Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5690 del 09/07/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 5690 Anno 2015
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: TARDIO ANGELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ATTANASIO ALESSIO, nato il 16/07/1970
avverso il decreto n. 5567/2013 GIUDICE SORVEGLIANZA di
NOVARA del 14/11/2013;

sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. Angela Tardio;
lette le conclusioni del Procuratore Generale dott. Giovanni D’Angelo,
che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso e condannarsi la
parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una
somma in favore della Cassa delle ammende.

Data Udienza: 09/07/2014

eT,

RITENUTO IN FATTO

1. Con decreto del 14 novembre 2013, il Magistrato di sorveglianza di
Novara ha dichiarato inammissibile il reclamo con il quale Attanasio Alessio,
detenuto presso la Casa circondariale di Novara in regime differenziato ex art.
41-bis Ord. Pen., si doleva, unitamente ad altri detenuti, della non ottemperanza
da parte della Direzione dello stesso Istituto all’ordinanza del 4 aprile 2013 del

contrasto con la normativa vigente, di cui agli art. 41-bis, comma 2-quater, lett.
b), Ord. Pen. e 37, comma 10, d.P.R. n. 309/90, sia le disposizioni che negavano
la possibilità di un colloquio alternativo di due ore con i congiunti e i familiari sia
quelle che negavano la possibilità di una valutazione da parte della Direzione
delle circostanze eccezionali poste a base di eventuali colloqui straordinari.
Il Magistrato rilevava a ragione della decisione che l’ordinanza del 4 aprile
2013 non aveva individuato un obbligo per la Direzione di concedere colloqui
ordinari e straordinari, ma un dovere della stessa di adeguarsi alle fonti
normative più elevate in grado nella stesura delle disposizioni interne, che
imponevano

“l’obbligo di valutare, discrezionalmente da pare

dell’Amministrazione penitenziaria, se concedere o meno il colloquio prolungato”.
L’esecutività della indicata ordinanza era peraltro sospesa, poiché era stata
oggetto di ricorso per cassazione da parte dell’Amministrazione penitenziaria per
mezzo dell’Avvocatura dello Stato, con conseguente ripristino temporaneo della
pregressa situazione.

2. Avverso detto decreto l’interessato Attanasio ha proposto due atti di
ricorso per cassazione.
2.1. Con il primo atto di ricorso presentato personalmente, ai sensi dell’art.
123 cod. proc. pen., il ricorrente chiede l’annullamento del provvedimento
impugnato, denunciando:
– violazione di legge, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc.
pen., in relazione all’art. 14-ter Ord. Pen., poiché il reclamo non poteva essere
dichiarato inammissibile

de plano,

ma doveva essere fissata l’udienza in

contraddittorio;
– travisamento del fatto e mancanza di motivazione, ai sensi dell’art. 606,
comma 1, lett. e), cod. proc. pen., con riguardo alla richiesta di fruizione del
raddoppio del colloquio, ove il detenuto non abbia effettuato il previsto colloquio
nel mese antecedente;
– violazione di legge, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc.
pen., in relazione all’art.

14-ter Ord. Pen., poiché il diniego della richiesta di

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medesimo Magistrato, che aveva dichiarato illegittime, perché in palese

colloquio prolungato ex art. 37, comma 10, d.P.R. n. 230/2000 (e non d.P.R.
309/1990, come erroneamente indicato) non è atto insindacabile su cui l’autorità
giudiziaria non può intervenire;
– violazione di legge, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc.
pen., in relazione all’art. 666, comma 7, cod. proc. pen. e all’art. 14-ter, ultimo
comma, ultimo periodo, Ord. Pen., poiché l’impugnazione del provvedimento non
ne sospende l’esecutività.
2.2. Con il secondo atto di ricorso, presentato per mezzo del difensore avv.

