Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5688 del 13/12/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 5688 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: DI NICOLA VITO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Campobasso
nel procedimento nei confronti di
Bernardo Alfonso, nato a Colle d’Anchise il 18/03/1943
Bernardo Angelo, nato a Colle d’Anchise il 01/11/1944
Bernardo Adelina, nata a Colle d’Anchise il 24/11/1946
Ialenti Carmine, nato a Terzigno il 31/08/1963
D’Alessandro Rosa Maria, nata a Zurigo (Svizzera) il 29/10/1967
Robusto Vincenzo Rosario, nato a Torino il 10/10/1964

avverso la sentenza del 09/04/2013 del Giudice dell’udienza preliminare presso il
Tribunale di Campobasso

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Sante
Spinaci, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio limitatamente ai
1

Data Udienza: 13/12/2013

capi b), d) ed e); rigetto nel resto;

udito per l’imputato l’avv.

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RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 9 aprile 2013, il Gup presso il Tribunale di
Campobasso dichiarava non luogo a procedere nei confronti di Alfonso Bernardo,
Angelo Bernardo, Adelina Bernardo, Carmine Ialenti, Rosa Maria D’Alessandro e
Vincenzo Rosario Robusto perché il fatto non sussiste con riferimento ai reati loro

rinvio a giudizio.
In particolare, per quanto qui interessa, ai primi cinque era contestato il
reato di cui agli artt. 110, 48 e 323 cod. pen. (capo a) per avere indotto in errore
i competenti uffici del comune di Bojano riuscendo in tal modo ad ottenere, in
relazione ad un fabbricato residenziale, sia il permesso di costruire n. 30 del
2006, da ritenersi illecito ed illegittimo in quanto conseguito sulla base di false
attestazioni, e sia la DIA n. 4 del 2009 riguardante la realizzazione di un muro di
recinzione e le tramezzature interne di un box – garage. Le false dichiarazioni ed
attestazioni, contenute nella relazione tecnica di accompagnamento ai richiesti
interventi edilizi, sarebbero consistite, secondo l’accusa, nell’aver dichiarato,
contrariamente al vero, che l’intervento progettuale ricadeva interamente in zona
BA1 mentre in realtà le opere edili ricadevano anche in zona CB2, con la
conseguente necessità della predisposizione di un piano di lottizzazione, mai
attuato ma indispensabile per ottenere il permesso di costruire, che veniva perciò
concesso in assenza del detto piano (imputazione cosi riformulata dal pubblico
ministero in conseguenza di una sentenza di non luogo a procedere emessa dal
Gup per prescrizione e che aveva investito l’originaria imputazione di cui all’art.
483 cod. pen).
Ai suddetti imputati era poi contestato il conseguente reato urbanistico (art.
44 lett. c) d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (capo b); mentre al solo Robusto erano
contestati i reati di omissioni in atti di ufficio (capo c), per non aver emesso, pur
essendone tenuto per motivi di giustizia, l’ordinanza di sospensione dei lavori ai
sensi dell’art. 30, commi 1 e 7, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380; il reato di abuso
d’ufficio (capo d) per aver illegittimamente consentito la realizzazione delle opere
procurando in ingiusto vantaggio patrimoniale agli altri imputati; nonché il reato
di falso ideologico in atto pubblico (capo e) perché, al fine di commettere i reati di
abuso d’ufficio ed omissione in atti di ufficio, attestava, contrariamente al vero,
nel verbale di sopralluogo che le opere infrastrutturali in corso di esecuzione
all’interno del lotto zonizzato come BA1 del vigente P.R.G. erano di esclusiva
pertinenza del fabbricato, laddove le dette opere non costituivano area di cantiere
3

rispettivamente ascritti nei capi di imputazione cristallizzati nella richiesta di

ma erano di pertinenza dell’erigendo fabbricato ricadente, almeno in parte, nel
comparto CB2 e pertanto necessitante del piano di lottizzazione, invece
inesistente.
2. Il Gup, dopo aver enunciato le regole di giudizio che governano la
sentenza di non luogo a procedere e dopo aver premesso che l’accusa non era
sostenibile in giudizio, rilevava come il fabbricato fosse stato costruito
interamente in zona BA1 ed in conformità degli strumenti urbanistici comunali,

