Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 56954 del 21/09/2017

Penale Sent. Sez. 6 Num. 56954 Anno 2017
Presidente: CONTI GIOVANNI
Relatore: FIDELBO GIORGIO

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:
1) A.A.
2)B.B.

3)C.C.

avverso la sentenza del 19/12/2016 emessa dalla Corte d’appello di Torino;
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione del consigliere Giorgio Fidelbo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale Perla
Lori, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza
impugnata per mancata rinnovazione dell’istruttoria;
udito l’avvocato Cosimo XX, che ha insistito per l’accoglimento del
ricorso.

Data Udienza: 21/09/2017

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 17 aprile 2014 il Tribunale di Torino assolveva
A.A., B.B. e C.C. dal reato di truffa (capo
A),

per avere, con artifici e raggiri, indotto L.L. e P.P., a vendere gli appezzamenti di terreni siti in Rivalta, corrispondendo

del prezzo convenuto e, per la parte restante,

consegnando 6 assegni privi di provvista, ritenendo che le condotte degli
imputati integrassero solo un inadempimento civile; riconosceva il solo A.A.
responsabile per il reato di calunnia (capo B), avendo denunciato falsamente
lo smarrimento degli assegni, nonostante fosse consapevole di averli
consegnati ai venditori del terreno, condannandolo alla pena di un anno e sei
mesi di reclusione e al risarcimento dei danni in favore di L.L., con una
provvisionale.

2. Sull’appello dell’unico condannato e delle parti civili, la Corte d’appello di
Torino, con la sentenza indicata in epigrafe ha:
– confermato la responsabilità di A.A.

per la calunnia, riducendo la

provvisionale ad euro 1.000, in relazione ai soli danni morali, escludendo la
sussistenza di un danno patrimoniale del L.L;
– in accoglimento dell’appello delle parti civili, ha riconosciuto gli imputati
responsabili, agli effetti civili, del reato di truffa, condannandoli in solido a
risarcire il danno non patrimoniale, liquidato equitativamente in euro 1.000
per L.L. e in euro 1.000 per P.P.

3. L’avvocato Cosimo XX, nell’interesse dei tre imputati, ha proposto
ricorso per cassazione, limitato alla contestazione del reato di truffa, per come
ritenuto dal giudice di appello.
3.1. Con il primo deduce il vizio di motivazione della sentenza impugnata,
in quanto ha ribaltato la decisione assolutoria di primo grado, fondata anche
su prove dichiarative, senza provvedere alla loro riassunzione, così come
stabilito da ultimo dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 27620/2017,
Dasgupta).
3.2. Con il secondo motivo censura la sentenza sotto il profilo dell’errata
applicazione dell’art. 640 cod. pen. e del vizio di motivazione, assumendo che,

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solo una prima parte

contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, non vi sarebbe stato
alcun comportamento malizioso da parte degli imputati, considerato che i due
venditori accettarono consapevolmente in pagamento 4 assegni di cui due
post datati; inoltre, contesta che i ricorrenti avrebbero sfruttato le difficoltà
economiche dei venditori. Ma soprattutto, si evidenzia come nella fattispecie
l’elemento dell’artificio o del raggiro, idoneo ad ingannare la vittima, non

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo è infondato là dove richiama l’applicazione dei principi
stabiliti dalla sentenza n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta resa dalle Sezioni
unite di questa Corte di cassazione.
Secondo questa sentenza la previsione contenuta nell’art.6, par.3, lett. d)
della Cedu, relativa al diritto dell’imputato di esaminare o fare esaminare i
testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a
discarico, implica che il giudice di appello, investito della impugnazione del
pubblico ministero avverso la sentenza di assoluzione di primo grado, con cui
si adduca una erronea valutazione delle prove dichiarative, non può riformare
la sentenza impugnata, affermando la responsabilità penale dell’imputato,
senza avere proceduto, anche d’ufficio, ai sensi dell’art. 603, comma 3, cod.
proc. pen., a rinnovare l’istruzione dibattimentale attraverso l’esame dei
soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo, precisando che
tale principio trova applicazione anche nel caso di riforma della sentenza di
proscioglimento di primo grado ai soli fini delle statuizioni civili, sull’appello
proposto dalla parte civile. Tuttavia, in ogni caso, le Sezioni unite richiedono
che l’obbligo di rinnovazione debba riguardare i soggetti che abbiano reso
dichiarazioni ritenute “decisive” ai fini del giudizio assolutorio di primo grado,
precisando che la mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale «non
rilevi di per sé, ma solo in quanto la sentenza di appello abbia operato ex actis
un ribaltamento della decisione assolutoria di primo grado sulla base di una
diversa lettura delle prove dichiarative».
Tali elementi non si riscontrano nella fattispecie in esame, in cui giudici di
primo e di secondo grado sono pervenuti ad esiti differenti valorizzando
elementi probatori differenti, sebbene di natura dichiarativa.

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00

abbia preceduto l’atto di disposizione.

