3, n. 9513 del 10/3/2005, Jochner, Rv. 230985 cfr. altresì Sez. 3, Sentenza n. 26054
del 14/02/2007 Ud. dep. 06/07/2007 Rv. 237202).
Quanto al contenuto dell’avviso, le sezioni unite hanno chiarito che gli elementi
essenziali sono costituiti dall’indicazione del periodo di omesso versamento e

entro il termine di tre mesi concesso dalla legge e l’avviso che il pagamento consente
di fruire della causa di non punibilità (cfr. Sez. U, Sentenza n. 1855 del 24/11/2011
Ud. dep. 18/01/2012 Rv. 251268).
Nel caso di specie la Corte d’Appello, ha rilevato non solo la regolare notifica
all’imputata del verbale di contestazione, ma anche la sua completezza, precisando
che esso contiene oltre al puntuale prospetto delle inadempienze in diffida, l’espressa
menzione della rilevanza penale della fattispecie, con altrettanto espresso
avvertimento in ordine alla non punibilità del reato qualora l’interessata avesse
provveduto a regolarizzare il debito entro tre mesi dal ricevimento della comunicazione
utilizzando il modello F 24 (ossia, inequivocabilmente, versando l’importo richiesto
nella sua integrità).
Trattasi come si vede, di un tipico accertamento in fatto, congruamente
motivato, e quindi insindacabile in sede di legittimità.
Del resto, l’illogicità della motivazione, per essere apprezzabile come vizio
denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu
oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di
macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi
disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano
logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo
logico e adeguato le ragioni del convincimento (cass. Sez. 3, Sentenza n. 35397 del
20/06/2007 Ud. dep. 24/09/2007; Cassazione Sezioni Unite n. 24/1999, 24.11.1999,
Spina, RV. 214794).

2. Col secondo motivo, si denunzia la mancanza e illogicità della motivazione
con riferimento alla dedotta mancanza dell’elemento psicologico del reato, rilevandosi
che, stante la mancata conoscenza della notifica dell’avviso di accertamento e il
pagamento seppur tardivo, andava quanto meno pronunciata assoluzione ex art. 530
comma 2 cpp.
Il motivo è anch’esso infondato.
Innanzitutto, va ribadito il principio (Sez. 3, Sentenza n. 47340 del 15/11/2007
Ud. dep. 20/12/2007; Cass. n. 7044 del 1987; cass. 33141 del 2002) secondo cui
nella fattispecie non è affatto richiesto il dolo specifico, ma quello generico, il quale

3

dell’importo, la indicazione della sede dell’ente presso cui effettuare il versamento

consiste in definitiva nella volontarietà dell’omissione. Di conseguenza, una volta
accertata la volontarietà di tale omissione, non occorre un’esplicita motivazione
sull’esistenza del dolo.
Nel caso in esame la volontarietà dell’omissione si desume dal mancato
versamento delle ritenute nei termini previsti ed indicati nell’avviso spedito dall’NPS,
che – secondo l’insindacabile accertamento del giudice di merito – risulta regolarmente
notificato.

attenuanti generiche e la mancanza di motivazione sul punto ribadendo di avere
provveduto al pagamento integrale dell’obbligazione posta a suo carico.
Il motivo è, al pari degli altri, infondato.
Innanzitutto, la concessione delle attenuanti generiche non risulta invocata nel
giudizio di appello (come si evince dalle conclusioni rassegnate nel verbale di udienza).
In ogni caso, va osservato che la Corte di merito, prima di procedere alla conversione,
ha determinato una pena detentiva già corrispondente al minimo di legge (15 giorni ex
art. 23 c.p.), come tale non ulteriormente riducibile, neppure per effetto di una
eventuale concessione delle attenuanti generiche (tra le varie, cfr. Sez. 2, Sentenza n.
24864 del 29/05/2009 Ud. dep. 16/06/2009 Rv. 244341): sotto tale profilo, dunque, la
doglianza sarebbe addirittura inammissibile per carenza di interesse.
Quanto alla pena pecuniaria (fissata dal giudice di merito in C. 130 nell’ambito
di una

“forbice”

che parte dal minimo edittale e arriva sino a C. 1.032,91

corrispondenti a £. 2.000 previsti dall’art. 2 comma 1 bis del decreto legge 12
settembre 1983, n. 463 convertito con modificazioni dalla L. 11 novembre 1983, n.
638), trattasi di misura assai prossima al minimo di legge (C. 50, ex art. 24 cp),
determinata proprio in considerazione della

“modesta rilevanza del fatto”, il che

dimostra evidentemente che sono state prese in esame anche le circostanze relative al
successivo pagamento. La Corte d’Appello, dunque, nell’ambito di un giudizio di fatto
rimesso alla sua discrezionalità (artt. 132 e 133 cp) non ha ritenuto di compiere
ulteriori valutazioni circa l’adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed
alla personalità del reo e, stante la mancanza di specifica richiesta, non era tenuta
neppure a motivare.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Roma, 19.12.2013.

3. Con l’ultima censura la ricorrente denunzia il mancato riconoscimento della

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