Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5636 del 04/12/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 5636 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: GRASSO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
FIRENZE
nei confronti di:
COPPEDE’ GIUSEPPE N. IL 22/09/1952
avverso l’ordinanza n. 73/2011 CORTE APPELLO di FIRENZE, del
27/01/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO;
lette/set~e conclusioni del PG Dott.

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Data Udienza: 04/12/2013

FATTO E DIRITTO

1. Il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di
Firenze ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza della Corte di
Appello di Firenze, depositata il 31/1/2012, con la quale venne liquidata in favore
di Coppedè Giuseppe la somma di €. 100.000,00, per l’ingiusta detenzione subita
dall’8/9/2003 in regime di custodia cautelare in carcere, sostituita il 26/9/2003
con quella degli arresti domiciliari e il 13/11/2003 con quella dell’obbligo di

commissione del delitto di cui agli artt. 81, 110 e 317, cod. pen., dal quale era
stato poi assolto.

2. Il ricorrente con l’unico, articolato motivo, denunzia mancanza e
illogicità della motivazione.
Il P.G. di Firenze, partendo dal seguente decisivo passaggio motivazionale
dell’ordinanza impugnata, al fine di giustificare l’ammontare della somma
liquidata ben maggiore di quella che sarebbe derivata dal noto computo
nummario: «il pur temporaneo provvedimento restrittivo, e i provvedimenti
consequenziali che ne sono derivati sotto il profilo disciplinare, come dimostrato
dalla difesa, ha comportato una effettiva diminuzione di incarichi, da valutare
equitativamente, unitamente all’ulteriore periodo in cui il Coppedè è stato
sottoposto all’obbligo di dimora, a ciò deve aggiungersi, sempre con valutazione
equitativa, il discredito sociale che la notizia della detenzione di Coppedè ha
creato allo stesso a causa della sua diffusione a mezzo stampa, si stima
complessivamente equo liquidare a favore dell’istante per l’ingiusta detenzione
subita la somma di 100.000 €.>>, nella sostanza, evidenzia tre gravi lacune e
incongruenze argomentative.
a) La Corte territoriale aveva omesso di fornire qualsivoglia elemento che
consentisse di verificare la congruità dell’implemento equitativo; b) illogicamente
si era sostenuto che per una misura cautelare sofferta nell’anno 2003 si fossero
avute ripercussioni reddituali negative fino a tutto il 2008, senza contare,
peraltro, che le risultanze reddituali del 2003 erano in tutto sovrapponibili a
quelle del 2000 e che il trend si era mostrato in continua crescita ed insensibile
alla misura cautelare e al procedimento disciplinare (rimasto sostanzialmente
quiescente, tanto che la sospensione dall’Albo degli Architetti ebbe brevissima
durata, dal 24/11/2003 al 15/12/2003); c) inconferente, infine, il richiamo al
periodo di sottoposizione all’obbligo di dimora, per il quale non è prevista
liquidazione indennitaria.

dimora; misura quest’ultima revocata il 5/2/2004, in quanto accusato della

3. Con memoria pervenuta il 15/11/2013 l’Avvocatura generale dello
Stato si costituiva per l’Amministrazione finanziaria chiedendo l’accoglimento del
ricorso.

4. Il ricorso è integralmente fondato.

4.1. Condivisamente questa Corte ha avuto modo di affermare che,
fermo restando il tetto massimo fissato dalla legge in C. 516.456,90, il giudice

