Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 570 del 17/11/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 570 Anno 2016
Presidente: CONTI GIOVANNI
Relatore: SCALIA LAURA

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Lucarelli Vito, nato a Lecce il 03/03/1944
avverso l’ordinanza del 20/03/2015 della Corte di appello di Potenza
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta

consigliere Laura Scalia;

Cotte,/~
e. ‘91. Pubblico
ministero, in persona Sostituto Procuratore generale Aldo Policastro, che ha

concluso per l’accoglimento del ricorso, annullamento con rinvio totale.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 20 marzo 2015, la Corte di Appello di Potenza ha dichiarato V
inammissibilità della richiesta di revisione proposta il 24 febbraio 2015 da Vito Lucarelli quanto
alla sentenza n. 133 dell’ 8 maggio 2007, emessa dal Tribunale di Lecce.
La richiesta è stata ritenuta reiterativa, in quanto fondata su elementi già rappresentati
alla Corte territoriale, dell’istanza proposta il 26 luglio 2012 in ordine alla quale la Corte
distrettuale aveva già provveduto.
Nell’articolata vicenda amministrativa in cui si inserisce, anche, l’iniziativa del ricorrente, i
Giudici destinatari dell’istanza hanno infatti letto il difetto dei presupposti della “novità” e della

Data Udienza: 17/11/2015

“diversità”, di cui all’art. 641 cod. proc. pen., in quanto è stato rappresentato dall’istante a
sostegno della nuova richiesta di revisione.
Il ricorrente, Vito Lucarelli, è stato invero riconosciuto colpevole del reato di patrocinio
infedele (art. 380 cod. pen.) perché, in veste di legale, nel prestare assistenza tecnica ai
signori Renna e De Nitto, dolosamente omise attività in favore dei propri clienti.
Per la pregressa attività professionale da cui origina l’odierna istanza di revisione, il
Lucarelli dopo aver ottenuto dal T.A.R. competente declaratoria di illegittimità, per contrasto

a tale Marinucci per l’impianto di un esercizio commerciale — consistente in un bar-pasticceria
posizionato su area destinata a fruizione pubblica, immobile che avrebbe leso gli interessi dei
propri assistiti —, non avrebbe poi portato ad esecuzione detta pronuncia, omettendo di
attivare il giudizio di ottemperanza.
In siffatto contesto, l’elemento addotto dal ricorrente dinanzi alla Corte di Appello
potentina come in grado di provocare l’apertura del procedimento di revisione viene
individuato nella volontà del Comune di Castrignano dei Capo di mantenere la costruzione,
realizzata dal Martinucci e dichiarata illegittima dal T.A.R., ricomprendendo la stessa
nell’ambito di un parco attribuito alla pubblica fruizione.
L’indicata manifestazione sarebbe stata espressiva di una “non volontà” del Comune di
porre in essere quegli atti amministrativi che, finalizzati all’abbattimento della costruzione
secondo decisum del Giudice amministrativo, avrebbero costituito oggetto della prestazione
omessa dal legale infedele — per mancata attivazione del giudizio di ottemperanza — e quindi
ragione del nocumento arrecato agli interessi della parte difesa.
A detta volontà dell’Amministrazione — che avrebbe per tale via scelto di dare spontanea
esecuzione alla sentenza adottata dall’Autorità giudiziaria amministrativa sull’eliminazione del
vizio inficiante l’atto concessorio impugnato — si sarebbe accompagnata infatti l’elisione di ogni
pregiudizio integrativo della ritenuta fattispecie criminosa (art. 380 cod. pen.).

2. Avverso l’indicato provvedimento reiettivo dell’istanza di revisione propone ricorso per
cassazione Vito Lucarelli, in proprio, articolando cinque motivi.
2.1. Con il primo motivo, la parte denuncia di illegittimità il provvedimento di rigetto per
violazione della legge penale (artt. 634, 641 cod. proc. pen.) e violazione del diritto di difesa
(artt. 3 e 24 Cost.).
Il ricorrente lamenta come la Corte di Appello di Potenza avrebbe condotto nel giudizio
preliminare — da svolgersi sugli aspetti formali dell’istanza e costituente la “fase rescindente”
del procedimento diretta, come tale, al vaglio dell’ammissibilità della richiesta di revisione —
un sindacato proprio invece della “fase di merito” o “rescissoria”.
La Corte territoriale, nel vaglio da condursi sul carattere di “novità” dell’istanza, avrebbe
condotto un’analisi del nuovo ricorso e del precedente, quello datato 26 luglio 2012, previa

