Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 567 del 21/11/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 567 Anno 2014
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BONTEMPO SCAVO SEBASTIANO N. IL 21/02/1952
avverso l’ordinanza n. 79/2013 CORTE APPELLO di MESSINA, del
01/02/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONIO
SETTEMBRE;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 21/11/2013

– Lette le conclusioni del Procuratore generale della repubblica presso la Corte di
Cassazione, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Nel corso del proc. penale n. 2696/09 pendente dinanzi al Tribunale di Patti
contro Bontempo Scavo Sebastiano per minaccia esercitata nei confronti di
Merenda Emanuele, il Bontempo ha ricusato i giudici Lazzara Maria Pina e

suoi confronti nell’ambito di diverso procedimento penale (il n. 185/09 RGT,
avente ad oggetto i reati di associazione mafiosa ed estorsioni varie, ritenuti
connessi con quelli oggetto del nuovo procedimento).

2. La Corte d’appello di Messina, con ordinanza dell’1-2-2013, ha dichiarato
inammissibile l’istanza, in quanto presentata oltre il termine previsto dall’art. 38
cod. proc. penale, rilevando che il Bontempo aveva avuto conoscenza della causa
di ricusazione il 13/11/2012 (data in cui si era svolta la prima udienza a suo
carico, nel corso della quale era rinunciante a comparire) e tuttavia la
ricusazione era stata proposta solo il 21-1-2013 con dichiarazione presentata
dall’imputato presso la Casa di reclusione di Milano, ove si trovava ristretto.
Inoltre, perché la dichiarazione di ricusazione non era corredata dei documenti
necessari alla sua istruzione, essendo accompagnata solo della richiesta di rinvio
a giudizio del Pubblico Ministero, relativa al proc. n. 2696/09 RGNR, e del
decreto del Giudice dell’udienza preliminare del tribunale di Messina: mancava,
pertanto, la prova della pendenza del procedimento penale e della composizione
del collegio giudicante.

3. Ha proposto ricorso per Cassazione, nell’interesse del ricusante, l’avv. Claudio
Faranda, che si duole, sia sotto il profilo della violazione di legge che del vizio di
motivazione,

della duplice statuizione di

inammissibilità,

nonché del

“travisamento del fatto”.
Quanto alla dichiarata tardività, deduce che il Bontempo era ristretto, a
novembre del 2011, nella Casa di reclusione di Milano e che solo in data
19/1/2013 ebbe comunicazione dal suo legale della composizione del collegio
giudicante. Legittimamente, pertanto, depositò la dichiarazione nei tre giorni
successivi (ciò che rileva, aggiunge, è la “conoscenza effettiva” della causa di
incompatibilità da parte del diretto interessato).
Quanto all’onere di allegazione affermato dalla Corte, rileva che la richiesta di
emissione del decreto di citazione a giudizio del Pubblico Ministero e il decreto
del GUP erano i soli documenti in suoi possesso, che provavano la pendenza del
2

Laudadio Onofrio perché i due avevano già concorso a pronunciare sentenza nei

procedimento e le imputazioni elevate a suo carico, e che la Corte d’appello
avrebbe ben potuto accertare, con minimo sforzo, qual’era la composizione del
collegio giudicante.
Nel merito, deduce che la Corte ha frainteso il pensiero del ricusante, che non
lamentava un rapporto di “naturale continuazione” tra i fatti dei due
procedimenti, ma vera e propria identità del fatto storico, per la cui valutazione
la Corte avrebbe dovuto procedere ex art. 127 cod. proc. penale.

Il ricorso è manifestamente infondato. Correttamente la Corte d’appello
ha dichiarato inammissibile, per tardività, la ricusazione effettuata dall’imputato.
L’art. 38, comma 2, cod. proc. pen., nello stabilire che qualora la causa di
ricusazione del giudice sia divenuta nota durante l’udienza, la relativa
dichiarazione deve essere in ogni caso proposta prima che l’udienza medesima
abbia termine, intende riferirsi, con l’espressione “divenuta nota”, ad una
situazione obiettiva di pubblicità, collegata non alla reale conoscenza del fatto
ma soltanto alla sua conoscibilità con l’ordinaria diligenza. Ne deriva che
l’anzidetto termine di decadenza opera anche nei confronti dell’imputato il quale,
per sua libera scelta, abbia rinunciato a presenziare all’udienza (Cass. 17280 del
15/2/2002; n. 26222 del 15/5/2001; N. 2542 del 26/11/2003; N. 18310 del
30/4/2010). E anche quando pretende una conoscenza “effettiva e completa”
(come nel caso giudicato da Cass., n. 6117 del 13/1/2009), questa Corte non si
è mai spinta ad affermare che la conoscenza rilevante è solo quella personale
dell’imputato e non anche quella del difensore che lo rappresenta. Tale
conclusione è senz’altro da condividere perché, altrimenti, il termine non
scadrebbe mai per l’imputato contumace e per quello costantemente rinunciante
a comparire, con la conseguenza che sarebbe rimesso alla sostanziale decisione
della parte di far emergere la causa di incompatibilità che autorizza la
ricusazione.
Nel caso di specie la causa di ricusazione, divenuta di pubblico dominio il
13/11/2012, allorché si svolse la prima udienza a carico del ricusante, fu fatta
valere più di due mesi dopo (il 21/1/2013) con dichiarazione indirizzata alla
Corte d’appello di Messina, per cui non è viziata la decisione che quella
ricusazione ha ritenuto tardiva.
Il ricorso è pertanto inammissibile. Consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma a
favore della Cassa delle ammende, che si reputa equo quantificare in C 1.000.

P.Q.M.

3

CONSIDERATO IN DIRITTO

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000 a favore della Cassa delle ammende.

Così deciso il 21/11/2013

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