Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5700 del 19/12/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 5700 Anno 2014
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: ORILIA LORENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SCAFI VIVIANA N. IL 21/03/1982
avverso la sentenza n. 2475/2012 CORTE APPELLO di ANCONA, del
25/02/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 19/12/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LORENZO ORILIA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

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Data Udienza: 19/12/2013

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza 25.2.2013 la Corte d’Appello di Ancona ha confermato la
condanna di Scafi Viviana alla pena di giustizia per il reato di detenzione di eroina a fini
di spaccio in concorso con tale Lico Aldo giudicato separatamente (la sostanza, del
peso di gr. 3.571,70 era stata rinvenuta in una borsa di plastica all’interno del
bagagliaio dell’auto intestata all’imputata e conservata in sette panetti e due involucri).
Per quanto ancora interessa, la Corte di merito, sulla base di una serie di
considerazioni in fatto, ha ritenuto che, contrariamente a quanto dedotto nei motivi di

appello, la condotta posta in essere dall’imputata abbia integrato sia sotto il profilo
materiale che soggettivo la fattispecie correttamente contestata a titolo concorsuale
avendo la Scafi posto in essere una azione assolutamente rilevante, attraverso un
contributo partecipativo sia materiale che morale alla condotta criminosa tenuta da
Lico Aldo, agevolandolo nel trasporto dello stupefacente e assicurandogli la piena
collaborazione.
2. Per l’annullamento della sentenza ricorre in cassazione (mediante difensore) la
Scafi deducendo cinque censure tutte incentrate sulla manifesta illogicità della
motivazione e l’erronea valutazione della prova.
2.1) Con un primo motivo rileva che esistevano in atti gravi indizi di colpevolezza
a carico del coimputato Lico Aldo mentre mancavano in equivoci elementi di prova a
carico della ricorrente. Osserva in particolare che la Corte d’Appello non ha fatto buon
governo del materiale probatorio dal quale risultava invece che essa era stata coinvolta
involontariamente in un traffico del quale doveva ritenersi responsabile il Lico a cui
appartenevano anche i cellulari trovati in auto. Evidenzia l’assenza di elementi nelle
intercettazioni telefoniche.
2.2) Con un secondo motivo rileva la mancanza del nesso logico tra le circostanze
di cui a pag. 5 della sentenza impugnata: osserva che la presenza della donna in
compagnia del Lico e di altri soggetti non costituisce nessun indizio circa la
consapevolezza della presenza dello stupefacente all’interno dell’auto, ma solo un
concatenarsi cronologico di circostanze irrilevanti
2.3 2.4)

Col terzo e quarto motivo la ricorrente denunzia la mancanza

dell’elemento psicologico rimproverando alla Corte di merito di avere ritenuto provata
la sua disponibilità alla illiceità del viaggio in auto quale “soggetto affidabile” per il
trasporto, rilevando, al contrario, di essere stata coinvolta a sua insaputa nella vicenda
dal Lico e dagli altri responsabili sol perché aveva l’autovettura, dietro compenso.
Riporta quindi il contenuto del verbale di interrogatorio dinanzi al GIP di Fermo
fornendo una propria versione dei fatti e ribadendo di non conoscere il Lico e di averlo
accompagnato in auto solo per guadagnare qualcosa, considerata la sua indigenza. Si
definisce una mera pedina incosciente nelle mani di terzi e rileva che se fosse stata

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consapevole della merce trasportata in auto non avrebbe manifestato stupore al
momento dell’arresto e non avrebbe indicato neppure alla PG cosa c’era nel bagagliaio.
Rileva che tali elementi non sono stati considerati nella sentenza impugnata.
2.5) Con l’ultima censura infine deduce l’esistenza in atti della prova della correità
di soggetti terzi fattivamente non incriminati. Rileva in sostanza che non si è
ulteriormente indagato sul ruolo di tale Balla Ngridgim detto Gimmy, l’amico albanese
di Lico, avente un ruolo rilevante nella vicenda, il vero correo, a differenza della
ricorrente, totalmente inconsapevole di avere collaborato al trasporto di droga. Nega di

avere apportato un contributo causale rilevante ai fini del concorso morale e rileva la
mancanza di elementi che potessero giustificare la sua responsabilità oltre ogni
ragionevole dubbio. Rileva che dagli atti emergono elementi che contrastano
apertamente con il ritento contributo causale in termini di occultamento e custodia
dello stupefacente, come ad esempio le indicazioni da essa stessa date alla polizia circa
la presenza della borsa nel bagagliaio della vettura e in subordine afferma che si
tratterebbe in ogni caso di una partecipazione assolutamente secondaria.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. L’identità del vizio dedotto con le varie censure ne rende opportuna una
trattazione congiunta.
Esse sono tutte manifestamente infondate.
E il caso di premettere che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della
motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l’oggettiva
tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli
elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e
diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, cfr. cass. sez.
terza 19.3.2009 n. 12110; cass. 6.6.06 n. 23528). Ancora, la giurisprudenza ha
affermato che l’illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio
denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu
ocull, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di
macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi
disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano
logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo
logico e adeguato le ragioni del convincimento (cass. Sez. 3, Sentenza n. 35397 del
20/06/2007 Ud. dep. 24/09/2007; Cassazione Sezioni Unite n. 24/1999, 24.11.1999,
Spina, RV. 214794).
Avendo la ricorrente posto anche la questione della connivenza non punibile, va
altresì richiamato il principio secondo cui in tema di detenzione di stupefacenti, la
distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel delitto va individuata nel fatto
che, mentre la prima postula che l’agente mantenga un comportamento meramente
passivo, nel concorso detto comportamento può manifestarsi anche in forme che

