Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5632 del 13/11/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 5632 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PILOTTO IVO ANTONINO N. IL 27/03/1942
avverso l’ordinanza n. 9/2011 CORTE APPELLO di TRENTO, del
26/10/2011
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SALVATORE
DOVERE;
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lette/syttite le conclusioni del PG Dott.
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Data Udienza: 13/11/2013

RITENUTO IN FATTO
1. Pilotto Ivo, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione
avverso l’ordinanza indicata in epigrafe, con la quale è stata accolta la sua
istanza di riparazione per l’ingiusta detenzione subita dal 15.5.2006 al 13.7.2006
(dal 18.5.2006 agli arresti domiciliari) e gli è stata liquidata, a titolo di
indennizzo, la somma di euro 10.847,72.
La Corte territoriale ha ravvisato la sussistenza dei presupposti del diritto alla

l’indennizzo tenendo conto del coefficiente giornaliero che si ottiene dividendo
l’importo massimo indennizzabile per i giorni di durata massima della custodia
cautelare, quale previsto dall’art. 303, co. 4 lett., c) cod. proc. pen., coefficiente
che ha moltiplicato per i giorni di custodia in carcere (euro 235,82) e per i giorni
agli arresti domiciliari (euro 117,91), escludendo che potesse essere aggiunta
una ulteriore somma, determinata equitativamente, a titolo di indennizzo per i
danni economici asseriti (perché collegati al disposto sequestro preventivo delle
partecipazioni societarie e delle possidenze immobiliari o non individuate e
dimostrate nella loro specifica natura e nella loro derivazione proprio dalla
restrizione della subita libertà personale) e per quelli alla salute (perchè
costituenti effetto ordinario della cautela già inglobato dalla somma determinata
mediante il criterio aritmetico).

2.1. Il ricorrente ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata per
violazione di legge e vizio motivazionale, avendo la Corte di Appello provveduto
alla liquidazione sulla base del solo criterio aritmetico, ritenendo assorbite le
conseguenze personali e familiari valorizzate dall’istante, ed avendo ricondotto
tali conseguenze allo strepitus fori determinato dal coinvolgimento nella vicenda
processuale nel suo complesso di numerosi soggetti di particolare personalità
piuttosto che dalla sottoposizione del Pilotto alla custodia cautelare, così
formulando una motivazione meramente apparente. Inoltre si sono del tutto
pretermesse le conseguenze economiche-lavorative patite dal Pilotto, pur
documentate e comunque da valutare per il solo fatto che i cinquantanove giorni
di detenzione non potevano non danneggiare le numerose attività imprenditoriali
gestite dal medesimo; mentre è illogica l’affermazione della Corte di Appello per
la quale tali conseguenze sarebbero derivate dal processo e non dalla restrizione
della libertà personale e anche l’altra, della assenza di un nesso eziologico tra la
cautela e le richieste di rimborso avanzate dagli istituti di credito, considerato
che queste vennero avanzate a ridosso dell’arresto.

,

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riparazione di cui all’art. 314, 1° comma, cod. proc. pen. ed ha quantificato

Con un secondo motivo si denuncia violazione di legge, per non essere stata
pronunciata condanna alle spese a carico del Ministero resistente, nonostante
esso sia da ritenersi soccombente per aver svolto opposizione sia in relazione
all’an che in relazione al quantum della domanda del Pilotto.
2.2. Con “memoria di replica ex art. 611 c.p.p.” l’esponente ha interloquito con
le conclusioni formulate per iscritto dal P.G. requirente, ribadendo gli assunti già
sopra ricordati.
CONSIDERATO IN DIRITTO

