Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5630 del 13/11/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 5630 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CAPELLI LUCIANO N. IL 20/07/1959
avverso l’ordinanza n. 8/2011 CORTE APPELLO di BOLOGNA, del
15/03/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SALVATORE
DOVERE;
lette/s9Aire le conclusioni del PG Dott.

4 240-4 dA

1 dit

o-r Avv..,

Data Udienza: 13/11/2013

RITENUTO IN FATTO
1. Capelli Luciano, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per
cassazione avverso l’ordinanza indicata in epigrafe, con la quale è stata rigettata
la sua istanza di riparazione per l’ingiusta detenzione subita dal 12.11.1999 al
9.6.2000 e poi dal 29.7.2005 al 3.10.2005 (custodia cautelare in carcere) ed
infine da tale data e per ulteriori 54 giorni agli arresti domiciliari, in relazione ai
delitti di cui agli artt. 110 cod. pen., 74 e 73 T.U. stup.,

per i quali era stato

La Corte territoriale ha ravvisato l’insussistenza dei presupposti del diritto alla
riparazione di cui all’art. 314, 1° comma, cod. proc. pen., in quanto il
comportamento dell’odierno ricorrente aveva dato corso all’ordinanza di custodia
cautelare, individuando gli estremi della colpa grave, preclusiva al
riconoscimento dell’indennizzo richiesto. E ciò in quanto il Capelli aveva tenuto
comportamenti idonei ad essere percepiti come indicativi di una sua contiguità
all’attività criminosa posta in essere da Meschieri Fabio e Fornaciari Athos,
arrestati il 1.5.1997 in flagrante possesso di un importante quantitativo di
sostanza stupefacente del tipo cocaina. In particolare, tra le circostanze
evidenziate dal Collegio distrettuale, mette conto rammentare le seguenti: il
Capelli aveva instaurato con i due un traffico di importazione di autovetture
usate dall’Italia al Venezuela, nonostante il fatto che egli, all’epoca in cui
risiedeva a Caracas, era stato destinatario della richiesta fatta dal Meschieri di
procurargli della cocaina; aveva avuto modo di osservare che il Meschieri si
riuniva spesso con persona a lui ignota, con la quale parlava di importazione ed
esportazione di droga; si era convinto che le autovetture erano date dal duo a
personaggi venezuelani e colombiani in cambio di droga; si era accorto che tale
Taghetti Johnni, inviatogli dal Fornaciari come suo amico in cerca di lavoro,
viaggiava con passaporto falso, perché alla foto del Taghetti si accompagnavano
le generalità del Meschieri, e ciò nonostante mantenne rapporti con il medesimo.

2. Il ricorrente ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata per violazione
dell’art. 314 cod. proc. pen., rilevando che non vi è prova che i fatti valorizzati
dalla Corte di Appello – desunti dal interrogatorio reso dal Capelli medesimo
nell’anno 2008, stante l’inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche e delle
dichiarazioni predibattimentali rese dagli imputati che in dibattimento si erano
poi rifiutati di rispondere o erano rimasti contumaci – fossero a conoscenza
dell’Autorità che applicò la misura restrittiva nel 1998.
Contesta, poi, che le condotte attribuibili al Capelli – compreso quelle riferite dai
CC. del ROS -, possano concretizzare colpa grave, ostativa alla riparazione

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mandato assolto perché il fatto non sussiste (sentenza irrevocabile il 21.4.2009).

dell’ingiusta detenzione perché in rapporto di causa ad effetto con il
provvedimento restrittivo. Peraltro, nell’ordinanza impugnata si esaminano fatti
risalenti a periodo antecedente a quello al quale facevano riferimento le
imputazioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
2. Il ricorso è fondato.
2.1. A fronte dei rilievi mossi con il ricorso che si esamina è opportuno
premettere, con estrema sintesi, l’indicazione delle linee portanti della disciplina