– inosservanza e/o erronea applicazione dell’art. 666, comma 2, cod. proc.
pen. e manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1,
lett. b) ed e), cod. proc. pen., per l’assoluta incertezza circa le motivazioni che
hanno indotto il Magistrato di sorveglianza a dichiarare inammissibile il reclamo,
né, esclusa l’ipotesi della riproposizione di istanza già rigettata, emergendo le
condizioni di legge che sarebbero venute meno;
– inosservanza e/o erronea applicazione dell’art. 666, comma 7, cod. proc.
pen., ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., per l’espressa
previsione della non sospensione dell’esecuzione dell’ordinanza, emessa ai sensi
dell’art 666 cod. proc. pen., per effetto della proposizione del ricorso per
cassazione.

3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato requisitoria
scritta, concludendo per la declaratoria d’inammissibilità del ricorso per la
manifesta infondatezza delle censure.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso va accolto dovendo essere rilevata la nullità del provvedimento
impugnato che è stato emesso de plano senza le forme e le garanzie della
procedura giurisdizionale prevista dall’art.14-ter Ord. Pen.

2. Si rileva in diritto che l’attuale sistema di tutela giurisdizionale dei diritti
dei detenuti nei confronti dell’Amministrazione penitenziaria è conseguito a
ripetuti e progressivi interventi della Corte costituzionale.
2.1. Detta Corte, movendo dalla constatazione, indotta dall’art. 2 Cost., che
lo stato detentivo non elimina la titolarità dei diritti in capo al detenuto e che al
riconoscimento della titolarità di un diritto non può non accompagnarsi il potere
di farlo valere innanzi a un giudice, ha dichiarato, con sentenza n. 26 del 1999,
la illegittimità costituzionale degli artt. 35 e 69 Ord. Pen. nelle parti in cui non
prevedevano la possibilità per il detenuto di impugnare davanti a un giudice un

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Stefania Gottero, il ricorrente deduce due motivi, denunciando rispettivamente:

provvedimento dell’amministrazione penitenziaria ritenuto lesivo di un proprio
diritto e ha demandato al legislatore il compito di colmare la lacuna attraverso
l’introduzione di un procedimento giurisdizionale adeguato.
In assenza di un efficace intervento legislativo, e in considerazione della
necessità “costituzionalmente garantita” di un adeguato sistema di tutela dei
diritti del detenuto, la stessa Corte, con sentenza n. 526 del 2000, ha invitato la
giurisprudenza a

“concretizzare il principio affermato”

nella sua precedente

pronuncia, cercando all’interno dell’ordinamento penitenziario il rimedio da

A tale sollecitazione la giurisprudenza di questa Corte ha dato risposta
attraverso l’individuazione nel reclamo di cui all’art.

14-ter Ord. Pen. del

procedimento giurisdizionale utilizzabile dal magistrato di sorveglianza per
l’accertamento di eventuali lesioni dei diritti del detenuto da parte
dell’amministrazione penitenziaria (Sez. U, n. 25079 del 26/02/2003, dep.
10/06/2003, Gianni, Rv. 224603).
Il sistema di tutela dei diritti del detenuto ha trovato ulteriore riscontro nei
successivi interventi della Corte costituzionale, che ha affermato, dapprima
(sentenza n. 266 del 2009), il carattere vincolante delle decisioni assunte dal
giudice in sede di controllo della legalità dell’esecuzione della detenzione,
attraverso la valorizzazione dell’art. 69, comma 5, Ord. Pen., alla cui stregua il
magistrato può impartire “disposizioni dirette ad eliminare eventuali violazioni
dei diritti dei condannati e degli internati”, e ha rimarcato, in seguito (sentenza
n. 135 del 2013), che il Ministero della giustizia non può disporre che non sia
data esecuzione a un provvedimento emesso da un magistrato di sorveglianza
all’esito di un procedimento giurisdizionale. Con la seconda decisione si è, in
particolare, ribadito che “l’art. 35 Ord. Pen. disciplina in generale il diritto dei
detenuti e degli internati di proporre reclamo ad una serie di autorità, tra cui il
magistrato di sorveglianza (n. 2)”, che “l’art. 69, comma 6, Ord. Pen. stabilisce
che sui reclami il suddetto magistrato decide con ordinanza impugnabile soltanto
per cassazione, secondo la procedura di cui all’art. 14-ter”, e che “quest’ultima
disposizione (comma 3) prescrive che il procedimento si svolga con la
partecipazione del difensore e del pubblico ministero, mentre l’interessato e
l’amministrazione penitenziaria possono presentare memorie”;