prodotta dalla difesa degli imputati.
Escluso poi che l’ordinanza di sospensione dei lavori, ex art. 30 T.U. n. 380
del 2001, fosse sussumibile negli atti da emanare per ragioni di giustizia ed
escluso che il verbale di sopralluogo contenesse false attestazioni, giacché
l’intervento edilizio ricadeva, così come era stato attestato, in zona BA1
(nonostante talune opere, da ritenere mere pertinenze del fabbricato interamente
edificato nella zona di competenza, fossero state realizzate nella zona CB2), il
Gup concludeva nel senso di ritenere, da un lato, non configurabile il reato di
omissione in atti di ufficio elevato a carico del responsabile dell’ufficio tecnico
comunale e, dall’altro, non configurabile il reato di abuso d’ufficio, derivando da
ciò anche l’insussistenza, per propagazione, del reato di falso ideologico ascritto al
medesimo funzionario.

3. Per l’annullamento della sentenza impugnata, ricorre per cassazione il
procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Campobasso che solleva tre
specifici motivi congiuntamente articolati, con i quali lamenta violazione di legge
(art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 323, 328, 479,
44 d.P.R. 380/2001) per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale
(primo motivo), violazione di legge (art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. in
relazione art. 425 cod. proc. pen.) per inosservanza della legge processuale
(secondo motivo) e violazione di legge (art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc.
pen.) per mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione
agli atti del processo (terzo motivo).
Assume il ricorrente come il primo giudice abbia completamente omesso la
motivazione con riferimento al capo a) della rubrica, nonostante l’accusa fosse
stata in parte qua riformulata all’esito della declaratoria di estinzione del reato,
originariamente contestato, per intervenuta prescrizione e non per insussistenza
dei fatti contestati che integravano fattispecie di falsità commesse da privati e
refluite successivamente nella riformulata imputazione.

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desumendosi ciò dalla documentazione in atti e dalla consulenza tecnica di parte

Deduce poi come, quanto alla contestazione di abuso edilizio cui al capo b),
la sussistenza del reato sia stata esclusa sulla sola base delle prospettazioni
difensive senza tenere in alcun conto, neanche per spiegarne la presunta scarsa
rilevanza probatoria, gli elementi di prova documentale esistenti agli atti del
processo mentre, quanto al capo c), erroneamente il Gup, con motivazione
meramente assertiva, ha ritenuto che non fosse configurabile il reato di omissione
di atti di ufficio a carico del responsabile dell’ufficio tecnico comunale che,

art. 30 legge n. 380 del 2001, in tal modo consentendo la prosecuzione dei lavori
stessi.
Lamenta infine come il reato di abuso d’ufficio, di cui al capo d), sia stato
escluso dal Gup sulla base della sola inconfigurabilità del reato di cui al capo c),
senza considerare come fossero stati contestati ulteriori profili di violazione di
legge, e come il reato di cui al capo e) sia stato escluso unicamente sulla base
della consulenza tecnica prodotta dalla difesa e, da un lato, contraddittoriamente
in quanto proprio dalla stessa consulenza si evinceva come una parte
dell’intervento ricadesse in zona CB2 nonché, dall’altro, immotivatamente sul
rilievo della ritenuta modestia dello sconfinamento, nonostante fosse stato
rimproverato all’imputato di aver falsamente attestato nel verbale di sopralluogo
che le opere fossero state eseguite esclusivamente nella zona BA1 e che il
comparto CB2 costituisse l’area di cantiere.
Le errate valutazioni riscontrate ed i vizi di motivazione segnalati avrebbero
determinato, secondo il pubblico ministero ricorrente, anche una violazione delle
regole di giudizio che presiedono l’udienza preliminare, avendo il Gup, da un lato,
emesso una decisione di pieno merito della vicenda, disancorata peraltro da
puntuali riferimenti agli atti, e, dall’altro, non avendo spiegato, in sentenza, le
ragioni della pretesa inadeguatezza degli elementi di prova, posti a fondamento
della richiesta di rinvio a giudizio, ai fini della insostenibilità dell’accusa in
dibattimento.
4. Gli imputati hanno depositato memoria eccependo, quanto al solo Alfonso
Bernardo, l’omessa ed irregolare notifica dell’atto di impugnazione proposto dal
pubblico ministero e tutti concludendo, nel merito, per la conferma dell’impugnata
sentenza, segnalando anche taluni riferimenti giurisprudenziali a sostegno delle
soluzioni, ritenute corrette, adottate dal primo giudice.