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con lo strumento urbanistico, della concessione rilasciata dal Comune di Castrignano del Capo

acquisizione istruttoria di quest’ultimo atto senza provocare il necessario contraddittorio tra le
parti.
Il ricorrente si duole altresì del fatto che la Corte di Appello — per esercizio di un sindacato
non consentito dalla natura della fase celebrata — abbia in concreto, e non, come invece
dovuto, in astratto, escluso il carattere di “novità” dell’elemento istruttorio dedotto e
comunque non abbia proceduto a detta valutazione nel contraddittorio, previa fissazione
dell’udienza (art. 636 cod. proc. pen.), non risultando peraltro integrata, per la descritta

2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia il vizio di motivazione del
provvedimento reiettivo per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione.
La parte lamenta, per tale via, oltre al carattere esorbitante del sindacato condotto
nell’impugnato provvedimento, sindacato proprio della fase rescissoria, il travisamento dei atti,
non riportando i due ricorsi per revisione alcun elemento di identità.
2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente fa valere poi per il provvedimento oggetto di
ricorso, violazione di legge, in relazione all’art. 636 cod. proc. pen.
La Corte di Appello avrebbe invero travalicato i limiti della fase di ammissibilità ponendo in
essere, de plano, un’attività da celebrarsi, invece, nel contraddittorio tra le parti in quanto
diretta a stabilire l’esistenza di ragioni di identità tra i due ricorsi per revisione.
2.4. Con il quarto motivo, il ricorrente fa valere

violazione

di legge in relazione

all’art. 630 cod. proc. pen., lamentando l’operata confusione in cui sarebbe incorsa la Corte
distrettuale tra “novità del fatto” e “novità della prova”, laddove, di contro a quanto ritenuto, al
fine della revisione sarebbe stata richiesta la sola “novità della prova”, come tale relativa ad un
fatto, che, anche coevo, non sarebbe stato conosciuto al momento della commissione del
reato.
2.5. Con il quinto motivo, la parte deduce vizi di motivazione nella parte in cui la Corte di
appello non avrebbe ritenuto il requisito della diversità degli elementi di cui all’art. 641 cod.
proc. pen., erroneamente individuando elementi di identità tra le due istanze di revisione.
La dichiarazione del Sindaco addotta a sostegno dell’ultima richiesta di revisione e con cui
il manufatto sarebbe stato acquisito a parco pubblico con libera fruizione da parte della
popolazione e conseguente impossibilità di abbattimento, dichiarazione dedotta dal ricorrente
come conosciuta il 17 febbraio 2015, avrebbe acquisito valenza di circostanza “nuova”, mai
valutata nei diversi gradi di giudizio e quindi meritevole di apprezzamento (art. 630 lett. c)
cod. proc. pen.).
3. Il Procuratore generale presso la Corte ha provveduto a depositare requisitoria scritta
con cui ha concluso per l’annullamento dell’impugnata ordinanza, con rinvio per il giudizio di
revisione alla Corte di Appello di Catanzaro, nella ritenuta inammissibilità dell’adottata
pronuncia.

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specie, un’ ipotesi di inammissibilità rilevabile ictu ocu/i.

Per quest’ultima, invero, deduce il rappresentante della Procura generale, si sarebbe
omesso di valutare le prove dedotte dal ricorrente e ciò in ragione di una declaratoria di
inammissibilità di pregressa istanza di revisione, erroneamente stimata come basata sulla
medesima prova.

