Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5629 del 13/11/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 5629 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
RIZZO ANTONIO N. IL 05/12/1957
nei confronti di:
MINISTERO ECONOMIA E FINANZE
avverso l’ordinanza n. 199/2010 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
29/09/2011
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SALVATORE
DOVERE;
lette/se le conclusioni del PG Dott. i.<-1.4^ àelt-lifft, 14,, e t :‘ a,,N) `I.J■litiLlifetis-or Avv.; , 4,g . A Data Udienza: 13/11/2013 RITENUTO IN FATTO 1. Rizzo Antonio, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione avverso l'ordinanza indicata in epigrafe, con la quale è stata rigettata la sua istanza di riparazione per l'ingiusta detenzione subita dal 30.5.2002 al 20.9.2002 (arresti domiciliari), in relazione ai delitti di concorso in bancarotta fraudolenta e documentale - in relazione alla società Europa 5 - nonché emissione di fatture relative ad operazioni inesistenti ed associazione per commesso il fatto mentre dai restanti l'assoluzione veniva pronunciata perché il fatto non sussiste (sentenza irrevocabile il 31.7.2008). Ulteriori delitti pure ascritti al Rizzo erano stati quelli di concorso in truffa ai danni di diversi soggetti passivi; anche per essi il Tribunale giudicava il Rizzo estraneo ai fatti, salvo che per la frode commessa in danno dell'esercizio commerciale denominato Galleria Spagnoli, la quale veniva dichiarata estinta per prescrizione. La Corte territoriale ha ravvisato l'insussistenza dei presupposti del diritto alla riparazione di cui all'art. 314, 1° comma, cod. proc. pen., in quanto il comportamento dell'odierno ricorrente aveva dato corso all'ordinanza di custodia cautelare, individuando gli estremi della colpa grave, preclusiva al riconoscimento dell'indennizzo richiesto. E ciò in quanto il Rizzo aveva tenuto comportamenti idonei ad essere percepiti come indicativi della sua qualità di amministratore di fatto della società Europa 5; in specie, aveva partecipato con Massimo Scala, amministratore di diritto della predetta società, alla esecuzione della truffa commessa in danno della Galleria Spagnoli. 2. Il ricorrente ha chiesto l'annullamento dell'ordinanza impugnata per violazione dell'art. 314 cod. proc. pen., rilevando che la Corte di Appello si è arrogata i poteri del giudice dell'impugnazione, censurando la pronuncia assolutoria ed in taal modo violando il principio dell'intangibilità del giudicato. Si lamenta inoltre, che "qualora le circostanze dedotte dalla Corte di Appello in ordine al ruolo avuto dal Rizzo nella vicenda riguardante la Galleria Spagnoli fossero state realmente idonee a dimostrare la sua qualità di amministratore di fatto della società fallita, il Tribunale, ..., le avrebbe utilizzate al fine di fondare un giudizio di responsabilità in ordine al reato di bancarotta". Ancora, la Corte di Appello sarebbe incorsa in errore desumendo il dolo ostativo dai fatti delittuosi ipoteticamente commessi ed oggetto delle imputazione; mentre avrebbe dovuto valutare la condotta tenuta nelle more della pendenza del procedimento penale e a prescindere dalla sua conoscenza o meno della sua 2 delinquere, per il primo dei quali era stato mandato assolto per non aver esistenza. Se la Corte distrettuale avesse proceduto correttamente avrebbe dovuto escludere l'esistenza della condizione ostativa. 3. Con memoria depositata il 7.11.2012 si è costituito in giudizio il Ministero dell'Economia e delle Finanze, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, il quale ha chiesto la declaratoria di inammissibilità o il rigetto del ricorso, affermando che la sentenza di proscioglimento per prescrizione del reato implica l'operatività dell'art. 314, comma 2 cod. proc. pen. e quindi la necessità che, ai l'illegittimità della custodia cautelare per difetto di una delle condizioni di agli artt. 273 e 280 cod. proc. pen. CONSIDERATO IN DIRMO 4. Il ricorso è infondato. 4.1. A fronte dei rilievi mossi con il ricorso che si esamina è opportuno premettere, con estrema sintesi, l'indicazione delle linee portanti della disciplina dell'istituto della riparazione per ingiusta detenzione, così come delineata dalla giurisprudenza di legittimità. In tema di riparazione per l'ingiusta detenzione, il giudice di merito, per valutare se chi l'ha patita vi abbia dato o concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito motivazione, che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità (Sez. U, n. 34559 del 26/06/2002 - dep. 15/10/2002, Min. Tesoro in proc. De Benedictis, Rv. 222263). In particolare, quanto al compendio degli elementi valutabili, il S.C. ha ripetutamente puntualizzato che il giudice, nell'accertare la sussistenza o meno della condizione