Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5654 del 28/01/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 5654 Anno 2014
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: PRESTIPINO ANTONIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PICARDI PATRIZIO n. il 20.4.1965
avverso l’ORDINANZA del TRIBUNALE DELLA LIBERTA’ di NAPOLI
del 6.8.2013
udita la relazione del consigliere dr. ANTONIO PRESTIPINO
sentito il Procuratore Generale, in persona del dr. Antonio Gialanella che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

Data Udienza: 28/01/2014

Ritenuto in fatto
1.Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale della Libertà di Napoli ha rigettato l’istanza di riesame
proposta da Picardi Patrizio avverso l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nei suoi
confronti dal Gip dello stesso Tribunale per il reato di associazione mafiosa.
1.1.11 Tribunale (pag.3) respinge anzitutto l’eccezione difensiva relativa alla violazione del principio
del ne bis in idem formulata con riferimento alla precedente condanna per il reato di associazione
mafiosa inflitta al Picardi con sentenza del 6.12.1999, divenuta irrevocabile nel 2002, proprio per la
sua appartenenza al clan Mallardo, rilevando che i contributi dei collaboratori di giustizia sentiti nel
corso del presente procedimento, indicavano la protrazione dell’inserimento del ricorrente nel clan
oltre l’ambito temporale segnato dal giudicato; ricorda quindi le acquisizioni processuali
sull’attuale persistenza della presenza criminale sul territorio del gruppo mafioso dei Mallardo; si
occup/infine (pagg. 4 e ss.), della specifica posizione del Picardi all’interno del clan dopo avere
premesso la valutazione dell’utilizzabilità delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia assunte
oltre il termine di centottanta giorni dalla redazione del verbale illustrativo, esprimendo il giudizio
di gravità indiziaria a partire dalla considerazione della precedente sentenza di condanna riportata
dal Picardi per l’appartenenza allo stesso clan.
1.2. Il mantenimento della posizione associativa del ricorrente è desunto, in particolare dai giudici
territoriali sulla base delledichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia, ritenute logiche,
coerenti e attendibili.
1.2.1. La ricostruzione del Tribunale prende le mosse dalle dichiarazioni di Pirozzi Giuliano,
secondo cui il ricorrente sarebbe stato legato da uno stretto rapporto fiduciario ad uno dei capi del
clan, Feliciano Mallardo, soprattutto per volere di Ciccio Mallardo e Dell’Aquila Giuseppe, che per
quanto detenutivrebbero continuato a controllare le vicende del gruppo criminale; e avrebbe
assunto un ruo o apicale nella gestione di tutte le attività del clan, tra le quali le iniziative per il
controllo del mercato ortofrutticolo, la gestione di locali notturni e di agenzie di scommesse, di bar
e di distributori di carburanti, o le pressioni esercitate sugli amministratori locali per condizionarne
l’attività politico-amministrativa;
1.2.2. Ma alle dichiarazioni del Pirozzi si erano aggiunte, come ricorda, ancora,i1 tribunale, anche
quelle di Martino Paolo, Chianese Giovanni, Guadagno Vincenzo, D’Alterio Bruno, Amatrudi
Massimo, Lo Russo Salvatore, concordanti tra loro e con quelle del Pirozzi, nell’indicazione del
ruolo apicale svolto dal Picardi all’interno del clan Mallardo, grazie al suo rapporto fiduciario con
esponenti di spicco del gruppo, e convergenti nell’affermazione che il ricorrente aveva assunto il
controllo della “cassa” dell’associazione e aveva iniziato a governare gli investimenti del gruppo,
chiedendo anzi conto del loro operato ai sodali in precedenza responsabili della gestione finanziaria,
ciò che aveva peraltro determinato la scelta di collaborazione del Pirozzi, che si era visto contestare
l’appropriazione personale di risorse economiche del gruppo e aveva iniziato a temere per la propria
vita.
1.3. Ulteriori elementi di conferma della gravità indiziaria sono desunti dal Tribunale dal contenuto
di numerosi “bigliettini” rinvenuti in possesso del Picardi dove risultarono trascritti numeri di
telefono riconducibili ad fari soggetti indicati dal Pirozzi come affiliati al clan Mallardo in stretto
collegamento con lo stesso Picardi; ma anche dalla mancata convalida, da parte del GIP, di un
provvedimento di fermo del ricorrente per il re ato di cui agli artt. 513 bis c.p. e 7 DL 152/1991,
invocata dalla difesa come rilevante argoment ontrario alla sussistenza della gravità indiziaria,
sottolineando i giudici territoriali, al riguardo, che di là dall’assenza dei presupposti del fermo per la
specifica contestazione, che non riguardava il reato associativo il gip aveva pur sempre evidenziato
che le dichiarazioni di alcuni collaboratori,(Martino paolo, Di Caterino Emilio, Torino Salvatore,
Bidognetti Domenico, Speranza Salvatore, Amatrudi Massimo e i contenuti di alcune intercettazioni
telefoniche) inducevano comunque a ritenere fondatamente che il Picardi fosse un associato al clan
Mallardo.

