Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5681 del 27/11/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 5681 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: GRAZIOSI CHIARA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CROCCO ANTONIO N. IL 04/05/1938
avverso la sentenza n. 3397/2012 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 20/03/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. g
che ha concluso per

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Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv. ea-Q-e.

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Data Udienza: 27/11/2013

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16604/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 20 marzo 2013 la Corte d’appello di Palermo ha rigettato l’appello
proposto da Crocco Antonio avverso sentenza dell’8 maggio 2012 con cui il Tribunale di
Palermo lo aveva condannato alla pena di mesi due e giorni 20 di reclusione per il reato di cui
all’articolo 10 ter d.lgs. 74/2000 perché, in qualità di legale rappresentante di Motorgas S.r.l.,
ometteva di versare l’Iva dovuta in base alla dichiarazione annuale del 2006 entro il termine

2. Ha presentato ricorso il difensore adducendo tre motivi. Il primo denuncia violazione di
legge per applicazione retroattiva dell’articolo 10 ter d.lgs. 74/2000. Il secondo denuncia
violazione ancora dell’articolo 10 ter d.lgs. 74/2000 nonché dell’articolo 192, comma 2, c.p.p.
perché i giudici di merito non avrebbero considerato quanto dedotto dalla difesa sulla crisi
dell’azienda, che sarebbe provata proprio dalla rateizzazione del versamento Iva, ed eliderebbe
l’elemento psicologico. Il terzo motivo denuncia violazione dell’articolo 13 d.lgs. 74/2000,
essendo stata negata l’attenuante perché il debito tributario non era estinto, laddove il debito
era stato rateizzato proprio per poterlo pagare.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è infondato.
Il primo motivo, sotto forma di violazione dell’articolo 10 ter d.lgs. 74/2000 nonché degli
articoli 3 e 25 Cost., sostiene che l’applicazione della fattispecie criminosa di cui all’articolo 10
ter d.lgs. 74/2000 per il periodo di imposta 2005 integra illegittima retroattività della norma,
come si desume, per l’analogo articolo 10 bis d.lgs. 74/2000, da un arresto di questa Suprema
Corte (Cass. sez. III, 8 febbraio 2012 n. 18757, riguardante l’applicazione dell’articolo 10 bis al
periodo d’imposta 2004). La questione, quando è stato proposto il ricorso (in data 11 aprile
2013), essendo stata effettivamente oggetto di un contrasto giurisprudenziale, era stata
appena risolta da S.U. 28 marzo 2013, n. 37424, Romano (la cui motivazione è stata
depositata il 12 settembre 2013, quindi ben oltre il deposito del ricorso), che ha affermato che
“il reato di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto (art. 10-ter D.Lgs. n. 74 del
2000), entrato in vigore il 4 luglio 2006, che punisce il mancato adempimento dell’obbligazione
tributaria entro la scadenza del termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di
imposta dell’anno successivo, è applicabile anche alle omissioni dei versamenti relativi all’anno
2005, senza che ciò comporti violazione del principio di irretroattività della norma penale”.
Avendo la suddetta pronuncia delle Sezioni Unite – cui occorre quindi richiamarsi, e cui si
affianca, per l’articolo 10 bis d.lgs. 74/2000, S.U. 28 marzo 2013, n. 37425, Favellato considerato integralmente il problema interpretativo, e quindi escluso anche ogni profilo di
illegittimità costituzionale della interpretazione nel senso della applicabilità della norma in

previsto per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo.

questione anche al periodo di imposta 2005, con una motivazione assai ampia e analitica, il
primo motivo non può che ritenersi, ormai, infondato.
Il secondo motivo adduce, come violazione di legge in rapporto alla norma incriminatrice e
all’articolo 192, comma 2, c.p.p., che non sarebbero stati considerati “i rilievi sollevati in
relazione alla crisi d’impresa” che avrebbe colpito la società di cui l’imputato è legale
rappresentante, e che avrebbe dovuto portare, in considerazione di certa giurisprudenza di
merito, a escludere il dolo. Il motivo è palesemente generico, oltre a collocarsi, con evidenza,

in questa sede inammissibile.
Il terzo motivo lamenta il mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’articolo 13 d.lgs.
74/2000, che prevede la diminuzione fino alla metà della pena principale e la non applicazione
delle pene accessorie di cui all’articolo 12 dello stesso decreto legislativo “se, prima della
dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari relativi ai fatti
costitutivi dei delitti” previsti, appunto, dal d.lgs. 74/2000 “sono stati estinti mediante
pagamento, anche a seguito delle speciali procedure conciliative o di adesione all’accertamento
previste dalle norme tributarie”. Il ricorrente ammette di non avere ancora estinto
integralmente il debito tributario, ma adduce che “la ratio della rateizzazione è proprio quella
di pagare il debito, iscritto a ruolo e richiesto per mezzo della cartella di pagamento, attraverso
rate mensili”: tale rateizzazione, quindi, dimostrerebbe “la volontà di provvedere al pagamento
integrale del debito tributario”. Il motivo è manifestamente infondato: una cosa è la volontà di
provvedere al pagamento del debito tributario, un’altra – e solo questa è il presupposto della
concessione dell’attenuante de qua – è l’avere effettivamente estinto l’intero debito tributario
prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma il 27 novembre 2013

Il Consigl re Estensore

Il Pres ente

su un piano direttamente fattuale (non a caso non è invocato neppure il vizio motivazionale),

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