ostativa al riconoscimento del diritto all'equa riparazione per ingiusta detenzione, consistente nell'incidenza causale del dolo o della colpa grave dell'interessato rispetto all'applicazione del provvedimento di custodia cautelare, deve valutare la condotta tenuta dal predetto sia anteriormente che successivamente alla sottoposizione alla misura e, più in generale, al momento della legale conoscenza della pendenza di un procedimento a suo carico (Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010 - dep. 30/08/2010, D'Ambrosio, Rv. 247664; nel medesimo senso già Sez. U, n. 43 del 13/12/1995 - dep. 09/02/1996, Sarnataro ed altri, Rv. 203636). Vale anche precisare che idonea ad escludere la sussistenza del diritto all'indennizzo, ai sensi dell'art. 314, primo comma, cod. proc. pen. - è non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi 3 fini della riparazione, sia intervenuta decisione irrevocabile che abbia accertato termini fattuali, sia esso confliggente o meno con una prescrizione di legge, ma anche "la condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del procedimento riparatorio con il parametro dell' "id quod plerumque accidit" secondo le regole di esperienza comunemente accettate, siano tali da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell'autorità giudiziaria a tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo. Poiché inoltre, anche ai fini che qui interessano, la nozione di colpa è data dall'art. 43 cod. pen., deve ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione, ai sensi del tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell'autorità giudiziaria che si sostanzi nell'adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno già emesso" (Sez. U, n. 43 del 13/12/1995 - dep. 09/02/1996, Sarnataro ed altri, Rv. 203637). Una risalente pronuncia ha sostenuto che "la condizione ostativa al riconoscimento del diritto all'indennizzo per l'ingiusta detenzione rappresentata dall'aver dato causa, da parte del richiedente, all'ingiusta carcerazione, non può consistere in circostanze relative alla condotta già oggetto della pronuncia assolutoria, ma deve concretarsi in comportamenti esterni ai temi dell'incolpazione, di tipo processuale, come un'autoincolpazione, un silenzio cosciente su di un alibi, una fraudolenta creazione di tracce o prove a proprio danno" (Sez. 6, n. 1401 del 28/04/1992 - dep. 22/05/1992, Zenatti, Rv. 190488). Essa però è stata presto disattesa dalla successiva giurisprudenza, che si è attestata sul principio per il quale "in tema di riparazione per l'ingiusta detenzione, la condizione ostativa al riconoscimento del diritto all'indennizzo, rappresentata dall'avere il richiedente dato causa, all'ingiusta carcerazione, deve concretarsi in comportamenti che non siano stati esclusi dal giudice della cognizione e che possano essere di tipo extra-processuale (grave leggerezza o macroscopica trascuratezza tali da aver determinato l'imputazione), o di tipo processuale (autoincolpazione, silenzio consapevole sull'esistenza di un alibi); il giudice è peraltro tenuto a motivare specificamente sia in ordine all'addebitabilità all'interessato di tali comportamenti, sia in ordine all'incidenza di essi sulla determinazione della detenzione. (Sez. 4, n. 8163 del 12/12/2001 - dep. 28/02/2002, Pavone, Rv. 220984). Nella prospettiva del sindacato di legittimità è decisivo rimarcare che esso è limitato alla correttezza del ragionamento logico giuridico con cui il giudice è pervenuto ad accertare o negare i presupposti per l'ottenimento del beneficio, 4 predetto primo comma dell'art. 314 cod. proc. pen., quella condotta che, pur mentre resta nelle esclusive attribuzioni del giudice di merito, che è tenuto a motivare adeguatamente e logicamente il proprio convincimento, la valutazione sull'esistenza e la gravità della colpa o del dolo (Sez. 4, n. 21896 del 11/04/2012 - dep. 06/06/2012, Hilario Santana, Rv. 253325). Dovendosi tener conto del fatto che va tenuta distinta l'operazione logica propria del giudice del processo penale, volta all'accertamento della sussistenza di un reato e della sua commissione da parte dell'imputato, da quella propria del giudice della riparazione. Questi, pur dovendo operare, eventualmente, sullo perché è suo compito stabilire non se determinate condotte costituiscano o meno reato, ma se queste si sono poste come fattore condizionante (anche nel concorso dell'altrui errore) alla produzione dell'evento "detenzione"; ed in relazione a tale aspetto della decisione egli ha piena ed ampia libertà di valutare il materiale acquisito nel processo, non già per rivalutarlo, bensì al fine di controllare la ricorrenza o meno delle condizioni dell'azione (di natura civilistica), sia in senso positivo che negativo, compresa l'eventuale sussistenza di una causa di esclusione del diritto alla riparazione (in tal senso, espressamente, Sez. U, n. 43 del 13/12/1995 - dep. 09/02/1996, Sarnataro ed altri, Rv. 203638). 