CONSIDERATO IN DIRITTO

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nonostante richiesto, ometta di emanare l’ordinanza di sospensione dei lavori, ex

1. Deve essere preliminarmente esaminata l’eccezione proposta nell’interesse
di Alfonso Bernardo con la quale si deduce la invalida costituzione del rapporto
giuridico processuale nella fase dell’impugnazione per omessa notifica
all’imputato dell’atto di gravame proposto dal pubblico ministero avverso
l’impugnata sentenza.
1.1. L’eccezione è infondata.

giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, l’atto di impugnazione è
comunicato al pubblico ministero presso il medesimo giudice ed è notificato alle
parti private senza ritardo.
La giurisprudenza di questa Corte, anche sul rilievo che non è comminata
alcuna sanzione in caso di violazione dell’obbligo, ha ritenuto, senza oscillazioni,
che l’omessa notifica dell’atto di appello della pubblica accusa alla parte privata, o
viceversa, non è causa di nullità di ordine generale né dà luogo all’inammissibilità
del gravame, comportando unicamente la mancata decorrenza del termine per la
proposizione, da parte del soggetto interessato, dell’eventuale appello incidentale,
se consentito (Sez. 3, n. 3266 del 10/12/2009,dep. 26/01/2010, Esposito, Rv.
245859; Sez. 2, n. 16891 del 11/04/2007, Paglino, Rv. 236657).
Seppure limitatamente alle impugnazioni de libertate, le Sezioni Unite di
questa Corte hanno recentemente convalidato un tale approdo ribadendo che la
ratio della comunicazione o della notificazione alle altre parti dell’atto di gravame
è funzionale, come chiarisce l’art. 595, comma 1, cod. proc. pen., alla
proposizione dell’appello incidentale, con la conseguenza che l’omissione
determina unicamente la mancata decorrenza del termine per la proposizione, da
parte del soggetto interessato, dell’eventuale gravame incidentale (Sez. U,
Sentenza n. 1235 del 28/10/2010, dep. 19/01/2011, Giordano ed altri, Rv.
248868).
E’ vero che le stesse Sezioni Unite, in materia di impugnazioni cautelari, nel
ribadire ancora una volta che l’omessa notificazione alla parte privata
dell’impugnazione proposta da altra parte non dà luogo all’inammissibilità del
gravame, hanno ritenuto l’esistenza del solo obbligo da parte della cancelleria di
provvedere alla notifica non eseguita, salvo che risulti altrimenti, in capo al
destinatario di essa, la conoscenza dell’atto di impugnazione (Sez. U, n. 12878
del 29/01/2003, P.M. in proc. Innocenti, Rv. 223724).
Nondimeno tale ultima pronuncia va letta in sintonia con altro precedente
arresto delle Sezioni Unite secondo il quale il potere di proporre appello

1.2. L’art. 584 cod. proc. pen. stabilisce che, a cura della cancelleria del

incidentale non spetta a chi è privo del potere di proporre quello principale (Sez.
U, Sentenza n. 7247 del 18/06/1993, Rabiti, Rv. 194313), con la conseguenza
che quando la parte, che lamenti l’omessa comunicazione o l’omessa notifica
dell’atto di gravame, non sia legittimata alla proposizione dell’appello incidentale,
gli obblighi di comunicazione previsti dall’art. 584 cod. proc. pen. non
determinano alcuna nullità, né tantomeno l’inammissibilità dell’impugnazione,
non essendo i previsti incombenti funzionali rispetto allo scopo perseguito dall’art.

proposizione del gravame incidentale, come testualmente si ricava dall’art. 595,
comma 1, cod. proc. pen.
Ne consegue che, siccome nei confronti della sentenza di non luogo a
procedere emessa ai sensi dell’art. 425 cod. proc. pen. non è consentito né
l’appello in via principale (potendo essere proposto il solo ricorso per cassazione
ai sensi dell’art. 428 cod. proc. pen.) né alcuna impugnazione incidentale,
l’omessa comunicazione o l’omessa notifica della proposizione dell’atto di
gravame alle altre parti non produce alcun effetto processualmente rilevante, né
alcuna lesione dei diritti della difesa in considerazione dello scopo per il quale gli
incombenti richiesti dall’art. 584 cod. proc. pen. sono previsti.

