Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5661 del 28/01/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 5661 Anno 2014
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di CALANDRA Checco Maria, n. a
Capizzi (ME) il 28.08.1971, avverso l’ordinanza n. 5/2013 del
Tribunale di Enna in data 06.02.2013 con la quale era stato rigettata
l’istanza di riesame presentata in data 25.01.2013 avverso il
provvedimento di sequestro preventivo emesso in data 07.01.2013
dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Enna;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione della causa fatta dal consigliere dott. Andrea
Pellegrino;
udita la requisitoria del Sostituto procuratore generale dott. Antonio
Gialanella che ha chiesto l’annullamento con rinvio del provvedimento
impugnato.

RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 28/01/2014

1. Con decreto in data 07.01.2013, il Giudice per le indagini preliminari
presso il Tribunale di Enna, su conforme richiesta del Procuratore
della Repubblica presso il medesimo Tribunale, disponeva il
sequestro preventivo di quota parte dei beni, analiticamente indicati
nel provvedimento, di cui l’indagato risultava avere la disponibilità
fino alla concorrenza della somma di euro 313.769,35 quale profitto
dei reati al medesimo contestati. Il Tribunale, dopo aver premesso

che le condizioni generali per l’applicabilità delle misure cautelari
personali non sono estensibili, per la loro peculiarità, alle misure
cautelari reali, da ciò derivando che, ai fini della verifica in ordine alla
legittimità del provvedimento mediante il quale sia stato ordinato il
sequestro preventivo di un bene pertinente ad uno o più reati, è
preclusa ogni valutazione riguardo alla sussistenza degli indizi di
colpevolezza e alla gravità di essi, dovendo il giudice del riesame
esercitare il raffronto tra fattispecie astratta (legale) e fattispecie
concreta (reale) così da imporre il suo potere demolitorio nei soli casi
in cui la difformità sia rilevabile “ictu ocu/i” e tale da impedire alla
misura di perseguire il suo fine tipico, ha ritenuto l’infondatezza del
ricorso. Nel provvedimento, si evidenziava come le deduzioni delh
CALANDRA in ordine alla liceità delle percezioni con riferimento ai
terreni in questione, attenevano al merito del procedimento, che le
operazioni di accertamento della porzione delle erogazioni
lecitamente percepite non potessero essere espletate in fase
cautelare e che la riduzione del vincolo ai soli importi derivanti
dall’operazione di percentualizzazione rispetto al totale degli ettari
per i quali si era prospettata l’indebita percezione, avrebbe finito per
obliterare l’incidenza di tali ulteriori elementi la cui valutazione, ai fini
della sussistenza dell’ipotesi di reato contestata, competeva alla fase
dibattimentale. In merito all’assunta illegittimità del provvedimento
per la ritenuta eccedenza del valore dei beni vincolati rispetto al
profitto del reato, il Tribunale di Enna evidenziava come il vincolo
risultasse espressamente e correttamente apposto sino alla
concorrenza della somma di euro 313.769,35.
2.

Avverso detto provvedimento, nell’interesse di Calandra Checco
Maria veniva proposto ricorso per cassazione per i seguenti motivi:
-violazione di legge per omessa motivazione sulla corretta
quantificazione delle somme da sequestrare;

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-violazione di legge per omessa motivazione sulla sproporzione del
sequestro.
In relazione al primo motivo, lamenta il ricorrente come il Tribunale
di Enna abbia inteso svolgere un controllo meramente “notarile”
omettendo di prendere cognizione piena di tutti gli atti d’indagine
nonché di tutti gli atti forniti dalla difesa e non fornendo alcuna
risposta al primo motivo di gravame con il quale si contestava la

mancanza di discernimento tra le somme che si assumono essere
profitto di truffa e le somme percepite a pieno titolo. Ma non solo. Si
era addirittura omessa la verifica della correttezza dell’addizione
aritmetica effettuata dal giudice per le indagini preliminari, controllo
che avrebbe consentito di verificare come si fosse proceduto a
sequestrare una somma di quasi 86.000,00 euro in più rispetto al
dovuto.
In relazione al secondo motivo, lamenta il ricorrente l’omessa
motivazione in ordine all’eccepita violazione del principio di
proporzionalità tra le somme che avrebbero costituito il profitto del
reato contestato ed i beni sottoposti a sequestro, in presenza di una
situazione che avrebbe potuto consentire quantomeno una revoca
parziale del provvedimento cautelare.
Da qui la richiesta di annullamento del provvedimento impugnato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3.

