Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5637 del 04/12/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 5637 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: GRASSO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TISTI DOMENICA N. IL 20/06/1973
MONTANI GIUSEPPE N. IL 12/09/1991
avverso l’ordinanza n. 93/2007 CORTE APPELLO di BARI, del
09/02/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere ott. GIUSEPPE GRASSO;
lette/s~rle conclusioni del PG Dott.

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Data Udienza: 04/12/2013

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FATTO E DIRITTO

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1. Tisti Domenica, anche nella qualità di esercente la potestà (oggi della
responsabilità genitoriale, ai sensi del recentemente novellato art. 316, cod.
civ.), nei confronti del figlio minore Montani Marcello, e Montani Giuseppe,
qualificatisi eredi del defunto Montani Cosma Damiano, hanno proposto ricorso
per cassazione avverso l’ordinanza della Corte di Appello di Bari, depositata il
20/4/2012, con la quale, accolta per quanto di ragione la domanda di riparazione

congiunta di Montani Cosma Damiano, liquidò in suo favore la somma di
complessive €. 12,000, rigettando, al contempo, le domande avanzate da costei
nella qualità e di Montani Giuseppe.

2. I ricorrenti con il principale, articolato primo motivo deducono
violazione di legge per avere la Corte territoriale affermato che gli eredi di
persona sottoposta ingiustamente a custodia cautelare sono legittimati ad agire
esclusivamente iure proprio e non iure ereditario, <>. Nel caso in esame, a differenza del precedente giudiziario
evocata dal provvedimento gravato, la domanda di riparazione era stata
presentata, a suo tempo, dall’interessato, marito e padre dei ricorrenti, il quale
era venuto a mancare in pendenza del predetto procedimento. Di conseguenza
non avrebbe potuto escludersi il diritto alla riparazione iure ereditario, avendo la
decisione, in materia, valenza accertativa di un diritto già maturato in capo al
soggetto che era stato afflitto dalla detenzione ingiusta.

2.1. Con il secondo motivo i ricorrenti si dolgono dell’illogicità della
motivazione nella parte in cui il provvedimento esclude che il figlio Marcello,
all’epoca della scarcerazione del padre ancora neonato, avesse potuto subire
pregiudizio e rigetta la domanda del primogenito Giuseppe, all’epoca di nove
anni, perché aveva omesso di provare le conseguenze pregiudizievoli subite,
ignorandosi financo se lo stesso in precedenza vivesse col padre e ulteriormente
valorizzandosi la circostanza che quest’ultimo era reduce da altra lunga
detenzione.
L’illogicità, secondo i ricorrenti, appare manifesta: si richiede la prova del grave
ed evidente danno derivante, per un infante, dalla privazione della figura paterna
e quella della convivenza del germano di nove anni con i genitori. Inoltre si

per ingiusta detenzione proposta da Tisti Domenica, in proprio e nella qualità di

attribuisce effetto eliminatorio del danno alla circostanza che i figli minori si
fossero ormai abituati, nella sostanza, alle detenzioni del padre.

2.2. Con il terzo ed ultimo motivo viene censurata la criptica motivazione
con la quale si sono reputati sussistere giusti motivi per compensare le spese fra
le parti.

3.1. Conviene prendere le mosse per un più completo vaglio argomentativo dalla
recente sentenza n. 76/2013 del 22/11/2012, Rv. 254377, di questa Sezione, la
quale ha condivisamente chiarito (riprendendo il precedente conforme arresto
costituito dalla sentenza n. 20916 del 19/4/2005, Rv. 231655; n. 19322 del
16/2/2005, Rv. 231552) quanto appresso: «Il disposto dell’art. 315 c.p.p.,
comma 3 dispone che, nel procedimento per la riparazione dell’ingiusta
detenzione, si applicano (ovviamente per quanto non specificamente disposto)
“in quanto compatibili, le norme sulla riparazione dell’errore giudiziario”. La
norma sulla riparazione dell’errore giudiziario che disciplina il caso della
premorienza del titolare del diritto è costituita dall’art. 644 c.p.p., comma 1,
secondo cui “se il condannato muore, anche prima del procedimento di revisione,
il diritto alla riparazione spetta al coniuge, ai discendenti e ascendenti ….”; e il
secondo comma precisa che a queste persone non può essere liquidata una
somma maggiore di quella che sarebbe spettata al prosciolto.
La tesi secondo cui il rinvio alle norme sulla riparazione dell’errore giudiziario si
riferirebbe alle sole norme procedimentali è stata rifiutata dalle sezioni unite di
questa Corte con la sentenza 14 dicembre 1994, Libranti e questa soluzione è
stata condivisa da tutta la successiva giurisprudenza di legittimità. La medesima
sentenza ha affrontato anche il problema della compatibilità di queste norme con
l’istituto per la riparazione dell’ingiusta detenzione risolvendolo positivamente
“dato che gli effetti pregiudizievoli dell’ingiusta detenzione, come quelli
dell’errore giudiziario, sono naturalmente destinati a propagarsi nell’ambito
familiare, legittimando, nel caso della morte della persona che ha subito
l’ingiusto provvedimento, una pretesa riparatola dei congiunti”.
Ma, ciò che più interessa, la norma è idonea a risolvere il problema proposto
indipendentemente dall’inquadramento teorico che si voglia dare all’istituto della
riparazione, e alla natura ad esso riconosciuta, sotto il profilo della personalità
del diritto maturato.
Secondo la comune accezione, la riparazione per l’ingiusta detenzione non ha
natura di risarcimento del danno ma di semplice indennità o indennizzo in base a