3. Ricorre il Picardi per mezzo del proprio difensore, deducendo i seguenti motivi:
1.violazione di legge ex art. 606 lett. b) c.p.p., in relazione agli artt. 191 c.p.p. e 16 quater co 9, L.
82/1991per la ritenuta utilizzabilità delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia assunte oltre il
termine di centoottanta giorni dalla redazione del verbale illustrativo;
2. violazione dell’art. 649 c.p.p. in relazione alla mancata rilevazione della preclusione dell’azione
penale per l’ostacolo di precedente giudicato. I fatti, secondo la difesa, sarebbero stati già oggetto
della precedente sentenza di condanna riportata dal Picardi con sentenza del 1999;
3.manifesta mancanza di motivazione ex art. 606 lett. e) c.p.p. in relazione agli artt. 125 co 3 e 292
lett. c) c.p.p., in punto di gravità indiziaria.I1 Tribunale avrebbe fatto indebito uso della tecnica di
motivazione per relationem con rinvio alle argomentazione dell’ordinanza cautelare, senza
esercitare ilo potere dovere di valutazione critica ed argomentata delle fonti indiziarie,
singolarmente assunte e complessivamente considerate, omettendo di attenersi al principio secondo
cui la motivazione per relationem deve comunque consentire l’individuazione delle ragioni di fatto
e di diritto che hanno indotto il giudice del riesame a condividere le argomentazioni del
provvedimento genetico;
4. violazione degli artt. 273 c.p.p. e 416 bis c.p.p., ; violazione dell’art. 192 c.p.p. e travisamento
delle prove. Il motivo investe più in dettaglio la motivazione dell’ordinanza impugnata in punto di
gravità indiziaria. I giudici territoriali non avrebbero considerato che nelle dichiarazioni dei vari
collaboratori mancherebbe qualunquespecifica indicazione di fatti e comportamenti concerto
attribuibili al Picardi significativi della sua presunta partecipazione al sodalizio, in particolare con
riferimento al suo ruolo di direzione e organizzazione, del quale, peraltro avrebbe parlato solo il
Picardi, le indicazioni del quale sarebbero quindi rimaste del tutto prive di riscontri. Le
dichiarazioni degli altri collaboranti, infatti, sarebbero del tutto generiche e, inoltre, divergenti sul
ruolo assunto dal Picardi all’interno del sodalizio.Salvatore Speranza avrebbe accennato ad un ruolo
di “killer” del ricorrente nemmeno indicato nel capo di imputazione e comunque affermato in
riferimento a fonti di conoscenza non identificate; Palma Benito e Martino paolo avrebbero
“frettolosamente” affermato l’appartenenza del ricorrente al clan Mallardo, avendo il Palma
aggiunto il coinvolgimento del Picardi in fatti di estorsione e rapine ala guida di un gruppo
specificamente preposto a tali attività criminali, anch’esse non considerate nell’imputazione
associativa; Chianese Giovanni avrebbe fornito indicazioni generiche e imprecise quando
addirittura penalmente irrilevanti, come nel riferimento alla gestione di un bar da parte del
ricorrente, e sarebbe inoltre illogica la sua affermazione circa l’ascesa del ricorrente ai vertici
dell’associazione nel 2008, essendo all’epoca il ricorrente detenuto per una condanna inflittagli dal
Tribunale di Napoli nel 2007; le dichiarazioni di Guadagno Vincenzo sarebbero poi in contrasto con
quelle degli altri collaboratori in ordine al rapporto fiduciario che avrebbe legato il Picardi a
Feliciano Mallardo, avendo il collaborante parlato di tensioni tra i due così gravi che all’interno del
clan sarebbe stata progettata l’estromissione del ricorrente. Assolutamente generiche sarebbero le
dichiarazioni dei collaboranti D’Alteri°, Bidognetti, Amatrudi, Lo Russo e Torino; soltanto de
relato la vaga indicazione del Bidognetti circa il ruolo di Killer del Picardi all’interno del clan
Mallardo.
4.1.1 giudici territoriali non avrebbero inoltre tenuto conto delle numerose illogicità e incoerenze nel
racconto del Pirozzi, ad es. con riferimento all’ingerenza nelle vicendetriminali dgclan Mallardo di
Ciccio Mallaro e Peppe dell’Aquila in costanze del loro stato di detenzione in regime di “carcere
duro”, dell’assenza di riscontri sulla gestione della cassa del clan attribuita dal Pirozzi al ricorrente
ecc…. ;e avrebbero trascurato le valutazione del giudice di sorveglianza sul corretto comportamento
del Picardi durante il periodo di applicazione nei suoi confronti della misura di sicurezza della
libertà vigilata, che era sta conseguentemente revocata; avrebbe indebitamente valorizzato le

