Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5638 del 04/12/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 5638 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: GRASSO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ORLANDO SIMONA N. IL 26/05/1979
avverso l’ordinanza n. 73/2011 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 03/04/2012
tt. GIUSEPPE GRASSO;
sentita la relazione fatta dal Consigliere
lette/sentrle conclusioni del PG Dott.
45
Ou.A.et. Uk_ 011..A U4.~ eisit.p.te,

Uditi dif

vv.;

V

Data Udienza: 04/12/2013

FATTO E DIRITTO

1. Orlando Simona, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per
cassazione avverso l’ordinanza della Corte di Appello di Reggio Calabria,
depositata il 7/5/2012, con la quale venne rigettata la sua istanza di riparazione
per l’ingiusta detenzione subita dal 27/5/2002, per un totale di giorni 204, in
relazione all’accusa di aver violato l’art. 73 del d.P.R. n. 309/1990 e la normativa
sulle armi: dalla seconda accusa la ricorrente era stata assolta in primo grado e

condanna del G.I.P.

2. La Corte di Reggio Calabria ravvisò la circostanza escludente del diritto
alla riparazione di cui all’art. 314, 1° comma, cod. proc. pen., e cioè di avere
concorso a dare causa all’emissione del provvedimento restrittivo della libertà
personale per colpa grave, per quanto appresso.
Effettuata perquisizione all’interno di due locali facenti parte dell’edificio
contrassegnato dai numeri civici 13, 15, 17 e 19, veniva rinvenuta una carabina
ad aria compressa priva di matricola (poi giudicata inidonea), nonché gr. 676 di
cannabis sativa, più ulteriori gr. 1.061; la ricorrente, assai agitata, al momento
dell’arresto affermò che i semi messi a coltura nelle fitocelle erano di pomodoro,
per poi, successivamente, in sede d’interrogatorio di garanzia, smentire l’asserto
dichiarando che <>

3. La Orlando con l’unitaria censura chiede l’annullamento dell’ordinanza
impugnata criticando il ragionamento della Corte territoriale, giudicato
gravemente carente.
Assume la predetta che la Corte reggina, errando, aveva valorizzato meri indizi
di colpevolezza e non già individuato condotta gravemente colposa della
medesima, che erano state causa dell’emissione della misura. Tale non poteva
considerarsi il preteso contrasto dichiarativo, stante che nell’immediatezza la
ricorrente aveva inteso riferirsi ai semi rinvenuti in contenitori del tipo fitocelle,
solitamente utilizzate per lo sviluppo di piantine di pomodoro; mentre,
successivamente intendeva riferirsi alle bottiglie di plastica contenenti i semi di
canapa. Inoltre, la Corte di merito era caduta in insanabile contrasto affermando,
per un verso, l’intangibilità della decisione di assoluzione, e, per altro verso,
finendo per valorizzare elemento sconfessante di quella decisione, affermata
come condivisa: la sentenza assolutoria aveva negato che la Orlando avesse

dalla prima, dalla competente Corte territoriale, riformata la statuizione di

l’esclusiva disponibilità di tutti i locali. Infine, lo stato d’agitazione della donna al
momento dell’irruzione non poteva di certo avere univoco significato.

4. Con memoria pervenuta il 16/11/2013 l’Avvocatura generale dello Stato
si costituiva per l’Amministrazione finanziaria chiedendo dichiararsi inammissibile
o, comunque, rigettarsi il ricorso.

5.1. Si osserva che la giurisprudenza di legittimità è costantemente
orientata nel senso tracciato dalle Sezioni unite di questa Corte con la sentenza
n. 34559 del 15.10.2002, secondo la quale in tema di riparazione per l’ingiusta
detenzione, il giudice di merito, per valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o
concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo
autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare
riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica
negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del
convincimento conseguito motivazione, che, se adeguata e congrua, è
incensurabile in sede di legittimità.
E’ quindi determinante stabilire se la Corte di merito abbia motivato in modo
congruo e logico in ordine alla idoneità della condotta posta in essere dallo
istante ad ingenerare nel giudice che emise il provvedimento restrittivo della
libertà personale il convincimento di un probabile concorso nell’illecita detenzione
di stupefacente.

