Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5667 del 28/01/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 5667 Anno 2014
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: DI MARZIO FABRIZIO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da Plateroti Vincenzo, nato il 11.3.1969 avverso la
ordinanza del Tribunale della libertà di Reggio Calabria, del 15.7.2013.
Sentita la relazione della causa fatta dal consigliere Fabrizio Di Marzio; udite
le conclusioni del sostituto procuratore generale Antonio Gialanella sul rigetto
del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe la sezione del riesame del Tribunale di Reggio
Calabria, decidendo sull’appello proposto nell’interesse di Plateroti Vincenzo
avverso l’ordinanza emessa dalla Corte di appello di Reggio Calabria in data
24.4.2013 – che aveva rigettato la richiesta di revoca o sostituzione della
misura cautelare della custodia in carcere – rigettava l’impugnativa.
Contro detta pronunzia ricorre – a mezzo di difensore – l’indagato,
contestando violazione di legge, illogicità e insufficienza della motivazione con
riguardo alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari, osservando come il
tribunale argomenti il pericolo di reiterazione del reato esclusivamente in
ragione della condanna subita dal ricorrente in primo grado in data 27 aprile

Data Udienza: 28/01/2014

2012 senza tuttavia indicare i concreti elementi da cui desumere la
sussistenza, nel caso di specie, della dichiarata esigenza cautelare.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato.
Secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide,
l’ordinamento non conferisce alla Corte di Cassazione alcun potere di revisione
degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo

spessore degli indizi, né alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche
soggettive dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze
cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti
rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta
l’applicazione della misura cautelare, nonché del tribunale del riesame. Il
controllo di legittimità sui punti devoluti è, perciò, circoscritto all’esclusivo
esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia
rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui
presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità: 1) – l’esposizione
delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto
al fine giustificativo del provvedimento. (cfr. Cass. Sez. 6^ sent. n. 2146 del
25.05.1995 dep. 16.06.1995 rv 201840 e, tra le più recenti, Cass. Sez. III,
28.2.2012, n. 12763).
Inoltre il controllo di legittimità sulla motivazione delle ordinanze di riesame
dei provvedimenti restrittivi della libertà personale è diretto a verificare, da un
lato, la congruenza e la coordinazione logica dell’apparato argomentativo che
collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza
dell’indagato e, dall’altro, la valenza sintomatica degli indizi. Tale controllo,
stabilito a garanzia del provvedimento, non involge il giudizio ricostruttivo del
fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e
la rilevanza e la concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la
motivazione sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici. In
particolare, il vizio di mancanza della motivazione dell’ordinanza del riesame
in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza non può essere
sindacato dalla Corte di legittimità, quando non risulti “prima facie” dal testo
del provvedimento impugnato, restando ad essa estranea la verifica della
sufficienza e della razionalità della motivazione sulle questioni di fatto. (Cass.
Sez. 1^ sent. n. 1700 del 20.03.1998 dep. 04.05.1998 rv 210566).
Non possono essere dedotte come motivo di ricorso per cassazione avverso

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provvedimento adottato dal tribunale del riesame pretese manchevolezze o
illogicità motivazionali di detto provvedimento, rispetto a elementi o
argomentazioni difensive in fatto di cui non risulti in alcun modo dimostrata
l’avvenuta rappresentazione al suddetto tribunale, come si verifica quando
essa non sia deducibile dal testo dell’impugnata ordinanza e non ve ne sia
neppure alcuna traccia documentale quale, ad esempio, quella costituita da
eventuali motivi scritti a sostegno della richiesta di riesame, ovvero da

memorie scritte, ovvero ancora dalla verbalizzazione, quanto meno
nell’essenziale, delle ragioni addotte a sostegno delle conclusioni formulate
nell’udienza tenutasi a norma dell’art. 309, comma ottavo, cod. proc. pen. (v.
Cass. Sez. 1 sent. n. 1786 del 5.12.2003 dep. 21.1.2004 rv 227110).
Tanto precisato, sul caso di specie deve rilevarsi quanto segue.
Nel provvedimento impugnato il tribunale argomenta impeccabilmente, alle p.
2-3 le ragioni sulla sussistenza delle esigenze cautelari di massimo rigore,
individuando come sussistente un grave pericolo di reiterazione del reato. A
tal fine il tribunale richiama la sentenza di condanna in primo grado
dell’imputato a 9 anni di reclusione in ordine ai reati contestati, deducendone
logicamente la notevole gravità dei fatti commessi nonché un giudizio
fortemente negativo sulla personalità dell’imputato; e concludendo sulla
concreta sussistenza, in ragione di ciò (ossia della dimostrata capacità di
porre in essere gravissimi fatti delittuosi), di un concreto pericolo di
reiterazione del reato: anche richiamando le ragioni già più volte esposte in
precedenti provvedimenti di rigetto di istanze volte alla revoca o alla
attenuazione del regime cautelare in atto ma soprattutto sottolineando, a
fronte della decisiva sopravvenienza della sentenza di condanna, la totale
assenza di elementi di novità da sottoporre al tribunale ai fini di una attenta
riconsiderazione della attualità circa la sussistenza delle esigenze cautelari,
elementi di novità ai quali la difesa non ha riservato cenno alcuno.
Si preoccupa, il tribunale, di precisare anche come il mero decorso del tempo
in regime custodiate sia del tutto irrilevante, in se stesso considerato, per
supporre escluso o attenuato il pericolo di reiterazione del reato, dovendosi a
tal fine di valutare ulteriori elementi di sicura valenza sintomatica (essendo
questo l’insegnamento di legittimità: cfr. Cass. Sez. H, 27 maggio 2011, n.
21424), elementi come anticipato mai sottoposti all’esame del tribunale.
A fronte di tale esaustiva motivazione nel ricorso si espone esclusivamente
una opinione – evidentemente, per quanto detto, infondata

circa la natura

esclusivamente congetturale del ragionamento ora riassunto.

3

Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della
Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa
emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in euro 1000.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle

pen.

Roma, li 28.1.2013
Il Consigliere estensore
Fabrizio Di Marzio
Il Presidente
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ammende. Si provveda a norma dell’art. 94, comma 1 ter disp. att. cod. proc.

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