Il Tribunale di Torino ha assolto gli imputati dal reato di truffa
valorizzando, tra l’altro, le stesse loro dichiarazioni, secondo cui era stato
L.L. a sollecitare una rapida stipulazione dell’atto definitivo di
compravendita, versione confermata dalla testimonianza del notaio rogante,
sicché in forza di tali elementi i giudici hanno ritenuto verosimile che gli
imputati siano stati «indotti a concludere il contratto pur non disponendo della

consapevolezza da parte dei venditori dello «stato di illiquidità, se non di
insolvenza dei debitori», sicché viene fatta cadere l’ipotesi degli artifici posti
in essere dagli imputati e lo stesso pagamento del saldo con gli assegni post
datati perde rilevanza ai fini della dimostrazione della condotta fraudolenta.
Invece, la Corte territoriale ritiene sussistente la truffa valorizzando, in
primo luogo, le dichiarazioni rese dalla persona offesa, Antonino Loparco,
sottolineando come dal racconto di questi emerga il comportamento
fraudolento e malizioso degli imputati che, inizialmente, ottengono la fiducia
dei venditori tramite il regolare pagamento degli assegni al momento del
preliminare, con la promessa di versare il saldo in contanti una volta stipulato
il contratto definitivo, per poi, all’ultimo momento, approfittando della
situazione di difficoltà dei venditori, convincere L.L. ad accettare come
pagamento del saldo assegni post datati, dandogli false assicurazioni circa il
pagamento alle scadenze dei vari titoli.
In questo caso, la sentenza d’appello è pervenuta ad un esito di
condanna attraverso un diverso percorso, valorizzando altri elementi
probatori, senza pervenire ad una diversa valutazione delle prove dichiarative
poste a base della decisione di primo grado. In altri termini, le prove
dichiarative che il primo giudice ha ritenuto in linea di massima decisive per
giustificare una sentenza assolutoria, sono state sostituite da altre prove
dichiarative su cui il secondo giudice ha, di fatto, fondato la sua decisione
alternativa.
Inoltre, va sottolineato che nell’appello proposto dalle parti civili non si è
fatto riferimento ad una erronea valutazione delle prove dichiarative, quanto
ad una erronea interpretazione dei fatti.
Pertanto, si è al di fuori dell’ambito applicativo dei principi enunciati dalla
sentenza “Dasgupta” e del conseguente obbligo di rinnovazione della
istruzione dibattimentale.

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necessaria liquidità», con la conseguenza che è stata riconosciuta la piena

2. Tuttavia, deve considerarsi che con il primo motivo del ricorso gli
imputati hanno censurato, in via generale, l’illogicità manifesta della
motivazione, censura che appare fondata nella misura in cui la sentenza di
appello, nel riformare la decisione assolutoria, ha completamente omesso di
prendere in considerazione le ragioni che il Tribunale ha posto a sostegno

Come è noto, secondo un orientamento di questa Corte ormai risalente,
la sentenza di appello di riforma totale del giudizio assolutorio di primo grado
deve confutare specificamente, pena altrimenti il vizio di motivazione, le
ragioni poste dal primo giudice a sostegno della decisione assolutoria,
dimostrando puntualmente l’insostenibilità sul piano logico e giuridico degli
argomenti più rilevanti della sentenza di primo grado, anche avuto riguardo ai
contributi eventualmente offerti dalla difesa nel giudizio di appello, e deve
quindi corredarsi di una motivazione che, sovrapponendosi pienamente a
quella della decisione riformata, dia ragione delle scelte operate e della
maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o
diversamente valutati, giustificando la divergente valutazione accordata a
prove ritenute invece rilevanti dal primo giudice (Sez. U, n. 33748 del
12/07/2005, Mannino, Rv. 231679; Sez. 6, n. 6221 del 20/04/2005, Aglieri,
Rv. 233083; Sez. 2, n. 50643 del 18/11/2014, Fu, Rv. 261327).
Tale onere di motivazione vale, ovviamente, anche nel caso in cui
l’appello sia limitato ai soli interessi civili, come nel caso in esame.
Nella specie, la Corte territoriale ha completamente trascurato di valutare
la testimonianza del notaio rogante, valorizzata dal primo giudice perché
confermativa delle tesi difensive degli imputati, anch’esse non considerate. In
sostanza è mancata una motivazione rafforzata, in grado di offrire una
puntuale ragione delle difformi conclusioni assunte: nell’ipotesi di riforma della
sentenza assolutoria di primo grado, il principio dell’oltre ogni ragionevole
dubbio è rispettato solo qualora il giudice d’appello delinei, con adeguata
motivazione, le linee portanti del proprio alternativo percorso argomentativo,
che metta in evidenza le ragioni di incompletezza o incoerenza del
provvedimento riformato.

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della sua sentenza.

3. Dal dedotto vizio di motivazione, consegue l’annullamento della
sentenza impugnata, limitatamente ai capi che riguardano le statuizioni civili,
con rinvio per nuovo giudizio, ai sensi dell’art. 622 cod. proc. pen., dinanzi al
giudice civile competente per valore in grado di appello.

Annulla la sentenza impugnata pronunciata agli effetti civili e rinvia
dinanzi al giudice civile competente per valore in grado di appello.
Così deciso il 21/09/2017

Il Consiglite estensore
Giorgi Fiklbo

Il Presidente
Giovanni Conti

P. Q. M.

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