2. Il ricorso del pubblico ministero è fondato per quanto di ragione nei limiti e
sulla base delle considerazioni che seguono.
Occorre premettere come le censure, essendo tra loro strettamente connesse,
possano essere congiuntamente esaminate.
Il pubblico ministero ricorrente infatti si duole del fatto che il Gup, da un lato,
sia prevenuto all’epilogo liberatorio in violazione delle regole di giudizio che, ai
sensi dell’art. 425 cod. proc. pen., governano la sentenza di non luogo a
procedere e, dall’altro, denuncia la totale mancanza, la contraddittorietà o
l’illogicità della motivazione su punti decisivi della controversia.

3. In via preliminare va chiarito che il Gup, sebbene abbia correttamente
enunciato, nella premessa della decisione, alcuni dei criteri che presiedono
all’emanazione della sentenza di non luogo a procedere, non ha poi tratto, come
fondatamente lamenta il ricorrente, le logiche conseguenze dalle premesse da cui
è partito.
La giurisprudenza di questa Corte è nel senso che la sentenza di non luogo a
procedere è emessa quando si è in presenza di una situazione probatoria pacifica
(esistenza della prova dell’innocenza o mancanza della prova della colpevolezza),

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584 cod. proc. pen. che è solo quello di consentire il decorso del dies a quo per la

quando il quadro probatorio è insufficiente o contraddittorio, o, ancora, quando
non vi sono elementi sufficienti a sostenere l’accusa in giudizio, secondo una
valutazione prognostica sulla potenzialità espansiva, nel futuro dibattimento,
degli elementi di prova disponibili (Sez. 4, n. 46403 del 28/10/2008, P.M. in proc.
Mior e altri, Rv. 242170).
La sentenza di non luogo a procedere ha cioè una struttura complessa, che è
data dalla peculiarità della fase processuale nella quale si innesta e che è la

rappresentando un epilogo decisorio dell’udienza preliminare, decreta
l’infondatezza dell’accusa non solo nei casi, come in passato, di manifesta
infondatezza di essa, bensì nei casi in cui vi siano elementi di prova dell’innocenza
o manchi qualsiasi elemento di prova della colpevolezza dell’imputato (art. 425,
comma 1, cod. proc. pen.) ovvero anche quando gli elementi di prova acquisiti
risultino insufficienti, contraddittori, o comunque non idonei a sostenere l’accusa
in giudizio (art. 425, comma 3, cod. proc. pen.).
Con specifico riferimento agli elementi strutturali presenti nel terzo comma
dell’art. 425 cod. proc. pen., è stato condivisibilmente sostenuto in ripetuti
orientamenti di questa Corte che, ai fini della pronuncia della sentenza di non

risultante delle modifiche che l’istituto ha subito nel corso degli anni, perché,

luogo a procedere, il Gup, quale parametro di valutazione, non deve utilizzare \\-/
quello dell’innocenza dell’imputato, ma quello dell’impossibilità di sostenere
l’accusa in giudizio, con la conseguenza che l’insufficienza e la contraddittorietà
degli elementi acquisiti ai sensi dell’art. 425 cod. proc. pen. debbono avere
caratteristiche tali da non poter essere ragionevolmente considerate superabili
(Sez. 6, n. 5049 del 27/11/2012, dep. 31/01/2013, P.M. in proc. Cappello e altri,
Rv. 254241).
Ciò posto, fatto salvo per quanto si dirà con riferimento al capo c)
dell’imputazione, il Gup, quanto ai rimanenti capi, ha reso, laddove non abbia
addirittura fisicamente omesso di enunciare le ragioni della decisione come nel
caso di cui al capo a) della rubrica, una motivazione intrinsecamente
contradditoria, escludendo qualsiasi possibile prognosi favorevole all’accusa in un
futuro dibattimento ma senza spiegare le ragioni dell’assoluto depotenziamento
degli elementi di prova a carico degli imputati e che il ricorrente ha puntualmente
esposto nell’atto di gravame.
3.1. Ed infatti si comprende dalla stessa lettura del provvedimento
impugnato che il pubblico ministero, con riferimento al capo a) della rubrica, ha
esercitato l’azione penale contestando il reato di cui all’art. 483 cod. pen. che è
stato falcidiato con una sentenza ex art. 129 cod. proc. pen. in quanto il reato è

