Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 565 del 21/11/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 565 Anno 2014
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ZARRILLO CONCETTA N. IL 18/07/1965
avverso l’ordinanza n. 15/2011 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
24/05/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONIO
SETTEMBRE;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 21/11/2013

– Letta la memoria depositata in data 13 maggio 2013 dal Procuratore generale
della repubblica presso la Corte di Cassazione, che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso e, comunque, per la sua infondatezza.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’appello di Napoli, con decreto del 24 maggio 2012, ha confermato
quello emesso dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere in data 10 giugno

associazione mafiosa – la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di PS
con obbligo di soggiorno nel comune di residenza per la durata di anni tre e mesi
sei, ai sensi della L. 575 del 31/5/195 e della L. 1423 del 27 dicembre 1956, e gli
è stata imposta la cauzione di € 6.000.

2. Avverso l’anzidetta pronuncia ha proposto ricorso per Cassazione Zarrillo
Concetta, con due ricorsi, il primo a firma degli avv.ti Angelo Raucci e Romolo
Vignola e il secondo dell’avv. Luca Cianferoni.
2.1. Gli avv.ti Raucci e Vignola lamentano, con unico motivo, la violazioni di
plurime norme dalla L. 1423/56 e 575/65, dacché il giudizio sulla pericolosità
sociale della proposta si è sviluppato attraverso un iter logico contraddittorio e
caratterizzato dall’assenza di valutazione delle argomentazioni difensive.
Rimarcano il fatto che la donna è stata assolta nei due procedimenti che la
vedevano imputata (il proc. n. 19477/08 e n. 23756/05) e che è stata annullata
dal Tribunale del riesame, in un terzo procedimento (il n. 54381/06), la misura
cautelare a lei applicata per il delitto di cui all’art. 416/bis cod. pen., talché la
misura è motivata solo con le propalazioni di due collaboratori di giustizia, non
sottoposte a critica valutativa, e dal suo rapporto di coniugio con Belforte
Salvatore, capo dell’omonima associazione camorristica.
Si dolgono, infine, dell’imposizione di una cauzione di € 6.000 che, stante
l’assenza di redditi leciti – come accertato dal giudice del merito – non potrebbe
essere assolta se non ricorrendo ad ulteriori attività illecite.
2.2. L’avv. Cianferoni si duole, anch’egli con unico motivo e con sostanziale
identità di argomenti, dell’assenza di motivazione in ordine alla pericolosità
sociale della proposta e alla sua attualità. Argomenta che la lunga carcerazione
del marito (detenuto dal 2006) e la recente assoluzione della Zarrillo
rappresentano elementi da cui desumere il venir meno del “nesso di funzionalità
associativa che un tempo legava i coniugi Belforte”.

CONSIDERATO IN DIRITTO

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2010, con cui è stata disposta, a carico di Zarrillo Concetta – indiziata di

Entrambi i ricorsi, con cui viene censurato il provvedimento per carenza di
motivazione, sono infondati.
1. Va premesso, innanzitutto, che, come recentemente ribadito anche dalla Corte
Costituzionale, in materia di misure di prevenzione (L. n. 1423 del 1956, art. 4,
comma 10, che detta un principio di ordine generale, applicabile anche nei casi
di pericolosità qualificata di cui alla L. n. 575 del 1965, in forza del richiamo
operato dall’art. 3/ter, comma secondo, della legge 575/65; disposizioni
confermate nell’art. 10, III comma, del D.L.vo del 06.09.2011) non è deducibile,

assoluto o di motivazione meramente apparente, poiché tali vizi si traducono in
realtà in violazione di legge per mancata osservanza, da parte del giudice di
merito, dell’obbligo di provvedere con decreto motivato (sancito dal comma 9
dell’art. 4 L. 1423/1956 e dal comma 2 del D.L.vo 159/2011;cfr. art. 125 c.p.p.,
comma 3, ultima parte; v. Sez. 2, Sentenza n. 2181 del 06/05/1999 Cc. – dep.
26/05/1999 – Rv. 213852; Sez. 2, Sentenza n. 19914 del 31/01/2005 Cc. -dep.
26/05/2005 – Rv. 231873).
E’ ugualmente principio ormai consolidato in giurisprudenza, poi, quello secondo
cui tra il procedimento di prevenzione e il processo penale sussistono profonde
differenze funzionali e strutturali, essendo il secondo ricollegato a un fatto-reato
e il primo riferito a una valutazione di pericolosità, espressa mediante condotte
che non necessariamente costituiscono reato. Si tratta di procedimenti autonomi
e proprio da tale autonomia deriva che nel procedimento di prevenzione la prova
indiretta o indiziaria non deve essere dotata dei caratteri prescritti dall’art. 192
c.p.p., mentre le chiamate in correità o in reità, le quali devono essere sorrette
da riscontri esterni individualizzanti per giustificare la condanna, non devono
essere necessariamente munite di tale carattere ai fini dell’accertamento della
pericolosità (da ultimo, Cass. Pen., 18/2/2008, n. 16030).