giurisprudenza di legittimità.
In tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice di merito, per valutare
se chi l’ha patita vi abbia dato o concorso a darvi causa con dolo o colpa grave,
deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori
disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino
eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o
regolamenti, fornendo del convincimento conseguito motivazione, che, se
adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità (Sez. U, n. 34559 del
26/06/2002 – dep. 15/10/2002, Min. Tesoro in proc. De Benedictis, Rv. 222263).
In particolare, quanto al compendio degli elementi valutabili, il S.C. ha
ripetutamente puntualizzato che il giudice, nell’accertare la sussistenza o meno
della condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per
ingiusta detenzione, consistente nell’incidenza causale del dolo o della colpa
grave dell’interessato rispetto all’applicazione del provvedimento di custodia
cautelare, deve valutare la condotta tenuta dal predetto sia anteriormente che
successivamente alla sottoposizione alla misura e, più in generale, al momento
della legale conoscenza della pendenza di un procedimento a suo carico (Sez. U,
n. 32383 del 27/05/2010 – dep. 30/08/2010, D’Ambrosio, Rv. 247664; nel
medesimo senso già Sez. U, n. 43 del 13/12/1995 – dep. 09/02/1996, Sarnataro
ed altri, Rv. 203636).
Vale anche precisare che idonea ad escludere la sussistenza del diritto
all’indennizzo, ai sensi dell’art. 314, primo comma, cod. proc. pen. – è non solo
la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi
termini fattuali, sia esso confliggente o meno con una prescrizione di legge, ma
anche “la condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del
procedimento riparatorio con il parametro dell’ “id quod plerumque accidit”
secondo le regole di esperienza comunemente accettate, siano tali da creare una
situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a
tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo. Poiché inoltre, anche
ai fini che qui interessano, la nozione di colpa è data dall’art. 43 cod. pen., deve

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dell’istituto della riparazione per ingiusta detenzione, così come delineata dalla

ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione, ai sensi del
predetto primo comma dell’art. 314 cod. proc. pen., quella condotta che, pur
tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza,
imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme
disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile,
ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un
provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno
già emesso” (Sez. U, n. 43 del 13/12/1995 – dep. 09/02/1996, Sarnataro ed

Nella prospettiva del sindacato di legittimità è decisivo rimarcare che esso è
limitato alla correttezza del ragionamento logico giuridico con cui il giudice è
pervenuto ad accertare o negare i presupposti per l’ottenimento del beneficio,
mentre resta nelle esclusive attribuzioni del giudice di merito, che è tenuto a
motivare adeguatamente e logicamente il proprio convincimento, la valutazione
sull’esistenza e la gravità della colpa o del dolo (Sez. 4, n. 21896 del
11/04/2012 – dep. 06/06/2012, Hilario Santana, Rv. 253325).
Dovendosi tener conto del fatto che va tenuta distinta l’operazione logica propria
del giudice del processo penale, volta all’accertamento della sussistenza di un
reato e della sua commissione da parte dell’imputato, da quella propria del
giudice della riparazione. Questi, pur dovendo operare, eventualmente, sullo
stesso materiale, deve seguire un “iter” logico-motivazionale del tutto autonomo,
perché è suo compito stabilire non se determinate condotte costituiscano o meno
reato, ma se queste si sono poste come fattore condizionante (anche nel
concorso dell’altrui errore) alla produzione dell’evento “detenzione”; ed in
relazione a tale aspetto della decisione egli ha piena ed ampia libertà di valutare
il materiale acquisito nel processo, non già per rivalutarlo, bensì al fine di
controllare la ricorrenza o meno delle condizioni dell’azione (di natura civilistica),
sia in senso positivo che negativo, compresa l’eventuale sussistenza di una causa
di esclusione del diritto alla riparazione (in tal senso, espressamente, Sez. U, n.
43 del 13/12/1995 – dep. 09/02/1996, Sarnataro ed altri, Rv. 203638).

3. Ribadito che in questa sede occorre stabilire se la Corte di merito abbia
motivato in modo congruo e logico in ordine alla idoneità della condotta posta in
essere dall’istante ad ingenerare nel giudice che emise il provvedimento
restrittivo della libertà personale il convincimento di un probabile coinvolgimento
dell’odierno ricorrente nell’attività illecita che gli è stata attribuita, va rilevato,
nella specie, che la Corte territoriale, con motivazione logica ed ampia, ha
spiegato che le condotte ascritte al prevenuto, pur non costituendo illecito

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altri, Rv. 203637).

penale, sono state gravemente imprudenti. Sul punto la decisione impugnata
non merita alcuna censura.
Tuttavia non altrettanto può dirsi quanto alla evidenziazione del rapporto
sinergico tra le condotte esaltate ai fini del giudizio sulla richiesta di indennizzo
riparatorio e l’adozione e la persistenza della misura cautelare. Sotto tale profilo,
pur essenziale perché nel giudizio di cui all’art. 314 cod. proc. pen. il giudice
deve accertare se la condotta colposa debba ritenersi sinergica all’eventodetenzione, la Corte di Appello non ha formulato alcuna proposizione; tanto più

inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche e delle dichiarazioni
predibattimentali dei coimputati.
Sicché per tale profilo coglie il segno la censura difensiva ed il provvedimento
impugnato deve essere annullato con rinvio alla Corte di Appello di Bologna per
nuovo esame.

P.Q.M.
Annulla l’impugnato provvedimento e rinvia alla Corte di Appello di Bologna
per nuovo esame.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 13/11/2 13.

necessariq invece si propone tale accertamento, una volta constatata la

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