stato ritenuto estinto per prescrizione.
E’ stato quindi elevato un diverso capo di imputazione (artt. 110, 48, 323
cod. pen.) ma nella motivazione della sentenza impugnata non vi è traccia delle
ragioni, anche implicite, circa la insussistenza del fatto di reato.
3.2. Secondo l’accusa gli imputati, proprio attraverso la condotta
ingannatoria di cui al capo a), avrebbero ottenuto i titoli abilitativi per edificare,
non concedibili, peraltro, in assenza di un piano di lottizzazione perché

falsamente dichiarato per eludere la necessaria predisposizione del piano di
lottizzazione, ma anche in zona CB2.
Ne consegue che il permesso di costruire dovrebbe ritenersi, secondo
l’accusa, inesistente perché ottenuto con l’inganno, determinante anche il reato
di abuso d’ufficio contestato (ex art. 48 cod. pen.) ai privati beneficiari, avendo
questi indotto in errore i pubblici ufficiali che il titolo abilitativo avevano
rilasciato.
Il Gup, pur dando atto di ciò ma senza alcuna previa delibazione in ordine al
capo a), ha decretato il non luogo a procedere anche con riferimento al capo b)
sul rilievo che dalla documentazione acquisita e dalla consulenza tecnica di parte
l’intervento sarebbe stato interamente eseguito in zona BA1 e comunque la zona
CB2 sarebbe stata investita solo da modeste opere, peraltro meramente
accessorie.
Esclusa la configurabilità del capo b), il Gup ha pure escluso la configurabilità
del capo d) e del capo e), sul rilievo che, essendo stato l’intervento contenuto nel
comparto BA1, alcun favoritismo avrebbero ricevuto i privati e alcun falso avrebbe
commesso il funzionario comunale nel corso del sopralluogo attestando la natura
pertinenziale delle opere eseguite nella zona CB2.
L’esecuzione di lavori in zona CB2 costituisce dunque un fatto processuale
che si desume dalla stessa motivazione del provvedimento impugnato e perciò
l’elemento prospettato dagli imputati con una loro consulenza, rispetto alle
contrarie prospettazioni dell’accusa (violazione delle distanza del fabbricato
realizzato in zona BA1 rispetto al comparto CB2; realizzazione di opere
infrastrutturali, quali fognature e strada, in zona CB2) circa la natura e la
consistenza di detti lavori in zona CB2 non poteva ritenersi del tutto insuperabile
nel giudizio, con la conseguenza che il Gup, senza peraltro approfondire il dato
con una perizia che poteva disporre d’ufficio ai sensi dell’art. 422, comma 1, cod.
proc. pen. ha risolto la regiudicanda, in presenza di una situazione probatoria
niente affatto pacifica, secondo le regole di giudizio proprie del processo

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l’intervento non ricadeva interamente in zona BA1, come sarebbe stato

massimamente garantito, errando nella formulazione della prognosi di superfluità
o meno del dibattimento che è alla base della regola iuris enunciata dall’art. 425,
comma 3, cod. proc. pen.
3.3. Ineccepibile è invece l’epilogo decisorio con riferimento al capo c) della
rubrica perché il Gup, correttamente ritenendo che l’atto dovuto (emanazione
dell’ordinanza di sospensione dei lavori) non rientrasse tra gli atti da compiersi
senza ritardo per ragioni di giustizia, ha sostanzialmente registrato la presenza di

