Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5668 del 28/01/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 5668 Anno 2014
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: DI MARZIO FABRIZIO

Data Udienza: 28/01/2014

SENTENZA
Sul ricorso proposto da Albanese Giuseppe, nato il 2.10.1980 avverso
l’ordinanza del Tribunale della libertà di Reggio Calabria, del giorno 8.7.2013.
Sentita la relazione della causa fatta dal consigliere Fabrizio Di Marzio; udite
le conclusioni del sostituto procuratore generale Antonio Gialanella sul rigetto
del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe la sezione del riesame del Tribunale di Reggio
Calabria, decidendo sull’istanza di riesame nell’interesse di Albanese Giuseppe
avverso l’ordinanza emessa dal GUP presso il Tribunale di Palmi in data
10.6.2013 – che aveva applicato al predetto la misura cautelare della custodia
in carcere – ha rigettato l’impugnativa.
Contro detta pronunzia ricorre l’indagato contestando illogicità e insufficienza
della motivazione con riguardo alla ritenuta sussistenza di un grave quadro
indiziario in ordine alla contestazione di estorsione tentata aggravata e
continuata oltre che con riguardo alla sussistenza delle esigenze cautelari di
massimo rigore.

1

Sotto il primo profilo, nel ricorso si critica la decisione impugnata per essere la
stessa fondata sulle dichiarazioni rese dalla persona offesa, giudicate
attendibili nonostante le numerose contraddizioni intrinseche e la evidente
difformità delle stesse rispetto alle ulteriori dichiarazioni testimoniali raccolte
nel processo. Si svolge, al riguardo, una dettagliata ricostruzione delle
dichiarazioni in oggetto da pagina 4 a pagina 10 del ricorso, segnalando
inoltre come – attesa la positiva personalità dell’indagato – le minacce

da alcun connotato di serietà e di gravità.
Ricollegandosi a tale ultima considerazione, si argomenta l’insussistenza di
esigenze cautelari (in ordine alla reiterazione delle condotte delittuose) da
assicurare con la custodia intramuraria, e ciò anche alla luce delle risultanze
delle allegate indagini difensive, utili a dimostrare la positiva personalità
dell’indagato.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato.
Secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide,
l’ordinamento non conferisce alla Corte di Cassazione alcun potere di revisione
degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo
spessore degli indizi, né alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche
soggettive dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze
cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti
rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta
l’applicazione della misura cautelare, nonché del tribunale del riesame. Il
controllo di legittimità sui punti devoluti è, perciò, circoscritto all’esclusivo
esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia
rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui
presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità: 1) – l’esposizione
delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto
al fine giustificativo del provvedimento. (cfr. Cass. Sez. 6^ sent. n. 2146 del
25.05.1995 dep. 16.06.1995 rv 201840 e, tra le più recenti, Cass. Sez. III,
28.2.2012, n. 12763).
Inoltre il controllo di legittimità sulla motivazione delle ordinanze di riesame
dei provvedimenti restrittivi della libertà personale è diretto a verificare, da un
lato, la congruenza e la coordinazione logica dell’apparato argomentativo che
collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza

eventualmente rivolte alla persona offesa non sarebbero state caratterizzate

dell’indagato e, dall’altro, la valenza sintomatica degli indizi. Tale controllo,
stabilito a garanzia del provvedimento, non involge il giudizio ricostruttivo del
fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e
la rilevanza e la concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la
motivazione sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici. In
particolare, il vizio di mancanza della motivazione dell’ordinanza del riesame
in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza non può essere

del provvedimento impugnato, restando ad essa estranea la verifica della
sufficienza e della razionalità della motivazione sulle questioni di fatto. (Cass.
Sez. 1^ sent. n. 1700 del 20.03.1998 dep. 04.05.1998 rv 210566).
Non possono essere dedotte come motivo di ricorso per cassazione avverso
provvedimento adottato dal tribunale del riesame pretese manchevolezze o
illogicità motivazionali di detto provvedimento, rispetto a elementi o
argomentazioni difensive in fatto di cui non risulti in alcun modo dimostrata
l’avvenuta rappresentazione al suddetto tribunale, come si verifica quando
essa non sia deducibile dal testo dell’impugnata ordinanza e non ve ne sia
neppure alcuna traccia documentale quale, ad esempio, quella costituita da
eventuali motivi scritti a sostegno della richiesta di riesame, ovvero da
memorie scritte, ovvero ancora dalla verbalizzazione, quanto meno
nell’essenziale, delle ragioni addotte a sostegno delle conclusioni formulate
nell’udienza tenutasi a norma dell’art. 309, comma ottavo, cod. proc. pen. (v.
Cass. Sez. 1 sent. n. 1786 del 5.12.2003 dep. 21.1.2004 rv 227110).
Il Collegio ritiene di dovere riaffermare in questa sede il principio, espresso da
un consolidato indirizzo esegetico, e di recente ribadito da Cass. sez. un.
19.7.2012,n. per il quale “le regole dettate dall’art. 192 cod. proc. pen.,
comma 3, non trovano applicazione relativamente alle dichiarazioni della
parte offesa: queste ultime possono essere legittimamente poste da sole a
base dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica,
corredata da idonea motivazione, della loro credibilità soggettiva e
dell’attendibilità intrinseca del racconto (cfr. ex multis e tra le più recenti Sez.
4, n. 44644 del 18/10/2011, F., Rv. 251661; Sez. 3, n. 28913 del
03/05/2011, C, Rv.251075; Sez. 3, n. 1818 del 03/12/2010, dep. 2011, L. C,
Rv. 249136;Sez. 6, n. 27322 del 14/04/2008, De Ritis, Rv. 240524). Il vaglio
positivo dell’attendibilità del dichiarante deve essere più penetrante e rigoroso
rispetto a quello generico cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi
testimone, di talchè tale deposizione può essere assunta da sola come fonte di