3.1. Occorre in primo luogo rammentare che, la giurisprudenza di legittimità, in
tema di liquidazione del quantum relativo alla riparazione per ingiusta
detenzione, si è stabilmente orientata (v. Sezioni unite, 9 maggio 2001, Caridi)
nella necessità di contemperare il parametro aritmetico – costituito dal rapporto
tra il tetto massimo dell’indennizzo di cui all’articolo 315, comma 2 cod. proc.
pen. (euro 516.456,90) ed il termine massimo della custodia cautelare di cui
all’articolo 303, comma 4, lett. c) cod. proc. pen. espresso in giorni (sei anni
ovvero 2190 giorni), moltiplicato per il periodo anch’esso espresso in giorni, di
ingiusta restrizione subita – con il potere di valutazione equitativa attribuito al
giudice per la soluzione del caso concreto (in tal senso anche Sez. 4, n. 34857
del 17/06/2011 – dep. 27/09/2011, Giordano, Rv. 251429), che non può mai
comportare lo sfondamento del tetto massimo normativamente stabilito. Si è
così superato il contrasto tra le opposte tesi dell’assoluta insufficienza del solo
criterio aritmetico (Sez. 4, Sentenza n. 915 del 15/03/1995 P.G. in proc. Ministro
lavoro Rv. 201632) e della onnicomprensività di tale criterio (Sez. 3,
Sentenza n. 28334 del 29/04/2003, Porfidia, Rv. 225963).
Dato di partenza della valutazione indennitaria, che va necessariamente tenuto
presente, è costituito, pertanto, dal parametro aritmetico (individuato, alla luce
dei criteri sopra indicati, nella somma di euro 235, 82 per ogni giorno di
detenzione in carcere ed in quella di euro 120,00 per ogni giorno di arresti
domiciliari, in ragione della ritenuta minore afflittività della pena).
Siffatto parametro non è vincolante in assoluto ma, raccordando il pregiudizio
che scaturisce dalla libertà personale a dati certi, costituisce il criterio base della
valutazione del giudice della riparazione, il quale, comunque, potrà derogarvi in
senso ampliativo (purchè nei limiti del tetto massimo fissato dalla legge) oppure
restrittivo, a condizione però che, nell’uno o nell’altro caso, fornisca congrua e
logica motivazione della valutazione dei relativi parametri di riferimento.
Il controllo sulla congruità della somma liquidata a titolo di riparazione é
sottratto al giudice di legittimità, che può soltanto verificare se il giudice di
merito abbia logicamente motivato il suo convincimento e non sindacare la

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3. Il ricorso è infondato.

sufficienza o insufficienza dell’indennità liquidata, a meno che, discostandosi
sensibilmente dai criteri usualmente seguiti, lo stesso giudice non abbia adottato
criteri manifestamente arbitrari o immotivati ovvero abbia liquidato in modo
simbolico la somma dovuta (Sez. 4, n. 10690 del 25/02/2010 – dep.
18/03/2010, Cammarano, Rv. 246424).
3.2. Ciò posto, ritiene il Collegio che la motivazione resa dalla Corte di Appello
abbia fatto corretto governo dei principi di diritto appena rammentati, non solo
assumendo a mera base di calcolo il criterio aritmetico, ma altresì esplicando le