di una sentenza di non luogo a procedere, ossia una situazione di piena innocenza
dell’imputato per effetto della non sussumibilità del fatto storico nella fattispecie
incriminatrice astratta contestata.
In siffatti casi, a conferma della natura complessa della sentenza di non
luogo a procedere, al giudice dell’udienza preliminare non compete la
formulazione di alcun giudizio prognostico perché la regiudicanda è definibile allo
stesso modo di come lo sarebbe nella fase del giudizio.
Ciò che si richiede, come in tutti i casi di definizione dell’udienza preliminare
con sentenza ex art. 425 cod. proc. pen., è che le indagini preliminari siano
assistite dal principio della completezza giacché, in caso contrario, al gup compete
di attivare il meccanismo previsto dall’art. 421 bis cod. proc. pen. e non di
emettere una sentenza di non luogo a procedere contribuendo egli stesso a creare
quelle condizioni di insufficienza e di contraddittorietà che possono essere
superate solo dalla completezza degli accertamenti probatori.
Nel caso di specie, dunque, il Gup ha ritenuto che il fatto di omettere
l’emanazione dell’ordinanza ex art. 30, commi 1 e 7, d.P.R. n. 380 del 2001 non
integri il reato di cui all’art. 328, comma 1, cod. pen.
Questa Corte, anche recentemente, ha ribadito il principio, affermato senza
oscillazioni, per il quale, in tema di omissione di atti di ufficio, per atto di ufficio
che per ragione di giustizia deve essere compiuto senza ritardo si intende solo un
ordine o provvedimento autorizzato da una norma giuridica per la pronta
attuazione del diritto obiettivo e diretto a rendere possibile, o più agevole l’attività
del giudice, del pubblico ministero o degli ufficiali di polizia giudiziaria (Sez. 6, n.
16567 del 26/02/2013, Salvatore, Rv. 254860; (Sez. 6, n. 14599 del
25/01/2010, dep. 15/04/2010, Tuzzo, Rv. 246655; Sez. 6, n. 11877 del
20/01/2003, dep. 13/03/2003, P.M. in proc. Carletti, Rv. 224861; Sez. 6, n. 784
del 05/11/1998, dep. 21/01/1999, Muccilli, Rv. 213904).
Si è dunque costantemente ritenuto che ad integrare la fattispecie del rifiuto
non basta che questo abbia per oggetto un qualsiasi atto d’ufficio, ma è

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una delle condizioni previste dall’art. 425, comma 1, cod. pen. per l’emanazione

necessario che ricorrano anche due imprescindibili condizioni: a) che l’atto sia da
compiersi per ragioni di giustizia o sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di
igiene e sanità, dovendo quindi trattarsi di un atto “qualificato”; b) che l’atto
debba essere compiuto senza ritardo, dovendo trattarsi quindi di un atto
“i nd ifferi bile”.
Le ragioni indicate nella fattispecie incriminatrice, che tipicizzano l’atto da
compiersi urgentemente, sono qualificate della causa dell’atto, che deve essere

conseguenza che le ragioni di giustizia sono tutte quelle che hanno a che fare con
l’emanazione o con l’esecuzione di provvedimenti giurisdizionali, o comunque con
lo svolgimento di attività giudiziarie.
Ed infatti la giurisprudenza di questa Corte, nei precedenti richiamati, ha
sempre ritenuto come la ragione di giustizia si esaurisca con l’emanazione del
provvedimento di uno degli organi citati (giudice, pubblico ministero, ufficiali di
polizia giudiziaria, ausiliari del giudice, ufficiali giudiziari, curatore fallimentare)
che, nell’ambito delle proprie funzioni, applicano e danno attuazione al diritto
obiettivo.
Di ciò non si è mai dubitato ed anzi si è discusso, soprattutto dopo la
modifica dell’art. 328 cod. pen. intervenuta con la legge 26 aprile 1990, n. 86, se
gli atti di competenza dell’autorità amministrativa, per quanto specificamente
riguarda la normativa edilizia ed urbanistica, rientrassero nelle ragioni di ordine
pubblico (giammai nelle ragioni di giustizia che sono generalmente assicurate dai
provvedimenti cautelari penali e dalle misure di sicurezza patrimoniali),
pervenendosi alla conclusione che detta materia non poteva rientrare neppure nel
più generale concetto di ordine pubblico, ai fini della configurazione del reato di
rifiuto di atti di ufficio, perché, nel momento storico nel quale la modifica
normativa interveniva, la relativa materia aveva acquistato una notevole
rilevanza penale, sotto il profilo statistico criminale, ed una sufficiente autonomia
giuridico concettuale, che avrebbe indotto il legislatore ad uno specifico richiamo
(Sez. 6, 21/01/1992 non mass.).
Nel caso di specie l’ordine di sospensione ex art. 30, comma 7. d.P.R. n. 380
del 2001 non è un atto che deve essere emanato per ragioni di giustizia,
trattandosi di un provvedimento cautelare amministrativo che ha lo scopo di
impedire che dalla prosecuzione di lavori illeciti derivi un danno di maggiori
dimensioni all’assetto urbanistico del territorio e dunque deve essere emanato per
ragioni diverse non solo da quelle inerenti all’attività giurisdizionale vera e
propria, ma anche diverse da quelle che attengono all’attività d’indagine del P.M.