Il ricorso, in relazione ad entrambi i motivi dedotti, è fondato e,
come tale, meritevole di accoglimento.

4.

Al riguardo vanno preliminarmente richiamate in sintesi le regole in
tema di impugnazione del provvedimento di sequestro preventivo.
Innanzitutto va considerato che, con il ricorso per cassazione ai sensi
dell’art. 325 cod. proc. pen., può essere dedotta la violazione di
legge e non anche il vizio di motivazione. Ma, secondo la
giurisprudenza di questa Corte, ricorre violazione di legge laddove la
motivazione stessa sia del tutto assente o meramente apparente,
non avendo i pur minimi requisiti per rendere comprensibile la
vicenda contestata e l’iter logico seguito dal giudice del
provvedimento impugnato. In tale caso, difatti, atteso l’obbligo di

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motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, viene a mancare un
elemento essenziale dell’atto.
Va anche ricordato che, anche se in materia di sequestro preventivo
il codice di rito non richiede che sia acquisito un quadro probatorio
serio come per le misure cautelari personali, non è però sufficiente
prospettare un fatto costituente reato, limitandosi alla sua mera
enunciazione e descrizione. È invece necessario valutare le concrete

risultanze istruttorie per ricostruire la vicenda anche al semplice
livello di “fumus” al fine di ritenere che la fattispecie concreta vada
ricondotta alla figura di reato configurata; è inoltre necessario che
appaia possibile uno sviluppo del procedimento in senso favorevole
all’accusa nonché valutare gli elementi di fatto e gli argomenti
prospettati dalle parti. A tale valutazione, poi, dovranno aggiungersi
le valutazioni in tema di periculum in mora che, necessariamente,
devono essere riferite ad un concreto pericolo di prosecuzione
dell’attività delittuosa ovvero ad una concreta possibilità di condanna
e, quindi, di confisca.
5.

Sulla base di detti principi va esaminato l’odierno ricorso.

6.

Rileva il Collegio come il provvedimento impugnato abbia fatto
proprie mere formule di stile limitandosi ad affermare la sussistenza
in concreto dei reati ipotizzati e l’astratta configurabilità della
fattispecie tipica, omettendo di svolgere un controllo penetrante e
preciso in ordine alla legittimità della misura adottata ed a verificare
– come suo preciso compito e dovere – se il sequestro preventivo
fosse stato disposto nei limiti del contestato profitto lucrato.
In particolare, il Tribunale di Enna non solo non ha affrontato la
quantificazione del prezzo dell’ipotizzato reato ma ha espressamente
rinunciato a farlo, abdicando tale funzione ad un momento
processuale successivo e finendo così per venir meno al proprio
obbligo motivazionale e, prima ancora, funzionale. L’affermazione è
in netto contrasto con la giurisprudenza di questa Suprema Corte
(cfr., Cass., Sez. 6, n. 24277 dell’08/04/2013-dep. 04/06/2013,
Rolli, rv. 255441) secondo cui spetta al giudice che, in sede di
riesame, proceda alla conferma del sequestro preventivo funzionale
alla confisca di valore del profitto del reato, il compito di valutare la
corretta determinazione di quest’ultimo.
Invero, la tesi contraria che rimette tale valutazione alla fase del