sindacato dalla Corte di legittimità, quando non risulti “prima facie” dal testo

prova unicamente se venga sottoposta a detto riscontro di credibilità
oggettiva e soggettiva. Può essere opportuno procedere al riscontro di tali
dichiarazioni con altri elementi qualora la persona offesa si sia anche costituita
parte civile e sia, perciò, portatrice di una specifica pretesa economica la cui
soddisfazione discenda dal riconoscimento della responsabilità dell’imputato
(Sez. 1, n. 29372 del 24/06/2010, Stefanini, Rv. 248016; Sez. 6, n. 33162
del 03/06/2004, Patella, Rv. 229755). Costituisce, infine, principio

valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una
questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio
motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di
legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni (cfr.
ex plurimis Sez. 6, n. 27322 del 2008, De Ritis, cit.; Sez. 3, n. 8382 del
22/01/2008, Finazzo, Rv. 239342; Sez. 6, n. 443 del 04/11/2004, dep. 2005,
Zamberlan, Rv. 230899; Sez. 3, n. 3348 del 13/11/2003, dep. 2004, Pacca,
Rv. 227493; Sez. 3, n. 22848 del 27/03/2003, Assenza, Rv. 225232)”.
La corte territoriale – tenendo doverosamente ed accuratamente conto di tutti
gli elementi emersi nel corso del processo – ha spiegato, con iter
argomentativo esaustivo, logico, correttamente sviluppato e saldamente
ancorato all’esame delle singole emergenze processuali, le ragioni per le quali
le dichiarazioni rese dalla persona offesa dal reato sono da ritenere
intrinsecamente e oggettivamente attendibili e trovano univoci e significativi
elementi di convergenza negli altri elementi investigativi acquisiti e, in
particolare nelle ulteriori testimonianze in atti le quali, pur presentando
elementi di differenza, coincidono con le affermazioni della persona offesa nel
nucleo essenziale. Tanto precisato, deve inoltre rilevarsi che nel
provvedimento impugnato il tribunale argomenta impeccabilmente circa
l’assenza di qualsiasi elemento in atti idoneo ad inficiare la credibilità della
persona offesa con riferimento ai rapporti intercorrenti con l’odierno indagato,
rispetto al quale non sono emersi motivi di astio, risentimento o simili per
dedurne l’assenza di plausibili ragioni, alternative a quelle secondo cui i fatti
testimoniati sono realmente accaduti, perché la persona offesa potesse essere
indotta a rendere le dichiarazioni che hanno dato luogo al presente processo.
Quanto al pericolo di reiterazione del reato, il Tribunale ne argomenta la
ricorrenza in considerazione delle gravi modalità dello svolgimento dei fatti
(minacce di morte rivolte alla persona offesa in tre diverse occasioni) e della
negativa personalità dimostrata dall’indagato negli episodi contestati.

incontroverso nella giurisprudenza di legittimità l’affermazione che la

A fronte di tale esaustiva motivazione, nel ricorso si espone esclusivamente la
critica (già presentata al tribunale in occasione del riesame) fondata sulla
difformità – peraltro mai incidente il nucleo essenziale delle dichiarazioni – tra
la versione della persona offesa e le altre versioni dei fatti raccolte nel
processo, omettendo peraltro qualsiasi annotazione circa le ragioni per le quali
la persona offesa, aliena da animosità di sorta verso l’indagato, avrebbe
dovuto mentire sui fatti subiti. Dunque, senza minimamente evidenziare

tribunale, il ricorso evita di confrontarsi effettivamente con il provvedimento
impugnato, dimostrando un evidente difetto di correlazione con lo stesso.
Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della
Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa
emergenti dal ricorso, si determina equitativannente in euro 1000.

PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle
ammende. Si provveda a norma dell’art. 94, comma 1 ter disp. att. cod. proc.
pen.

Roma, li 28.1.2013
Il Consigliere estensore
Fabrizio Di Marzio

lacune logiche nella motivazione o eventuali errori di diritto commessi dal

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