Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5696 del 25/11/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 5696 Anno 2015
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: TARDIO ANGELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PELLICANÒ SANTO, nato il 14/05/1986
avverso l’ordinanza n. 1040/2014 TRIBUNALE LIBERTÀ di MILANO
del 29/07/2014;

sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. Angela Tardio;
sentite le conclusioni del Procuratore Generale dott. Paolo Canevelli,
che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
preso atto che nessuno è comparso per il ricorrente.

Data Udienza: 25/11/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 29 luglio 2014, il Tribunale di Milano, costituito ai sensi
dell’art. 310 cod. proc. pen., ha respinto l’appello proposto da Pellicanò Santo, in
atto detenuto presso la Casa circondariale S. Soro – Oristano, avverso
l’ordinanza del 30 giugno 2014 della Corte di appello di Milano, che aveva
rigettato la sua istanza di scarcerazione per decorrenza dei termini di durata

1.1. Il Tribunale premetteva che:
– l’appellante era sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere
dall’i luglio 2010 in relazione ai delitti previsti dall’art. 416-bis, commi 1, 2, 3 e
6, cod. pen. (capo 1) e dall’art. 12-quinquies d.l. n. 306 del 1992, aggravato ai
sensi dell’art. 7 d.l. n. 152 del 1991 (capo 8);
– per detti delitti l’appellante era stato condannato dal Tribunale di Milano
alla pena di anni sette e mesi otto di reclusione con sentenza del 20 luglio 2012,
integralmente confermata nei suoi confronti dalla sentenza del 19 giugno 2013
della Corte di appello di Milano, impugnata con ricorso per cassazione, ancora
pendente;

l’istanza avanzata il 25 giugno 2014 dall’appellante, volta alla sua

scarcerazione per decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare,

“di cui

agli artt. 304 c. 4 lett. b) n. 3 cpp”, alla data del 30 giugno 2014, era stata
rigettata poiché al termine massimo da individuare in quello di quattro anni, di
cui all’art. 303, commi 1, lett. d), ultima parte, e 4, cod. proc. pen., dovevano
aggiungersi, ai sensi dell’art. 304, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., i periodi di
sospensione disposti con ordinanze emesse nei due gradi del giudizio di merito
con riguardo ai termini di deposito delle rispettive sentenze, pari a complessivi
centottanta giorni.
1.2. Tanto premesso il Tribunale rilevava, a ragione della decisione, che
– era stato correttamente indicato in quattro anni il termine complessivo
della durata della custodia cautelare, avuto riguardo alla pena, determinata ai
sensi dell’art. 278 cod. proc. pen., per il più grave reato ascritto al capo 1);
– a tale termine, scaduto 11 luglio 2014, andavano aggiunti i periodi di
sospensione del decorso del termine, previsti dall’art. 304 cod. proc. pen., come
disposto dalla Corte di appello;
– non deponeva per la tesi dell’appellante, posta a fondamento della sua
impugnazione, la circostanza che l’art. 303, comma 4, cod. proc. pen. facesse
riferimento solo ai periodi di proroga e non a quelli di sospensione, poiché l’art.
304, comma 1, cod. proc. pen., nell’indicare í casi di sospensione, si riferiva a

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massima della misura cautelare.

tutti i termini previsti dall’art. 303 cod. proc. pen., e quindi sia ai termini di fase
sia a quelli di durata complessiva;
– tale principio era stato anche più volte affermato in questa sede di
legittimità.

2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione
personalmente l’imputato, che ne chiede l’annullamento, con sua conseguente
scarcerazione, per sopravvenuta perdita di efficacia della custodia cautelare.

303, comma 4, lett. b), cod. proc. pen. si ricava, contrariamente a quanto
ritenuto nell’ordinanza, che la durata massima complessiva e, quindi, totale della
custodia cautelare non può superare il termine di quattro anni -quando per il
delitto per cui si procede la legge stabilisce la pena della reclusione non
superiore nel massimo a venti anni-, considerate le proroghe previste dall’art.
305 cod. proc. pen., con conseguente impossibilità di aumento dell’indicato
termine.
Inoltre, a avviso del ricorrente, il riferimento contenuto nell’art. 304, comma
1, lett. c), cod. proc. pen. alla sospensione dei termini “nella fase del giudizio,
durante la pendenza dei termini previsti dall’art. 544, commi 2 e 3” deve essere
inteso come relativo al periodo in cui è in atto “lo svolgimento del giudizio o
processo o dibattimento”.
Le norme giuridiche devono, in ogni caso, essere lette in modo coordinato e
deve darsi maggiore preferenza alla norma, ove non vi sia come nella specie
coerenza, che salvaguardi con minore sacrificio la libertà personale, come
ritenuto dalle Sezioni unite di questa Corte con sentenza del 29 maggio 2014.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