117,91 per gli arresti domiciliari, da ultimo, Cass., Sez. IV, n. 34664 del
10/672010, Rv. 248078), tenendo conto del pregiudizio specifico, patrimoniale e
non patrimoniale, derivato dall’atto lecito dannoso, costituito dalla restrizione
della libertà, risultata ingiusta (cfr. fra le tante, Cass., Sez. IV, n. 10123 del
17/11/2011, Rv. 252026; n. 10690 del 25/2/2010, Rv. 246425; n. 23119 del
13/5/2008, Rv. 240302).
Lo scostamento, tuttavia, deve trovare puntuale riferimento in allegate specifiche
ripercussioni di danno, che non conseguirebbero equo ristoro nella misura
ponderata matematica di cui s’è detto. Pur vero che allegazioni in discorso
potrebbero trovare sufficiente corroborazione in assedi presuntivi,
ragionevolmente ancorati all’evidenza processuale, ma, la giustificazione
motivazionale non può essere ridotta, come nel caso di specie ad un generico
apodittico assioma.
Perché l’equità non tracimi in arbitrio incontrollabile è necessario che il giudice
individui in maniera puntuale e corretta i parametri specifici di riferimento, la
valorizzazione dei quali imponga rilevare un surplus di effetto lesivo da atto
legittimo (la misura cautelare) rispetto alle gravi, ma ricorrenti e, per così dire,
fisiologiche, conseguenze derivanti dalla privazione della libertà, sia quale atto
limitativo della sfera più intima e garantita del soggetto, che come alone di
discredito sociale.
Solo la compiuta individuazione dei predetti parametri (qui del tutto mancante,
non potendosi giudicare tale, per quel che immediatamente dopo si dirà, quanto
specificato in motivazione), salvo ed integro il potere di determinazione
quantitativa, nei limiti della ragionevolezza, consente la verifica del percorso
argomentativo ed impedisce che l’esercizio del potere equitativo divenga “mero”.
Si è, già, opportunamente osservato (Cass., Sez. IV, n. 1744 del 03/06/1998,
Rv. 211646), sia pure in relazione, in quel caso, a liquidazione giudicata esigua
(ma il ragionamento non muta in presenza di liquidazione che, evocando l’equità,
determini misura del ristoro superiore al computo matematico medio), che in
tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice, nel far ricorso alla

della riparazione può discostarsi dall’ammontare giornaliero di C. 235,82 (C.

liquidazione equitativa, deve sintetizzare i fattori di analisi presi in esame ed
esprimere la valutazione fattane ai fini della decisione, non potendo il giudizio
di equità risolversi nel merum arbitrium, ma dovendo invece essere sorretto da
una giustificazione adeguata e logicamente congrua, così assoggettandosi alla
possibilità del controllo da parte dei destinatari e dei consociati.
Gli unici indici evocati, per la loro aspecificità e vaghezza, risultano essere attinti
efficacemente dalla censura impugnatoria. Non avendo il provvedimento offerto
documentati e precipui riferimenti contrari, allo stato, non può che apparire

abbia continuato ad avere effetti contrattivi del reddito libero-professionale del
Coppedè fino al 2008, considerando, inoltre, le osservazioni dell’impugnante sul
trend reddituale dal 2000 in poi. Né, l’assai breve durata della sospensione

dall’esercizio della professione può avere importato un siffatto effetto da
giustificare una quasi decuplicazione dell’ammontare ottenuto secondo il citato
criterio nummario, ben noto e presente alla Corte territoriale, la quale
affidandosi al medesimo criterio era giunta ad un complessivo ammontare di €.
10.650,72.

4.2. Infine, sulla base dello stralcio della motivazione evidenziata dal
ricorrente emerge che il giudice dell’ingiusta detenzione ha tenuto conto, nel
procedere alla quantificazione equitativa anche del periodo di sottoposizione
all’obbligo di dimora, per il quale la legge non prevede alcun diritto indennitario.

5. Annullata, pertanto, l’impugnata ordinanza, gli atti vanno rinviati al
giudice del merito per nuova valutazione alla luce di quanto sopra chiarito. Il
medesimo giudice regolerà le spese tra le parti, anche per questo giudizio.

P.Q.M.

Annulla la impugnata ordinanza e rinvia per nuovo esame alla Corte d’appello di
Firenze, cui demanda la regolamentazione delle spese tra le parti anche per
questo giudizio.

Così deciso nella camera di consiglio del 4/12/2013.

gravemente illogico assumere che la breve misura cautelare patita nel 2003

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