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..

agevolino la detenzione, consentendo l’occultamento della droga e assicurando all’altro
concorrente una relativa sicurezza. In siffatta condotta sono invero ravvisabili entrambi
gli elementi del concorso nel reato, sia quello soggettivo, consistente nella
consapevolezza di apportare un contributo causale alla detenzione della droga, sia
quello oggettivo della connessione tra condotta ed evento (cass. Sez. 6, Sentenza n.
1108 del 04/12/1996 Ud. dep. 06/02/1997 Rv. 206786; cfr. anche Sez. 3, Sentenza n.
9842 del 10/12/2008 Ud. dep. 04/03/2009 Rv. 242996; Sez. 4, Sentenza n. 40167 del
16/06/2004 Ud. dep. 13/10/2004 Rv. 229565; cfr. altresì, più di recente, Sez. 6,

Sentenza n. 14606 del 18/02/2010 Ud. dep. 15/04/2010 Rv. 247127; Sez. 4,
Sentenza n. 4948 del 22/01/2010 Ud. dep. 04/02/2010 Rv. 246649).
2. Ebbene, nel caso di specie, la Corte di merito ha spiegato, attraverso un
accertamento in fatto assolutamente privo di salti logici, il proprio convincimento sul
coinvolgimento dell’imputata nell’attività illecita.
La Corte di merito ha considerato il fatto che la Scafi era stata notata alcuni giorni
prima mentre usciva dalla abitazione di Balla Ndrigrim insieme a costui e ad altri
soggetti di nazionalità albanese e che una segnalazione di Polizia del 16 febbraio 2012
alle ore 15,00 aveva avvertito di un viaggio della donna a Brescia per acquistare
stupefacente destinato al suddetto Balla Ndrigrim; ha quindi ritenuto che il fermo della
donna alla guida della sua auto alle 16,45 dello stesso giorno presso il casello
autostradale di Porto Sant’Elpidio insieme al Lico, in possesso della borsa con lo
stupefacente, costituiva un chiaro ed evidente riscontro di quanto comunicato dalla
Questura e che l’accertata presenza, due giorni prima, della Scafi in compagnia di
ragazzi comunitari, tra cui proprio il soggetto indicato come destinatario dell’eroina poi
sequestrata, costituiva un evidente indizio della piena consapevolezza circa la presenza
dello stupefacente nella autovettura e quindi della responsabilità. Ancora, ha dato una
spiegazione plausibile del suo convincimento circa l’inattendibilità della tesi difensiva
secondo cui si sarebbe trattato di un mero accompagnamento dietro compenso senza
alcuna consapevolezza delle ragioni del viaggio e a tal fine a ha considerato la
inverosimiglianza di una tale ipotesi per la sconvenienza economica del trasferimento.
Ha poi richiamato l’imbarazzo e il nervosismo della donna durante il controllo di polizia,
manifestato anche attraverso il tremolio alle mani (come descritto nel verbale di
arresto) e da tale atteggiamento ha tratto un sintomo della sua preoccupazione per la
presenza dello stupefacente in auto. Ancora, ha negato rilievo alla mancanza di
elementi a carico risultanti dalle intercettazioni telefoniche e al fatto che i cellulari
sequestrati nell’autovettura non appartenessero alla donna, osservando che si trattava
comunque di un viaggio occasionale.
Da tutti questi elementi fattuali la Corte di merito ha tratto il convincimento del
contributo partecipativo alla condotta criminosa di Lico Aldo.

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In definitiva, l’intero percorso argomentativo dell’impugnata sentenza, ad avviso
del Collegio, ha una puntuale logica e coerenza interna e si sottrae pertanto alle
censure mosse dalla ricorrente che invece, attraverso una critica articolata ma
meramente fattuale, propone in definitva una diversa lettura delle risultanze
processuali.
Pertanto, nessuna rivisitazione è oggi consentita, se non a rischio di snaturare il
giudizio di legittimità.
Non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di

al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della
sanzione pecuniaria ai sensi dell’art. 616 cpp nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di €. 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 19.12.2013.

inammissibilità (Corte Cost. sentenza 13.6.2000 n. 186), alla condanna della ricorrente

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