determinato, sulla scorta di una valutazione di carattere equitativo. Per tale
parte la motivazione sfugge anche all’asserito vizio motivazionale, non risultando
manifestamente illogica. Invero, le considerazioni svolte dalla Corte distrettuale
risultano del tutto plausibili; e se tali possono essere valutate anche quelle del
ricorrente, va rammentato che non è nei compiti di questa Corte sovrapporre alla
valutazione operata dal giudice del ‘merito’ una propria diversa valutazione,
salvo appunto l’ipotesi di manifesta illogicità (e contraddittorietà) della
motivazione.
Che la Corte di Appello abbia reso una motivazione assolutamente sconnessa dai
dati documentati dall’istante è verifica che questa Corte non è in condizione di
svolgere, atteso che il ricorso non è stato corredato dalla documentazione
sottoposta alla Corte territoriale. Esso, quindi, per tale profilo non è conforme al
principio di autosufficienza e finisce per risultare aspecifico, perché non sono
meglio individuati gli elementi in grado di dare certezza del nesso eziologico tra
conseguenze pregiudizievoli alla sfera personale e patrimoniale del Pilotto e
custodia cautelare, con ciò svelando la illegittimità della decisione impugnata.
A tal riguardo appare opportuno precisare che questa Corte ha già espresso il
principio per il quale la privazione ingiusta della libertà è di per sè fattore
generatore di conseguenze negative, sul piano personale, familiare e sociale,
tanto che il legislatore ha previsto il diritto ad una riparazione (artt. 314 – 315
cod. proc. pen.). Ne consegue che la quantificazione della riparazione non può
richiedere la necessaria prova, e neppure l’allegazione, di specifiche voci di
danno (pur essendo queste da esaminare, ove siano adeguatamente
rappresentate e sostenute), dovendosi in ogni caso dar luogo ad una pronuncia
equitativa da valutare, anche sotto il profilo motivazionale, nella sua intrinseca
ragionevolezza e non con criteri mutuabili dai principi civilistici attinenti all’onere
della prova. Un simile onere deve però ritenersi sussistente quando la parte
interessata intenda far si che nella determinazione del “quantum” ( comunque
equitativa) si tenga conto di determinati, specifici fattori idonei ad incidere sul

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ragioni per le quali non può darsi luogo ad un aumento dell’indennizzo così

risultato dell’operazione

(così, Sez. 1, n. 4931 del 17/12/1991 – dep.

17/01/1992, Ministero Tesoro in proc. Parente, Rv. 188915).
Per quel che qui occupa, va quindi ribadito che quando la parte interessata
richieda che nella determinazione del “quantum” si tenga conto di determinati,
specifici fattori idonei ad incidere sul risultato dell’operazione, il giudice non può
prescindere dal compiuto accertamento della sussistenza di tali danni. Invero,
anche quando questa Corte ha stigmatizzato la mancata liquidazione del danno
derivato da un evento quale la perdita del posto di lavoro, lo ha fatto perché la

dimostrasse l’entità del danno patito. Infatti, nell’affermare che “il riconosciuto
carattere indennitario e non risarcitorio dell’indennizzo liquidabile ex art. 314
c.p.p. non pretende la prova della reale entità del danno, basandosi la relativa
liquidazione

su

una

valutazione

equitativa

dello

stesso,

affidata

all’apprezzamento del giudice del merito”, si è al contempo convalidata la
decisione impugnata nelle parti in cui rifiutava la liquidazione di somme per
danni in ordine ai quali era risultata la non diretta discendenza dalla
carcerazione, oltre che la mancanza di prova della loro sussistenza ed entità
(Sez. 4, Sentenza n. 35662 del 09/04/2009, Manai e altro, Rv. 245436).
Il provvedimento impugnato risulta quindi esente dal vizio lamentato dal
ricorrente.
3.3. Quanto al motivo concernente la omessa condanna alle spese della parte
resistente, va rilevato, con il P.G. requirente, che il sindacato di legittimità in
tema di regolamento delle spese processuali, derivanti da procedimento per la
riparazione per l’ingiusta detenzione, è limitato alla violazione del principio per
cui le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa
sicché esula da tale sindacato, e rientra, invece, nei poteri del giudice del merito,
la valutazione della opportunità o meno di disporre la compensazione (Sez. 4,
Sentenza n. 2815 del 11/05/2000, Min. Tes. in proc. Salamone, Rv. 216938;
Sez. 4, Sentenza n. 46265 del 14/10/2005, Baraldi e altro, Rv. 232911;Sez. 3,
Sentenza n. 19986 del 05/04/2007, Caponnetto, Rv. 236704).
Nel caso che occupa le spese del giudizio non sono state poste a carico del
Pilotto.

4. In conclusione, il ricorso va rigettato.
Segue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta Inamm~D il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali.

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relativa motivazione faceva perno sulla insussistente necessità che l’istante

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 13.11.2013.

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