2. In punto di esigenze cautelari, i giudici territorialiiottolineano la rilevantissima capacità criminale
implicita nello specifico ruolo assunto dal Picardi all’interno dell’associazione mafiosa, e il
concorrente rilievo sintomaticodel suo precedentespecifico per il reato di cui all’art. 416 bis c.p.

ik

indicazioni di prova emerse a carico del ricorrente nel proc nr. 46565/08 RG, nel quale il Picardi era
accusato del reato di illecita concorrenza, rispetto al quale era stata peraltro esclusa la gravità
indiziaria;
5. violazione degli arti. 274, 275 co 3 c.p.p., in ordine alla valutazione delle esigenze cautelari,
anche con riguardo alla esclusiva adeguatezza della più grave misura custodiale.I1 Tribunale non si
sarebbe attenuto ai principi costituzionali della inviolabilità della libertà personale e della
presunzione di non colpevolezza e al criterio della estrema ratio della misura carceraria, omettendo
di effettuare una positiva verifica circa la effettiva rispondenza dei tempi e dei modi di limitazione
della libertà personale al quadro delle specifiche esigenze cautelari orientate sulla correlativa
adeguatezza della misura in corso di applicazione (in ricorso è citata Cass. sez. 2, 2937/2010).Le
valutazioni dei giudici territoriali sarebbero infatti riduttive e di segno soltanto “negativo”, cioè
riferite solo alla presunta, mancata emergenza di elementi contrari alla presunzione di pericolosità
qualificata connessa al titolo del reato) rispetto alle ben più ampie esigenze di approfondimento
richieste dalla situazione, o ancora alla gravità astratta del reato, inidonea a fungere da elemento
preclusivo della verifica del grado delle esigenze cautelari in rapporto alla individuazione della
misura in concreto più adeguata.
5.1. I giudici territoriali non avrebbero jft inoltre considerato la remota datazione della condanna
riportata dal Picardi nel 1997 e il comportamento esemplare tenuto dal ricorrente durante
l’applicazione nei suoi confronti della misura di sicurezza della libertà vigliata.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato.
1.Pochi cenni meritano le questioni preliminari sollevate dalla difesa.
1.1. quanto all’inutilizzabilità delle dichiarazioni dei collabori assunte oltre il termine di
centottanta giorni dalla redazione del verbale illustrativo, che è ormai consolidato in giurisprudenza,
a seguito della sentenza delle sezioni unite n. 1149 del 25/09/2008 Imputato: Magistris, l’indirizzo
secondo il quale le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia oltre il termine di centottanta
giorni dalla manifestazione della volontà di collaborare sono utilizzabili nella fase delle indagini
preliminari, in particolare ai fini della emissione delle misure cautelari personali e reali, oltre che
nell’udienza preliminare e nel giudizio abbreviato (in motivazione, la Corte precisa che la
inutilizzabilità di cui all’articolo 16 quater comma IX 1. 82/1991, non rientra nella categoria delle
inutilizzabilità cosiddette patologiche, non esistendo tra l’altro per il Pubblico Ministero e per la
Polizia Giudiziariaklcun divieto di raccogliere tali dichiarazioni oltre il termine fissato dalla stessa
legge e potendo comunque il collaborante essere sentito sugli stessi fatti in dibattimento). D’altra
parte, le citazioni giurisprudenziali del ricorrente si fermano al 2005.
1.2. Quanto alla presunta violazione del principio del ne bis in idem, le deduzioni difensive si
caratterizzano per un’assoluta genericità, risolvendosi in affermazioni soltanto apodittiche, a fronte
della esplicita ricognizione da parte del Tribunale, del superamento dei limiti temporali del
precedente giudicato.
2. Il motivo sub 3.3. è ancorato a scontate affermazioni di principio, che vanno ragguagliate al caso
concreto, alla stregua delle più concrete censure di legittimità formulate articolate con il motivo sub
4. nel confronto con la motivazione del provvedimento impugnato.
2.1. Le deduzioni difensive intese ad insidiare la tenuta delle argomentazioni dei giudici territoriali
in punto di gravità indiziaria, si rivelano però largamente infondate, oltre a caratterizzarsi per
un’accentuata connotazione di merito, incompatibile con i limiti del giudizio di legittimità.Sotto un
primo aspetto, va segnalata l’irrituale tecnica di evocazione dei contenuti delle fonti dichiarative da
parte della difesa, basata su citazioni parziali e “a braccio” dei singoli contributi collaborativi,
riportati senza il supporto della produzione dei relativi verbali. In qualche caso, poi, i riferimenti
processuali delle deduzioni difensive sono assolutamente inesistenti (come ad. es., per la condanna
che il Picardi avrebbe riportato nel 2007, ritenuta incompatibile con la sua ascesa al vertice
dell’associazione nel periodo indicato da un collaborante).