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emanato per una di quelle tassative ragioni, e non dall’atto in sé, con la

o all’attività di polizia rivolta all’accertamento del reato o all’attuazione del diritto
obiettivo, nel pubblico interesse, da parte dei predetti organi.
3.4. Tuttavia la mancata configurazione del reato di omissione in atti d’ufficio
non implicava, come erroneamente ha ritenuto il Gup, la derivata insussistenza
del reato di abuso d’ufficio contestato attraverso una duplice condotta omissiva,
ossia quella del capo c), ed attiva, ossia quella del capo e), e tanto non solo
perché, come fondatamente lamenta il pubblico ministro ricorrente, era stato

materiale del delitto di abuso d’ufficio può essere realizzato anche attraverso una
condotta omissiva, purché si tratti del mancato esercizio di un potere
esplicitamente attribuito al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio
da una norma di legge (art. 30, comma 7, d.P.R. n. 380 del 2001) o
regolamentare (Sez. 6, Sentenza n. 41697 del 09/11/2010, Manfredi Selvaggi,
Rv. 248822), tanto più che, nella specie, l’accusa prospettava che il funzionario
avesse deliberatamente omesso di emanare l’ordine di sospensione dei lavori al
fine di procurare un indebito vantaggio ai proprietari dell’immobile in costruzione,
sicché il comportamento omissivo, se insuscettibile di integrare il reato di
omissione in atti d’ufficio, ben poteva integrare l’elemento materiale del reato di
abuso in atti d’ufficio.
Va solo per completezza chiarito che, nei casi di cumulativa contestazione del
reato di cui all’art. 328 cod. pen. e di quello di cui all’art. 323 cod. pen. avente ad
oggetto, in tutto o in parte, la medesima condotta omissiva, il concorrente reato
di omissione d’atti d’ufficio rimane, in siffatti casi, assorbito nell’art. 323 cod. pen.
in forza della clausola di consunzione in esso contenuta realizzandosi una ipotesi
di concorso apparente di norme (Sez. 6, n. 10009 del 22/01/2010, Lombardi ed
altri, Rv. 246481).
3.5. Va infine osservato come il Gup non dubiti del fatto che fosse
astrattamente configurabile il reato di falso ideologico con riferimento al capo e)
della rubrica, escludendo la integrazione della fattispecie solo sul rilievo che le
attestazioni del funzionario non fossero contrarie al vero per essere stata
cristallizzata, nel verbale di sopralluogo, la reale situazione dello stato luoghi con
riferimento ai lavori eseguiti.
Tale approdo tuttavia sconta le medesime carenze motivazionali già
esaminate con riferimento al capo b) della rubrica (sub 3.2.) con la conseguenza
che la sentenza impugnata va annullata con rinvio limitatamente ai capi A – B – D
– E della imputazione con rinvio al Tribunale di Campobasso per nuovo esame
sulla base dei principi enunciati in motivazione.

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contestato un ulteriore comportamento attivo, quanto piuttosto perché l’elemento

Il ricorso del pubblico ministero va invece rigettato nel resto.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente ai capi A-B-D-E della
imputazione con rinvio al Tribunale di Campobasso.
Rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso il 13/12/2013

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