si è specificato

che, tuttavia, solo “quando il reclamo diretto al magistrato di sorveglianza
riguarda la pretesa lesione di un diritto, e non si risolve in una semplice
doglianza su aspetti generali o particolari dell’organizzazione e del
funzionamento dell’istituto penitenziario, il procedimento che si instaura davanti
al suddetto magistrato assume natura giurisdizionale”, e si è evidenziato che “se
il procedimento e la conseguente decisione del magistrato di sorveglianza si
configurano come esercizio della funzione giurisdizionale, in quanto destinati ad
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utilizzare.

assicurare la tutela di diritti, si impone la conclusione che quest’ultima sia
effettiva e non condizionata a valutazioni discrezionali di alcuna autorità” e che il
reclamo assume, pertanto, “il carattere di rimedio generale, esperibile anche da

detenuti assoggettati a regimi di sorveglianza particolare, quale strumento di
garanzia giurisdizionale”.
2.2. Tale sistema è del tutto concordante con i principi fissati dalla
giurisprudenza di questa Corte, che, nella individuazione e delimitazione del
confine tra le posizioni tutelabili, per cui deve applicarsi la procedura

meccanismo del procedimento de plano, ha affermato che solo i provvedimenti
dell’amministrazione penitenziaria incidenti su diritti soggettivi sono sindacabili in
sede giurisdizionale mediante reclamo al magistrato di sorveglianza che decide
con ordinanza ricorribile per cassazione secondo la procedura indicata nell’art.

14-ter Ord. Pen.

(Sez.

1, n. 46269 del 24/10/2007 – dep. 12/12/2007,

Musumeci, Rv. 238841, ed ancor prima Sez. 1, n. 8411 del 03/02/2004, dep.
25/02/2004, Zagaria, Rv. 227517, e da ultimo, Sez. 1, n. 41474 del
25/09/2013, dep. 07/10/2013, Romano, Rv. 257254), mentre è inammissibile il
ricorso per cassazione avverso un’ordinanza emessa dal magistrato di
sorveglianza di rigetto di un reclamo proposto ai sensi dell’art. 14-ter Ord. Pen.,
riguardante provvedimenti dell’amministrazione penitenziaria che non incidono
sui diritti soggettivi del detenuto (tra le altre, Sez. 1, n. 21704 del 21/05/2008,
dep. 29/05/2008, Renna, Rv. 239885; Sez. 7, n. 23377 del 12/12/2012,
dep. 30/05/2013, Aparo, Rv. 255489; Sez. 7, n. 23379 del 12/12/2012 – dep.
30/05/2013, X., Rv. 255490; Sez. 1, n. 767 del 15/11/2013,
dep. 10/01/2014, Attanasio, Rv. 258398; Sez. 7, n. 7805 del 16/07/2013,
dep. 19/02/2014, Attanasio, Rv. 260117).
2.3. Si rileva ulteriormente in diritto che l’art. 37, comma 10, d.P.R. n.
230/2000, che indica in un’ora la durata massima del colloquio dei detenuti,
prevede in via generale e per tutti i detenuti due ipotesi di ampliamento ditale
durata, correlate, la prima, a “eccezionali circostanze” da valutarsi caso per caso
e, la seconda, a due condizioni obiettive, rappresentate dalla extraterritorialità
del luogo di detenzione rispetto a quello di residenza dei congiunti, unita alla
mancata fruizione del colloquio nella settimana precedente se le esigenze e
l’organizzazione dell’istituto lo consentano.
Questa Corte ha già affermato che tali disposizioni sono applicabili ai
detenuti sottoposti al regime differenziato di cui all’art. 41-bis Ord. Pen., che non
prevede in modo esplicito il limite di durata dell’unico colloquio mensile di cui alla
stessa norma, e ha rappresentato che la prima previsione, riferita alle
circostanze eccezionali, non è in contrasto con la disciplina del regime
differenziato, e risulta quindi applicabile anche ai detenuti sottoposti a tale