3. Anche a prescindere dalla lacunosità dei riferimenti processuali, in vari casi le deduzioni
difensive appaiono intrinsecamente alquanto deboli. E così, per svalutare il significato del
contributo del Chianese (vedi pag. 10 del ricorso), la difesa non tiene conto di significative
convergenze dei contenuti dichiarativi offerti dal collaborante con altre fonti di rango analogo (così
per la gestione di un bar da parte del Picardi, oggetto di specifica indicazione da parte del Chianese,
ma anche delle indicazioni fornite dal Pirozzi riguardo all’individuazione, da parte del ricorrente,
delle attività di ristorazione come uno dei settori di reinvestimento delle risorse finanziarie del clan
Mallardo); ma così anche per la indicazioni di contrasti tra il ricorrente e Feliciano Mallardo da
parte del Guadagno (pag. 11), che non escluderebbero affatto l’esistenza di un precedente rapporto
fiduciario tra i due, magari incrinatosi nel tempo.
4. E’ vero però soprattutto che le valutazioni del Tribunale non sono affatto così vaghe e “acritiche”
come sostiene la difesa. I giudici territoriali colgono significativi nuclei essenziali comuni nelle
dichiarazioni dei vari collaboratori, come ad es. riguardo alla gestione della “cassa” del clan,
oggetto di plurime indicazioni, come anche il rapporto fiduciario tra il Picardi ed esponenti di
vertice del clan Mallardo (riguardo ad alcuni dei quali è all’evidenza soltanto assertivo il rilievo
difensivo circa l’assoluta incompatibilità del regime speciale di detenzione con residue possibilità di
contatti con l’esterno capaci di assicurare all’interessato apprezzabili margini decisionali per
continuare ad intervenire nelle vicende del gruppo criminale di appartenenza).
4.1.Non è nemmeno seriamente contestabile la logicità della valorizzazione, da parte del Tribunale,
degli elementi emersi in occasione di una diversa vicenda giudiziaria, pur se conclusasi
favorevolmente per il ricorrente, circa i suoi perduranti rapporti con altri affiliati desumibili dal
contenuto di alcune intercettazioni telefoniche, ma anche dalle annotazioni scritte trovate in
possesso del ricorrente relative ai numeri telefonici di soggetti appartenenti al clan Mallardo, tra i
quali D’Alterio Salvatore, quest’ultimo indicato dal Pirozzi come strettamente legato al Picardi e a
sua volta autore di una scelta di collaborazione con il coinvolgimento del ricorrente. Si tratta, infatti,
di contatti personali che specialmente nel significativo intrecciarsi reciproco dei vari percorsi di
collaborazione, apporterebbero già di per sé non secondari argomenti al giudizio della gravità
indiziaria, anche tenendo conto del precedente specifico per il reato di associazione mafiosa a carico
del ricorrente, anch’esso giustamente valorizzato nell’ordinanza impugnata (nel senso che la
valutazione della prova della continuità dell’adesione all’associazione mafiosa di un soggetto già
condannato per lo stesso reato può essere tratta anche da elementi di fatto che di per sé potrebbero
non essere sufficienti a fondare un’accusa “originaria” di partecipazione( vedi Cass.. Sez. 2,
Sentenza n. 6819 del 31/01/2013, Fusco e altri, che afferma la rilevanza di un contributo anche
soltanto morale dell’associato, successivamente alla condanna, alle attività del gruppo criminale di
appartenenza; vedi, anche, Cass. sez. 2, 26.6.2013, Floccari).
5. Ancora più evidente è l’infondatezza delle censure di legittimità del ricorrente in punto di
valutazione delle esigenze cautelari. Il ruolo dirigenziale del Picardi e il suo precedente specifico
per il reato di associazione mafiosa, arricchiscono, nelle giuste valutazioni del Tribunale, di
contenuti concerti la prsunzione di pericolosità qualificata connessa al titolo del reato, apparendo
francamente incongruo, a fronte dei dati di prova sottolineati dai giudici territoriali a sostegno del
giudizio di notevole pericolosità sociale del ricorrente, il tentativo di valorizzazione dell’apparenza
di “normalità” e di ritorno alle regole della convivenza civile che il Picardi era riuscito a costruire
parallelamente al suo perdurante e qualificato inserimento nelle vicende criminali del clan
Mallardo.
Alla stregua delle precedenti considerazioni il ricorso deve essere rigettato, con la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali. La cancelleria dovrà provvedere agli adempimenti
di cui all’art. 94 disp. Att. C.p.p.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.. Si provveda a
norma dell’art. 94 disp. Att. C.p.p.Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 28.1.2014.

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