Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5635 del 10/12/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 5635 Anno 2015
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: DE MARZO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GULLOTTI FILIPPO DINO N. IL 07/09/1946
nei confronti di:
IAMELE FRANCESCO N. IL 12/10/1965
avverso la sentenza n. 1958/2013 CORTE APPELLO di MILANO, del
04/11/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/12/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
L
che ha concluso per -L

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udito i/difensori/Avv. M. on.
“– • L 1/41-

•AA-Att ho-)

cou- ot”‘

Data Udienza: 10/12/2014

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 04/11/2013 la Corte d’appello di Milano, decidendo
sull’appello proposto dalla parte civile e dal P.M., ha confermato la decisione del
giudice dì primo grado che aveva assolto Francesco Iamele dal reato di cui
all’art. 479 cod. pen., per avere, quale medico di guardia del reparto di
neurochirurgia dell’ospedale Niguarda di Milano, omesso di riportare in cartella
clinica quanto accaduto a partire dalle 21,30 del 05/06/2007 e, in particolare,
che l’infermiera di turno gli aveva riferito un peggioramento delle condizioni del

gli esiti di quest’ultima, registrati unicamente sul diario infermieristico, con
erronea valutazione TAC invariata. Il capo di imputazione era poi stato integrato,
nel corso del dibattimento, attraverso il riferimento alla mancata annotazione in
cartella clinica delle valutazioni di competenza sull’esito del referto e sulla scelta
terapeutica adottata.
La Corte territoriale, ricordato che il dott. Iarnele era stato assolto, in separato
procedimento, dalla parallela imputazione di lesioni colpose aggravate in danno
del medesimo Gullotti, ha ritenuto l’insussistenza, nel caso di specie,
dell’elemento soggettivo del delitto di falso, in quanto la TAC era stata
ufficialmente e tempestivamente disposta, attraverso una richiesta telematica
non occultabile, e i suoi esiti erano stati comunicati alle infermiere, le quali, in
conseguenza, ne avevano fatto annotazione nel loro diario. Posto che gli esiti
della TAC fanno parte della cartella clinica, senza necessità di ricopiarne il
contenuto, la Corte territoriale ha concluso nel senso che nella condotta del
medico, esclusa una ragionevole volontà di celare i risultati dell’esame disposto,
poteva al più ravvisarsi una negligenza, dovuta a dimenticanza connessa alle
difficoltà di gestire più reparti nel turno di notte o forse a superficialità.
2. Nell’interesse della parte civile, è stato proposto ricorso per cassazione,
affidato ai seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo, si lamentano vizi motivazionali e violazione degli artt.
43 e 479 cod. pen., per avere la Corte territoriale sovrapposto il piano del dolo a
quello delle ragioni della condotta dell’imputato, omettendo peraltro di
considerare che la scelta attendista del medico, ossia la mancata sottoposizione
del paziente ad intervento chirurgico, era non il risultato di una scelta
terapeutica consapevole, mg , di un’evidente condotta colposa. Secondo il
ricorrente, avendo il dott. Iamele deciso di non intervenire chirurgicamente,
aveva volutamente omesso di annotare in cartella clinica gli eventi, cercando di

falsamente rappresentare una condizione invariata del paziente: infatti, l’esito
comunicato alle infermiere era appunto di una situazione clinica non modificata.

1

paziente Filippo Dino Gullotti e che era stata richiesta una TAC urgente, nonché

2.2. Con il secondo motivo, si lamentano vizi motivazionali, sottolineando che la
sentenza impugnata aveva circoscritto il suo esame all’omessa indicazione
dell’esito della TAC, trascurando di considerare che all’imputato era stato
contestato di non avere annotato in cartella clinica il peggioramento delle
condizioni cliniche del paziente e le valutazioni di sua competenza sull’esito
dell’esame del referto e la scelta terapeutica di tipo attendista che era stata
adottata.