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giudizio ed in particolare alla decisione sulla confisca risulta
ampiamente superata da quelle pronunce (Cass., Sez. 6, n. 19051
del 10/01/2013-dep. 02/05/2013, Curatela fall. Soc. Tecno Hospital,
rv. 255256) che, valorizzando l’applicazione dei principi di
proporzionalità, adeguatezza e gradualità anche sul versante delle
misure cautelari reali, hanno affermato che è necessaria da parte del
giudice una valutazione relativa all’equivalenza tra il valore dei beni

e l’entità del profitto, così come avviene in sede esecutiva della
confisca, non essendovi ragioni per cui durante la fase cautelare
possa giustificarsi un sequestro avente ad oggetto beni per un valore
eccedente il profitto o il prezzo del reato (Cass., Sez. 5, 09/10/2009,
n. 2110, Sortino; Cass., Sez. 3, 07/10/2010, n. 41731, Giordano;
Cass., Sez. 5, 21/01/2010, n. 8152, Magnano; Cass., Sez. 6,
23/11/2010, n. 45504, Marini).
7.

Il ricorrente, già nel primo motivo di riesame, lamentava la totale
mancanza di discernimento tra le somme che si assumevano essere
profitto di truffa e le somme percepite a pieno titolo offrendo una
serie di documenti che, a suo dire, dimostravano

ictu °culi la

proprietà di numerosi ettari di terreno in base ai quali si era ottenuto
il finanziamento pubblico.
Il Tribunale, omettendo di entrare nel merito della valutazione delle
doglianze e della documentazione allegata dal ricorrente e
nell’affermare che le operazioni di accertamento della porzione delle
erogazioni lecitamente percepite non potessero allo stato essere
espletate e dovendo le medesime essere devolute alla fase
dibattimentale, essendo l’erogazione dei fondi condizionata dalla
qualità dei terreni, dalle colture impiantate e da un complesso di
fattori ulteriori non legati al mero dato numerico degli ettari di
pertinenza, è venuto meno al suo precipuo compito di controllo
giurisdizionale vanificando – di fatto – la funzione del procedimento
di riesame, costituito dalla revisione critica della precedente
statuizione, alla luce dei rilievi svolti dall’imputato. (Cass., Sez. 1, n.
43464, 01/10/2004-dep. 05/11/2004, Perazzolo,
rv. 231022).
8.

Pari fondatezza ha il secondo motivo di doglianza avendo il Tribunale
di Enna omesso di motivare in ordine alla verifica del rispetto del
principio di proporzionalità tra le somme asseritamente costituenti

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profitto del reato contestato ed i beni sottoposti a sequestro.
Sul punto va evidenziato come il Tribunale abbia focalizzato la sua
attenzione sulla valutazione dell’immobile per giungere alla
conclusione che lo stesso non poteva che essere sottoposto a vincolo
per la sua interezza non essendo ammissibile, logicamente prima che
giuridicamente, procedere alla sottrazione della disponibilità di una
sola quota del bene corrispondente al presunto profitto.

giurisprudenza di legittimità. Invero, sul presupposto della riferita
suscettibilità a frazionamento del bene, il giudice del riesame sempre in vista della verifica del rispetto del principio di
proporzionalità tra il credito garantito ed il patrimonio assoggettato a
vincolo cautelare – aveva l’obbligo di esaminare se vi fossero
elementi per accedere ad una revoca anche parziale del sequestro,
attività rientrante nei suoi poteri atteso il richiamo che l’art. 324,
comma 7 cod. proc. pen. opera all’art. 309, comma 9 cod. proc. pen.
(Cass., Sez. 1, n. 2264 del 05/04/1996-dep. 31/05/1996, Baldassar,
rv. 204819).
9. Ne consegue l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio al
Tribunale di Enna per nuovo esame

PQM

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Enna per nuovo
esame.
Così deliberato in Roma, camera di consiglio del 28.1.2014

Il Consigliere estensore
Dott. Andjfea Pellegrirj0

Il Presidente
D tt. Franco fiandanese
so

Anche questo assunto è contrario all’orientamento della

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