2. Tanto premesso, nel caso di specie non può parlarsi, innanzitutto, di
motivazione omessa, giacché il Tribunale e la Corte d’appello hanno chiaramente
collegato il giudizio sulla pericolosità sociale della proposta a fatti e circostanze di
rilievo penale, sfociati, da ultimo, in plurimi procedimenti penali, in due dei quali
è compresa anche l’associazione mafiosa e, in tutti, l’aggravante dell’art. 7 L.
203/91. Sebbene alcuni di detti procedimenti abbiano avuto esito assolutorio per
Zarrillo, non per questo sono venuti meno i motivi di pericolosità e gli indizi a
suo carico, stante la pacifica e ribadita autonomia dei procedimenti penale e di
prevenzione.
La pericolosità sociale della Zarrllo è stata infatti collegata alle seguenti,
obbiettive evenienze:

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in sede di legittimità, il vizio di motivazione, tranne che nei casi di difetto

– è stata rinviata a giudizio con decreto del 16 luglio 2008 nell’ambito del proc.
n. 46292/03 RGNR per associazione mafiosa (reato commesso negli anni 199899), per estorsione continuata e aggravata ex art. 7 commessa nel 1999, per
concorrenza illecita con minaccia (art. 513/bis cod. pen.) aggravata ex art. 7 L.
203/91. In questo caso ci sono le valutazioni del Giudice dell’udienza
preliminare, che ha ravvisato un crescente coinvolgimento della donna nelle
attività illecita del clan Belforte nei periodi di detenzione del marito e del cognato
(vedi pag. 4 del provvedimento impugnato);

Aveta+altri) per una serie di episodi estorsivi commessi nella zona di operatività
del clan Belforte. Sebbene la donna sia stata assolta in primo grado dalle
estorsioni, per l’assenza di prova di un coinvolgimento negli specifici reati,
tuttavia i giudici hanno rimarcato il suo coinvolgimento (insieme a Butone Maria)
nelle dinamiche dell’associazione mafiosa (non contestata, in detto
procedimento), “intervenendo direttamente e con grossa autorevolezza nella
gestione economica e dei rapporti tra gli associati, costituendo, durante la
detenzione dei rispettivi mariti, un punto di riferimento prestigioso e qualificato
per tutti gli appartenenti al clan, anche per coloro che rivestivano posizioni
apicali”;
– è stata condannata in primo grado nell’ambito del proc. N. 54381/06 RGNR per
il reato di cui all’art. 611 cod. pen., aggravato ai sensi dell’art. 7

L. 203/91,

commesso in danno di Celiento Pietro (reato del 20/1/2006), vittima di
estorsione da parte del clan Belforte, per costringerlo a rendere false
dichiarazioni agli investigatori e favorire, in tal modo, l’impunità degli estorsori;
– è stata sottoposta a giudizio nell’ambito del proc. n. 23756/05 RGNR (proc.
Adanti+altri) per false dichiarazioni destinate all’Autorità Giudiziaria (art.
374/bis, aggravato ex art. 7) commesso fino all’11/10/2005 e corruzione in atti
giudiziari (aggravato ex art. 7) commesso fino a marzo 2007. In tale
procedimento la Zarrillo è stata assolta in primo grado in data 28/2/2012, ma la
Corte d’appello ha ragionevolmente escluso che dalla vicenda possano trarsi
elementi di contrasto col giudizio di pericolosità, stante la ricchezza degli
elementi raccolti nel corso delle indagini preliminari (il collaboratore Froncillo ha
parlato di attività corruttiva svolta dalla Zarrillo per ottenere certificazioni di
patologie a carico del marito, al fine di sottrarlo al carcere).
La motivazione resa dalla Corte di merito in ordine alla pericolosità sociale
della proposta presenta, quindi, non solo i caratteri richiesti dalla logica e dalla
semantica per essere “esistente”, ma è anche logica e congruente in vista del
discorso giustificativo della decisione, in quanto fondata su dati di obbiettivo
valore dimostrativo, tutti convergenti verso un ruolo significativo della Zarrillo
nell’ambito dell’associazione diretta dal marito, che ne fanno persona altamente
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– è stata sottoposta a giudizio nell’ambito del proc. n. 19477/08 RGNR (proc.

pericolosa per la sicurezza sociale. La motivazione resa dalla Corte da’appello su
questo requisito della misura si sottrae, pertanto, alle censure non solo di
“apparenza”, ma anche (per quel che conta) di illogicità.

3.

Quanto all’attualità della pericolosità sociale (motivo specifico dell’avv.