3. Il primo motivo è fondato.

principi di solidarietà sociale per chi sia stato ingiustamente privato della libertà
personale; e ciò in applicazione dell’art. 24 Cost., comma 4, oltre che dell’art. 5
comma 5 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e dell’art. 9 n. 5 del
Patto internazionale dei diritti civili e politici.
Si tratta di uno dei casi di indennità previsti per ipotesi nelle quali il pregiudizio
deriva da una condotta conforme all’ordinamento che però ha prodotto un danno
che deve comunque essere riparato e per i quali si è fatto ricorso alla figura
dell’atto lecito dannoso: l’atto è stato infatti emesso nell’esercizio di un’attività

successivi, ne è stata dimostrata (non l’illegittimità ma) l’ingiustizia.
Così ricostruito l’istituto, ne consegue che la natura indennitaria dell’istituto non
ne escluderebbe, in via teorica, la trasmissibilità per via ereditaria, in ogni caso,
benché l’art. 644 comma 3 in esame attribuisca agli eredi un diritto spettante
iure proprio e non iure hereditario (secondo la tesi sostenuta dalle sezioni unite
nella ricordata sentenza) il loro diritto è commisurato a quello della persona
defunta e ingiustamente detenuta come espressamente ivi previsto (v. supra).
Insomma, come si legge nella sentenza di questa Corte citata dall’ordinanza
impugnata (Cass. pen. Sez. 4^, n. 20916 del 19.4.2005 Rv. 231655), che si
condivide pienamente, “La norma attribuisce alle persone in questione,
indipendentemente dalla soluzione dei problemi teorici indicati, il diritto alla
riparazione spettante al congiunto defunto di cui quindi (il legislatore, non
l’interprete) ha escluso la natura strettamente personale cui conseguirebbe
l’intrasmissibilità secondo la non condivisibile opinione dei giudici di merito”.
Conclusivamente, avendo la riparazione per l’ingiusta detenzione natura di
indennizzo conseguente all’atto lecito dannoso e pur attribuendo, pertanto, l’art.
644 cod. proc. pen., agli eredi un diritto “iure proprio” (come da Cass. pen. Sez.
Un. del 14 dicembre 1994), esso è comunque commisurato a quello della
persona defunta, con la conseguenza che i prossimi congiunti possono far valere
in giudizio il danno subito dal defunto (Cass. pen. Sez. 4^, n. 20916 del
19.4.2005 Rv. 231655; Sez. 4^, n. 19322 del 16.2.2005, Rv. 231552).>>

3.2. In definitiva, senza che appaia ineluttabile escludere la
trasmissibilità ereditaria, quel che risulta certo è che ai congiunti elencati nell’art.
644, cod. proc. pen. è assegnato un diritto proprio all’indennizzo. Diritto che
resta, ovviamente, commisurato, nel suo complesso, a quello della persona
defunta e il cui ammontare dovrà essere ripartito equitativamente dal giudice
«in ragione delle conseguenze derivate dall’errore a ciascuna persona>> (art.
644, comma 2, cod. proc. pen.).

legittima (e doverosa) da parte degli organi dello Stato anche se, in tempi

«Insomma la norma attribuisce alle persone in questione indipendentemente
dalla soluzione dei problemi teorici indicati, il diritto alla riparazione spettante al
congiunto defunto di cui quindi (il legislatore non l’interprete) ha escluso la
natura strettamente personale cui conseguirebbe l’intrasmissibilità secondo la
non condivisibile opinione dei giudici di merito» (Cass., IV, n. 19322 del
16/2/2005). Così come è non isolatamente previsto in altri rami
dell’Ordinamento (per il T.F.R., la reversibilità pensionistica,

ecc.) «la

disposizione non richiede che le persone anzidette siano eredi del deceduto»
status di

congiunto. In definitiva la disposizione individua nell’intimo legame familiare,
senza che rilevi la veste di erede, la condizione per poter rivendicare, pro quota,
il diritto spettante al defunto, che «ha natura patrimoniale (si tratta, invero, di
un credito indennitario derivante da atto dannoso lecito), sorge con il verificarsi
dell’ingiusta detenzione tipizzata dalla norma e l’intervento del giudice ne
riconosce l’esistenza e ne determina la liquidità» (Cass. n. 22502, cit.).
Di conseguenza, l’errore nel quale è incorsa la Corte territoriale deve individuarsi
nell’avere inteso ricollegare il diritto all’indennizzo dei congiunti, facenti parte
dell’elenco di cui detto, alla prova di un pregiudizio proprio e non già al
pregiudizio patito dal defunto. Fermo restando che l’entità dell’effetto
ripercussivo personale assume rilievo al fine di determinare le singole quote di
spettanza.

4. In ragione di quanto svolto, annullato il provvedimento impugnato e
rinviati gli atti al giudice del merito, perché nuovamente statuendo, tenga conto
del principio di diritto sopra affermato e in ragione del nuovo epilogo regoli le
spese fra le parti, gli altri motivi restano assorbiti.

P.Q.M.

Annulla l’impugnata ordinanza e rinvia per nuovo esame alla Corte d’Appello di
Bari.

Così deciso nella camera di consiglio del 4/12/2013.

(Cass., Sez. IV, n. 22502 del 4/5/2007), venendo in rilievo lo

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