5.2. La Corte territoriale, nel caso di specie, ha individuato, con
ragionamento esente da censure in questa sede rilevabili in cosa sia consistita la
colpa grave della ricorrente, la quale aveva tenuto comportamento assai
ambiguo, né su tale vaglio interferisce la valutazione del giudice del merito
dell’imputazione, trattandosi di esami che non hanno finalità omogenee.
Gli elementi in parola, al contrario di quel che mostra di ritenere la ricorrente,
integrano, nel loro complesso, una condotta connotata da colpa assai grave, tale
da esser stata causa della misura cautelare: la ricorrente, trovata in condizione
di avere la disponibilità della sostanza stupefacente, fornendo dichiarazioni
palesemente contrastanti aveva finito per consolidare il quadro indiziario a suo
carico. Anche a ritenere non univoco il riscontrato stato d’agitazione al momento
dell’intervento, la pretesa che la discordanza dichiarativa fosse dipesa dalle
addotte ragioni resta meramente congetturale. Quanto, poi, alla disponibilità
della sostanza, senza che occorra porre in alcun modo in discussione il giudizio

5. Il ricorso va disatteso in quanto infondato.

assolutorio di merito, non è dubbio il dato fattuale che la ricorrente venne
trovata in condizione di disporre, pur non in via d’esclusività, di quanto
sequestrato.
Ovviamente, non ha rilievo di sorta in questa sede la circostanza che gli elementi
raccolti siano stati giudicati inidonei a sorreggere statuizione di condanna
definitiva.
Come a suo tempo chiarito, non potendo l’Ordinamento, nel momento in cui fa
applicazione della regola solidaristica, alla base del diritto al risarcimento in

consociati, allorquando interagiscono nella società (trattasi, in fondo, della regola
che trova esplicitazione negli artt. 1227 e 2056, cod. civ.), deve intendersi
idonea ad escludere la sussistenza del diritto all’indennizzo, ai sensi dell’art. 314
comma 1 c.p.p., non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto
e rappresentato nei suoi termini fattuali, sia esso confliggente o meno con una
prescrizione di legge, ma anche la condotta consapevole e volontaria i cui esiti,
valutati dal giudice del procedimento riparatorio con il parametro dell’id quod
plerumque accidit secondo le regole di esperienza comunemente accettate, siano
tali da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento
dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in
pericolo. Poiché inoltre, anche ai fini che qui interessano, la nozione di colpa è
data dall’art. 43 c.p., deve ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla
riparazione, ai sensi del predetto comma 1 dell’art. 314 c.p.p., quella condotta
che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica
negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o
norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma
prevedibile, ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi
nell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o nella
mancata revoca di uno già emesso (in puntuali termini, S.U., 13/12/1995, n.
43).
A tal riguardo, la colpa grave può concretarsi in comportamenti sia processuali
sia di tipo extraprocessuale, come la grave leggerezza o la rilevante
trascuratezza, tenuti sia anteriormente che successivamente al momento
restrittivo della libertà personale; onde l’applicazione della suddetta disciplina
normativa non può non imporre l’analisi dei comportamenti tenuti
dall’interessato, anche prima dell’inizio dell’attività investigativa e della relativa
conoscenza, indipendentemente dalla circostanza che tali comportamenti non
integrino reato (anzi, questo è il presupposto, scontato, dell’intervento del
giudice della riparazione) (in puntuali termini, Sez. IV, 16/10/2007, n. 42729).

esame, obliterare il principio di autoresponsabilità che incombe su tutti i

Peraltro, intangibile il diritto al silenzio e anche al mendacio, è evidente che in
presenza di una situazione fattuale che integri gravi indizi di colpevolezza a
carico dell’indagato, ove costui sia portatore di conoscenza capace di pienamente
ripristinare la verità dei fatti, non può pretendere di avvantaggiarsi
dell’indennizzo di legge, ove non abbia fornito tempestivamente quel minimo di
collaborazione che sarebbe stata idonea a fare piena luce: anche ad oggi resta
oscura la ragione per la quale il Bruno avesse titolo a pretendere una somma di

6. Al rigetto consegue il pagamento delle spese processuali.
La poco penetrante disamina del caso concreto svolta nell’unico atto processuale
dell’Avvocatura Generale, costituito dall’indicata memoria, fa apparire giusto
compensare le spese legali di questo giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali;
compensa tra le parti le spese per questo giudizio.

Così deciso nella camera di consiglio del 4/12/2013.

denaro dal Clamer e perché costui si fosse “meritato” le minacce del primo.

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