Cianferoni), va ricordato che, ai sensi degli art. 1 e 2, I. 31 maggio 1965 n. 575
(sostituiti, oggi, dagli artt. 4 e segg. del d.lgs 159/2011), in materia di misure di
prevenzione da applicarsi nei confronti di soggetti indiziati di appartenenza ad

nella ritenuta attualità della presumibile appartenenza del proposto a un
sodalizio mafioso, in quanto, in tal caso, la pericolosità del proposto è presunta
dal legislatore e non richiede, a differenza di quanto previsto per le misure di
prevenzione di cui alla I. 27 dicembre 1956 n. 1423, l’accertamento in concreto
della sua pericolosità. Ne deriva che, una volta che il giudice della prevenzione
abbia fornito adeguata motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza della
partecipazione a un’associazione mafiosa e non sussistono elementi – a parte il
decorso del tempo, di per sé non decisivo – dai quali possa ragionevolmente
desumersi che l’appartenenza sia venuta meno, non occorre alcuna specifica
motivazione che dia conto delle ragioni per le quali il soggetto sia da considerare
anche attualmente pericoloso (Cassazione penale, sez. I, 16/04/2007, n.
21048).
Nella specie non solo non sono stati evidenziati elementi di discontinuità nelle
condotta della Zarrillo rispetto all’associazione mafiosa, ma è stata evidenziata,
oltre al suo risalente e stabile inserimento nelle dinamiche associative, l’assenza
di fonti lecito di reddito e il rapporto di coniugio col capo della stessa, che
confermano l’attualità del giudizio di pericolosità su di lei formulato. Ne consegue
che sono presenti tutti gli elementi richiesti dalla legge e dalla giurisprudenza per
l’applicazione della misura in questione.

4. Infine, il motivo concernente l’imposizione della cauzione, e la sua misura, è
inammissibile. Infatti, a prescindere dal fatto che la Corte fornisce una
motivazione sul punto (la misura della cauzione appare congrua ed adeguata ai
comportamenti della proposta ed alle sue capacità di illeciti guadagni),
contrastata dal ricorrente solo con affermazioni apodittiche, si deve rilevare che
il provvedimento con cui il giudice della prevenzione dispone una cauzione deve
ritenersi – in base al principio di tassatività di cui all’art. 568 c.p.p., comma 1,
che opera anche in subiecta materia – insindacabile, non essendo prevista dalla
legge nei suoi confronti alcuna forma di gravame. In particolare, si deve rilevare
che la L. n. 575 del 1965, art. 3 – ter, comma 2, laddove indica espressamente
le pronunce adottabili dal Tribunale, a norma dei precedenti artt. 2/ter e 3/bis,

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associazioni di tipo mafioso, il requisito della “attualità della pericolosità” è insito

soggette ad impugnazione, omette di menzionare quella in oggetto (lo stesso
discorso vale anche per il D.L.vo 159/2011; si vedano, in particolare, gli artt. 10,
27 e 31 del predetto D.L.vo. In giurisprudenza, la non impugnabilità per
Cassazione dei provvedimenti concernenti la cauzione è ribadite in numerose
pronunce: N. 27603 del 4/5/2007; N. 1231 del 1990 Rv. 184634, N. 5493 del
1999 Rv. 212199, N. 35363 del 2006 Rv. 235202). Né varrebbe invocare l’art.
111 Cost., ovvero l’art. 568 c.p.p., comma 2, giacché l’imposizione della
cauzione non è riconducibile ai provvedimenti attinenti alla libertà personale

Del resto, trattasi di misura di carattere non definitivo che, ai sensi della L. n.
575 del 1965, art. 3/bis, u.c., può sempre essere revocata, in tutto o in parte,
dallo stesso organo che l’ha disposta per “comprovate gravi necessità personali o
familiari” (Sez. 5, Sentenza n. 35363 del 22/09/2006 Cc. – dep. 23/10/2006 Rv. 235202; Sez. 5, Sentenza n. 5493 del 08/10/1998 Cc. – dep. 11/01/1999 Rv. 212199); ed è appena il caso d’aggiungere, in relazione al susseguente reato
di omesso versamento dalla cauzione, previsto dalla L. n. 575 del 1965, art. 3
bis, comma 4, (v. art. 76, VI comma, D.L.vo 159/2011) che incombe
sull’imputato l’onere della prova della materiale impossibilità di adempiere, senza
colpa (Sez. 6, Sentenza n. 363126 del 19/10/2006 Ud. dep. 02/11/2006 – Rv.
235278; Sez. 2, Sentenza n. 27603 del 04/05/2007 Cc. – dep. 12/07/2007 – Rv.
238917).
Per quanto sopra il ricorso va rigettato. Consegue, per legge, la condanna
della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 21/11/2013

(Sez. 1, Sentenza n. 8931 del 21/11/2000 Cc. – dep. 05/03/2001 – Rv. 218224).

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