2. Secondo la tesi del ricorrente, il termine di durata massima della custodia
cautelare, non contestato nella misura di quattro anni sì come ritenuta
nell’ordinanza impugnata ai sensi dell’art. 303, commi 1, lett. d), ultima parte, e
4, lett. b), cod. proc. pen., non può essere prolungato di sei mesi, pari alla
sommatoria dei termini per il deposito delle sentenze conclusive dei due gradi
del giudizio di merito. Tale tesi si fonda, alla stregua della proposta
interpretazione letterale e sistematica, sul rilievo che l’art. 303, comma 4, lett.
b), cod. proc. pen. si riferisce alla durata massima complessiva della custodia
cautelare che “considerate le proroghe previste dall’art. 305” non può superare il
predetto termine, che, pertanto, non è possibile aumentare; l’art. 304, comma 1,

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Secondo il ricorrente, dalla interpretazione letterale e sistematica dell’art.

lett. c), cod. proc. pen., attiene alla “fase del giudizio”, che deve essere in corso
di svolgimento, e il contrasto tra dette norme deve essere risolto nel senso di
privilegiare quella che è “a favore dei principi costituzionali che salvaguardano la
limitazione della libertà personale”.

3.

La proposta tesi, invocata dal ricorrente a conforto della dedotta

sopravvenuta perdita di efficacia della custodia cautelare, è priva di giuridico
pregio.

30 giugno 2014 della Corte di appello di Milano, che aveva rigettato l’istanza di
scarcerazione avanzata dall’odierno ricorrente per decorrenza dei termini di
durata massima della misura custodiale, ha condiviso le ragioni che avevano
fondato tale decisione, correlate, secondo la proposta interpretazione logica e
sistematica degli stessi artt. 303, comma 4, lett.

b), cod. proc. pen., e 304,

comma 1, lett. c), cod. proc. pen., al richiamo operato dall’art. 304, comma 1,
cod. proc. pen., nella tipizzazione e disciplina dei casi di sospensione del termine
di durata della custodia cautelare, ai

“termini previsti dall’art. 303”,

e,

conseguentemente, sia ai termini di fase sia a quelli complessivi, alla
conseguente suscettibilità di sospensione anche del termine complessivo di
custodia di cui all’art. 304, comma 4, cod. proc. pen., e al conclusivo necessario
computo dei periodi di sospensione quando si deve individuare la scadenza del
termine di custodia nel limite massimo di cui all’art. 304, comma 6, cod. proc.
pen.
3.2. Nello svolgimento di tali articolate e coerenti argomentazioni il
Tribunale ha fatto esatta interpretazione e corretta applicazione dei richiamati
principi di diritto, affermati da questa Corte e qui condivisi, secondo cui

“in

materia di custodia cautelare, la sospensione dei termini di cui all’art. 304 lett. c)
cod. proc. pen., (pendenza dei termini per la redazione della sentenza), opera
non solo per i termini intermedi e di fase, ma anche -fermo restando il limite di
cui al comma sesto del citato art. 304 cod. proc. pen.- per il termine di durata
massima di custodia cautelare”

(Sez. 5, n. 4998 del 18/11/1996, dep.

03/12/1996, Fiorisi, Rv. 206095; Sez. 6, n. 13907 del 13/03/2012, dep.
12/04/2012, Greco, Rv. 252584; nonché, Sez. 2, n. 3106 del 18/12/2007,
dep. 21/01/2008, Aspa, Rv. 239295; Sez. 1, n. 1071 del 17/12/2008,
dep. 13/01/2009, Giacalone, Rv. 243930, in fattispecie relative alla sospensione
dei termini di durata massima della custodia cautelare disposta, ai sensi dell’art.
304, comma 2, cod. proc. pen., per i dibattimenti particolarmente complessi
relativi ai reati indicati nell’art. 407, comma 2, lett. a), cod. proc. pen.).

4. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
4

3.1 Il Tribunale, nel confermare, in sede di appello cautelare, l’ordinanza del

Al rigetto del ricorso segue di diritto la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
La Cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94,
comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese

Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del provvedimento al
P, CU Direttore dell’Istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94, comma 1-ter, disp. att.
CM CI
ffi) cìd proc. pen.
zr:
Così deciso in Roma, il 25 novembre 2014
e 75;

processuali.

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