RITENUTO IN DIRITTO

congiuntamente, manifestamente infondato e, come tale, inammissibile.
Per il proposto mezzo si chiede invero di dare definizione ai termini del sindacato che la
Corte di Appello è chiamata a condurre nell’ambito del procedimento di revisione del processo,
per quanto, più puntualmente, attiene alla fase cd. rescindente del giudizio di revisione, fase
destinata, come tale, a dare ingresso, previa eliminazione degli effetti di un giudizio di
condanna coperto da irrevocabilità, ad un nuovo accertamento, sostenuto da nuove prove.
L’art. 641 del codice di procedura penale attribuisce, ai soggetti legittimati a proporre
richiesta di revisione, il diritto — nel caso in cui sia intervenuta ordinanza di inammissibilità o
sentenza di rigetto — di presentare una nuova richiesta allorché la stessa sia fondata «su
elementi diversi».
1.1. Secondo una prospettiva eminentemente processuale, in cui al fine convergono i temi
dell’ammissibilità della pronuncia adottata e delle forme procedurali osservate, l’accertamento
che la Corte di Appello è chiamata ad effettuare sulla “novità” della richiesta e quindi sulla
“diversità” degli elementi di sostegno della stessa, può procedere per forme semplificate,
potendo l’accertamento esitare in un provvedimento di inammissibilità adottato, come
espressamente previsto dalla disciplina del procedimento (art. 634, comma 1, cod. proc. pen.),
d’ufficio, e quindi senza il contraddittorio tra le parti.
In tema di revisione, infatti, le valutazioni preliminari di inammissibilità della richiesta
possono essere compiute ‘de plano’, essendo rimessa alla discrezionalità della Corte di Appello
l’adozione del rito camerale con la garanzia del contraddittorio nei casi di inammissibilità che
non siano dì evidente ed immediato accertamento (Sez. 5, n. 26480 del 04/05/2015, Corrada,
Rv. 264848; Sez. 3, n. 37474 del 07/05/2014, B.; Sez. 2, n. 5609 del 27/01/2009, Scopece).
Il discrimen quindi tra i due modelli di procedimento, “camerale partecipato”, l’uno,
“camerale non partecipato”, l’altro, resta segnato dai contenuti della richiesta così come stimati
dalla Corte di Appello nell’esercizio dei poteri discrezionali alla stessa attribuiti.
La Corte territoriale di Potenza ha ritenuto che il ricorrente Lucarelli avesse sottoposto alla
cognizione della stessa il tema, già oggetto di una precedente richiesta del 26 luglio 2012,
costituito dai contenuti della volontà manifestata dal Comune di Castrignano, nel cui territorio
erano maturati i fatti di abuso edilizio dai quali era originata la vicenda per patrocinio infedele,
per la quale -Ign F
– a: il primo era stato condannato.
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1. Il ricorso proposto è, per tutti gli articolati motivi, tra loro connessi e da trattare

La seconda richiesta di revisione, quella del 24 febbraio 2015, è stata quindi stimata dalla
Corte territoriale, come, ancora una volta, diretta ad individuare una volontà
dell’Amministrazione finalizzata a dare in via alternativa, rispetto al

decisum giudiziale,

spontanea eliminazione del vizio inficiante il provvedimento concessorio impugnato, per
adozione di atti alternativi ai provvedimenti amministrativi finalizzati all’abbattimento della
costruzione ritenuta illegittima e conseguenti all’attuazione della sentenza del Giudice
amministrativo.

ancorché sinteticamente, motivato nell’adottata ordinanza, di dare una definizione di
inammissibilità alla seconda istanza di revisione, d’ufficio, non provvedendo a fissare una
udienza in camera di consiglio a cui fosse chiamato a partecipare l’istante.
La immediata ed evidente riscontrabilità della natura meramente reiterativa, e come tale
inammissibile, per difetto del requisito della «diversità» degli elementi di sostegno, degli iniziali
contenuti della richiesta non risulta poi inficiata dalla mera acquisizione che la Corte territoriale
ha, d’ufficio, effettuato della precedente richiesta di revisione.
Si tratta invero di un’attività materiale e necessitata dal preliminare sindacato di
ammissibilità richiesto alla Corte di Appello (così per il raffronto tra i contenuti di due richieste
di revisione succedutesi nel tempo), a cui non si accompagna alcun momento valutativo
rispetto al quale sarebbe stato necessario, invece, provocare il contraddittorio con il
richiedente.
Va quindi dichiarata l’inammissibilità del proposto ricorso ed il ricorrente va condannato al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.500,00 in favore della Cassa delle
ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di euro 1.500,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 17 novembre 2015

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Per i ritenuti contenuti, la Corte di Appello ha pertanto stimato, come congruamente,

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