4.2. Ribadito che in questa sede occorre stabilire se la Corte di merito abbia motivato in modo congruo e logico in ordine alla idoneità della condotta posta in essere dall'istante ad ingenerare nel giudice che emise il provvedimento restrittivo della libertà personale il convincimento di un probabile coinvolgimento dell'odierno ricorrente nell'attività illecita che gli è stata attribuita, va rilevato, nella specie, che la Corte territoriale, con motivazione logica ed ampia, ha fatto corretto governo dei principi sopra rammentati, spiegando che le condotte ascritte al prevenuto, talune costituenti reato, sono state gravemente imprudenti. Diversamente da quanto sostenuto nel ricorso, la Corte di Appello non ha 'rovesciato' la ricostruzione fattuale operata con la sentenza assolutoria; così, ad esempio, non ha mai affermato che alla luce delle prove disponibili il Rizzo era da reputarsi amministratore di fatto della Europa 5. Piuttosto ha rilevato come il comportamento serbato fu tale da indurre in errore gli inquirenti, che da quello "dedussero che egli fosse effettivamente amministratore di fatto della società...". In altri termini, il Collegio distrettuale ha individuato tra quelli accertati nel processo di merito il comportamento che determinò l'errore di valutazione dell'autorità procedente e la conseguente limitazione della libertà personale del Rizzo: l'essersi presentato con il falso nome di Antonio Scala e insieme a Massimo Scala, amministratore della Europa 5, al titolare della menzionata stesso materiale, deve seguire un "iter" logico-motivazionale del tutto autonomo, Galleria, concordando con questi la vendita dei quadri e presenziando alla consegna degli stessi. Ed ha ritenuto tale comportamento gravemente colposo perché effettivamente ed evidentemente in grado di rappresentarlo come amministratore di fatto della Europa 5 e quindi coautore, con l'amministratore di diritto, della sottrazione dei menzionati quadri e della connessa bancarotta. Né ha pregio l'argomento difensivo che fa leva sul fatto che il reato di truffa non è autonomamente idoneo a legittimare la compressione della libertà; sì che esso non potrebbe essere preso in esame nella valutazione dell'istanza per cui si tanto un comportamento illecito quando una condotta lecita, purché sia riveli eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti. Nel caso di specie, del tutto correttamente, la condotta truffaldina non viene in considerazione quale titolo della restrizione personale bensì come nucleo della condizione ostativa alla riparazione. Infine, non può dolersi il ricorrente dell'asserito errore interpretativo in cui sarebbe incorso il Tribunale di Nola pronunciando l'estinzione del reato ai sensi dell'art. 129 cod. proc. pen. piuttosto che l'assoluzione ai sensi dell'art. 530, co. 2 cod. proc. pen. Rilevato innanzitutto che ben poteva il Rizzo rinunciare alla prescrizione e quindi pretendere l'applicazione di altra regola di giudizio, va anche osservato che il rilievo è palesemente inammissibile, perché implica esso sì - il ripudio dell'accertamento consacrato con il giudicato. In conclusione, il ricorso merita di essere rigettato. 5. Segue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al pagamento della somma di euro 1.000,00 (mille/00) in favore della Cassa delle ammende. 6. Nulla è dovuto al Ministero resistente per le spese sostenute per questo giudizio di Cassazione, stante la manifesta infondatezza delle argomentazioni poste a sostegno della costituzione. Infatti, se da un canto risulta che la giurisprudenza di legittimità è saldamente ancorata al principio secondo il quale, in caso di estinzione del reato per prescrizione non è configurabile diritto alla riparazione per l'ingiusta detenzione, a meno che la durata della custodia cautelare sofferta risulti superiore alla misura della pena astrattamente irrogabile, o a quella in concreto inflitta, ma solo per la parte di detenzione subita in eccedenza, ovvero quando risulti accertata in astratto la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dell'ingiustizia formale della privazione della libertà personale (Sez. 4, Sentenza n. 34661 del 10/06/2010, Maugeri, Rv. 248076), dall'altro va osservato che tale principio rileva nel caso in cui il titolo procede. Infatti, si è già segnalato che ad integrare la colpa ostativa può valere della detenzione sia stato costituito dal reato poi dichiarato prescritto. Il che non è nel caso che occupa, come ampiamente evidenziato da quanto sin qui esposto. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 13/11/2013.

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