Considerato in diritto

stretta connessione logica, sono infondati.
È certamente esatto che la falsità in atto pubblico può integrare il falso per
omissione allorché l’attestazione incompleta – perché priva dell’informazione su
un determinato fatto – attribuisca al tenore dell’atto un senso diverso, così che
l’enunciato descrittivo venga ad assumere nel suo complesso un significato
contrario (anche se parzialmente: Sez. 6, n. 21969 del 14/12/2012 – dep.
22/05/2013, Bardi, Rv. 256544) al vero (Sez. 5, n. 45118 del 23/04/2013, Di
Fatta, Rv. 257549).
E, tuttavia, nel caso di specie, tantQ con riferimento all’omessa annotazione della

a

TAC disposta e dei suoi esiti,t

aadi7
con riguardo alle scelte terapeutiche adottate,

i giudici di merito hanno concentrato la loro attenzione non sul profilo oggettivo
del reato, ma su quello psicologico, traendo da una serie di indici fattuali (quali la
non occultabile richiesta telematica dell’esame disposto e la comunicazione del
suo esito alle infermiere), la conclusione, priva di qualunque manifesta illogicità,
che le omissioni contestate all’imputato non potevano essere ricondotte ad una
scelta volontaria e consapevole. In particolare, la Corte territoriale ha rilevato
che, se anche il medico, una volta esaminati gli esiti della TAC, avesse
scientemente deciso di non riportarli in cartella clinica, per mascherare una
negligente condotta terapeutica, non ne avrebbe parlato con il personale
infermieristico.
Siffatto percorso argomentativo è assolutamente coerente con l’elaborazione
giurisprudenziale in tema di dolo nel reato dì falso omissivo, che, al fine di
cogliere il discrimen tra comportamenti dolosi e condotte meramente negligenti,

ha sottolineato la necessità di individuare profili, nelle motivazioni della condotta
dell’agente, idonei a far emergere i tratti del dolo generico (per es., attraverso
l’accertamento dello scopo pratico perseguito con l’omissione: v. Sez. 5, n.
12132 del 01/12/2011 – dep. 30/03/2012, Mantovani, Rv. 252162).
Secondo il ricorrente, proprio la scelta attendista operata dal medico avrebbe
giustificato sia l’omessa annotazione degli eventi, sia l’erronea comunicazione
alle infermiere dell’esito invariato della TAC.
2

1. Il primo e il secondo motivo di ricorso, esaminabili congiuntamente per la loro

Ma siffatta ricostruzione, oltre ad apparire intrinsecamente contraddittoria con
quanto lo stesso ricorrente afferma, quando imputa al medico non già una scelta
terapeutica consapevole, ma un’evidente negligenza nel non intervenire
(giacché, se il medico non si era reso conto per colpa della situazione del
paziente, non s’intende perché avrebbe dovuto omettere delle annotazioni delle
quali non aveva avvertito l’importanza), risulta ugualmente inverosimile
nell’ipotesi che l’imputato, resosi conto del peggioramento delle condizioni del
paziente (peraltro, per quanto emerge dalla sentenza di primo grado, a pag. 3,

volontariamente e consapevolmente – scelto di non intervenire.
E, infatti, in tale situazione la condotta dello Iamele sarebbe stata del tutto
irragionevole, posto che: a) secondo quanto riferito dai consulenti del P.M. (pag.
3 della sentenza di primo grado), il referto e l’esame devono accompagnare la
cartella clinica; b) la richiesta della TAC era non occultabile; c) la richiesta e
l’avvenuta esecuzione dell’esame erano persino state comunicate alle infermiere.
Ne discende che non si può, ancora una volta contraddittoriamente, supporre
che l’imputato avesse omesso le annotazioni per occultare il carattere colposo
della propria scelta attendista e poi avesse lasciato tracce ineliminabili
dell’accertamento che avrebbe potuto smascherare la negligenza che aveva
sorretto il suo agire terapeutico.
2. Alla pronuncia di rigetto consegue ex art. 616 cod. proc. pen, la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 10/12/2014

Il Componente estensore

la TAC aveva registrato una variazione minima), abbia – a questo punto,

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