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giurisdizìonalizzata, e le aspettative di mero fatto, per le quali vale ancora il

regime, mentre la seconda previsione deve essere adattata alle caratteristiche
ontologiche del medesimo regime nel senso che, fermo il presupposto della
extraterritorialità, la mancanza del colloquio nella settimana precedente (assente
per i detenuti sottoposti al regime differenziato) deve ritenersi riferita, secondo
un criterio interpretativo logico-sistematico, alla mancata fruizione del colloquio
nel mese precedente (Sez. 1, n. 39537 del 24/06/2013, dep. 24/09/2013,
Mandalà, non massimata; Sez. 1, n. 19986 del 04/04/2014, dep. 14/05/2014,

3. Con tali premesse in diritto non è coerente la decisione del Magistrato di
sorveglianza, che -a fronte della doglianza del ricorrente, che ha lamentato la
mancata ingiustificata ottemperanza da parte dell’Amministrazione penitenziaria
all’ordinanza del 4 aprile 2013, che aveva dichiarato illegittime le disposizioni che
negavano la possibilità, per il detenuto in regime differenziato, di un colloquio
alternativo di due ore con i congiunti e i familiari e la possibilità di una
valutazione da parte della Direzione delle circostanze eccezionali poste a base di
eventuali colloqui straordinari- ha ritenuto di non attivare la procedura indicata
dall’art.

14-ter

Ord. Pen, chiaramente ritenendo di escludere, sia pure

implicitamente, che i comportamenti denunciati si configurassero come una
lesione di diritti del detenuto.
Tale rilievo trova conforto nell’iter argomentativo della decisione, avendo il
Magistrato sottolineato che dalla indicata ordinanza doveva trarsi il
convincimento che la declaratoria di illegittimità delle disposizioni vigenti presso
la Casa circondariale di Novara comportava per la Direzione non l’obbligo di
concedere i colloqui ordinari e straordinari, ma il dovere di adeguarsi alle “fonti
normative più elevate in grado” nella stesura delle disposizioni interne relative ai
colloqui prolungati, la valutazione della cui concessione era rimessa alla
discrezionalità dell’Amministrazione penitenziaria, il cui atto amministrativo non
era sindacabile dall’Autorità giudiziaria salva l’ipotesi in cui fosse trasfuso in una
grave lesione di diritto soggettivo.
In tal modo, il Magistrato, che ha pure illegittimamente ritenuto sospesa, in
pendenza del ricorso per cassazione, l’esecutività della detta ordinanza, non ha
considerato che il detenuto, reclamando il ritardo dell’Amministrazione ad
adeguarsi alle prescrizioni date con la stessa, ha individuato detto
comportamento come una violazione del suo diritto al colloquio nei termini
previsti dall’art. 37, comma 10, d.P.R. n. 230/2000, e ha sostanzialmente
omesso di rendere valida risposta sia sul piano procedimentale sia sul piano del
contenuto.
Deve, invero, ribadirsi al riguardo che, a fronte del reclamo di un detenuto
che lamenti la lesione di un diritto conseguente a un comportamento
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Attanasio, non massimata).

dell’Amministrazione penitenziaria, il Magistrato di sorveglianza deve procedere
con le forme e con le garanzie della procedura giurisdizionale prevista dall’art.
14-ter Ord. Pen. (Sez. 1, n. 41474 del 25/09/2013, citata), e non limitarsi a una
procedura informale sulla base della ritenuta non afferenza della richiesta a diritti
costituzionalmente garantiti.

4. Il decreto impugnato, affetto, per le ragioni dette, da nullità assoluta, va,
dunque, annullato senza rinvio, con trasmissione degli atti al Magistrato di

P.Q.M.

Annulla senza rinvio il decreto impugnato e dispone trasmettersi gli atti al
Magistrato di sorveglianza di Novara per l’ulteriore corso.
Così deciso in Roma, il 9 luglio 2014

Il Consigliere estensore

sorveglianza di Novara che procederà nelle forme di cui all’art. 14-ter Ord. pen.

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