Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5628 del 13/11/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 5628 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MAVIGLIA GIUSEPPE N. IL 30/08/1944
avverso l’ordinanza n. 88/2010 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 13/01/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SALVATORE
DOVERE;
lette/spItife le conclusioni del PG Dott. (to•ramm.,) D ‘
61.9

Data Udienza: 13/11/2013

RITENUTO IN FATTO
1. Maviglia Giuseppe, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per
cassazione avverso l’ordinanza indicata in epigrafe, con la quale è stata rigettata
la sua istanza di riparazione per l’ingiusta detenzione subita dal 27.1.2006 al
16.2.2006 (detenzione in carcere) e dal 17.2.2006 al 15.6.2006 (arresti
domiciliari), in relazione ai delitti di tentate lesioni personali, tentato sequestro
di persone e tentata estorsione in danno dei coniugi Liuzzo-Foti, che gli erano

2. La Corte territoriale ha ravvisato l’insussistenza dei presupposti del diritto alla
riparazione di cui all’art. 314, 1° comma, cod. proc. pen., in quanto il
comportamento dell’odierno ricorrente aveva dato corso all’ordinanza di custodia
cautelare, individuando gli estremi della colpa grave, preclusiva al
riconoscimento dell’indennizzo richiesto.
Ricordato che il 22.12.2005 il Liuzzo aveva aperto la porta della propria
abitazione dopo aver udito una persona chiamare, in dialetto calabrese,
‘Compare Nino’, e tre individui, indicati dal Liuzzo come extracomunitari, erano
entrati in casa ed avevano aggredito lui e la moglie, andando poi via senza
asportare nulla, la Corte di Appello ha ravvisato il comportamento gravemente
colposo nel fatto che il Maviglia, qualche giorno prima dell’accaduto, si era con i
propri animali abusivamente introdotto in un fondo in proprietà del Liuzzo,
aveva danneggiato il raccolto, aveva schernito e velatamente minacciato il Liuzzo
in risposta alle rimostranze di questo, dicendogli che sarebbe potuto andare a
lamentarsi dai Carabinieri, che le sue mucche potevano pascolare ove
preferivano e che se non avesse fatto il bravo lo avrebbe mandato a Torino;
nonché nel fatto che il 5.1.2006 il Maviglia aveva avuto un ulteriore diverbio con
il Liuzzo, nel corso del quale il primo aveva insistentemente sostato dietro al
cancello della proprietà del secondo, disturbando e suonando il clacson, aveva
rivolto al Liuzzo l’appellativo di infame e

lo aveva schernito per l’essersi rivolto

ai carabinieri.
L’insieme di tali circostanze concreta, per la Corte di Appello, la condizione
ostativa alla riparazione richiesta.

3.1.

Il ricorrente ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata

lamentando con un primo motivo violazione di legge in relazione agli artt. 314,
315, 125 e 546 cod. proc. pen., con riferimento alla valutazione della sussistenza
della colpa grave, ed inoltre vizio motivazionale, per aver la Corte di Appello
omesso di valutare il decisivo elemento dei chiarimenti offerti dal Maviglia in

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stati attribuiti in concorso con altri, in qualità di mandante.

occasione dell’interrogatorio di garanzia. Inoltre, il Collegio distrettuale ha
omesso di considerare che, nell’ambito del procedimento penale, i
comportamenti del Maviglia sono risultati non collegabili all’aggressione dei
coniugi Liuzzo operata da ignoti.
Con un secondo motivo ha lamentato ancora violazione di legge e vizio
motivazionale: rimarcato che il Gup del Tribunale di Reggio Calabria ebbe a
pronunciare sentenza di non luogo a procedere nei confronti del Maviglia, si
rileva che la colpa grave di cui all’art. 314 cod. proc. pen. non può consistere in

giudizio oltre l’udienza preliminare; diversamente opinando l’interessato
dovrebbe dolersi del fatto che il mancato approfondimento dibattimentale non gli
ha consentito di dimostrare la completa infondatezza dell’ipotesi accusatoria. Ciò
nonostante la Corte di Appello ha fondato il proprio giudizio sul sospetto che il
Maviglia fosse il mandante dell’aggressione.
3.2. Con ‘memoria difensiva’ depositata il 6.11.2013 il difensore del Maviglia
insite sui motivi già formulati e rimarca come il Gip, dopo l’interrogatorio
dell’arrestato, avesse la disponibilità di tutti gli elementi che condussero alla
dichiarazione di improcedibilità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso è fondato, nei termini di seguito precisati.
4.1. A fronte dei rilievi mossi con il ricorso che si esamina è opportuno
premettere, con estrema sintesi, l’indicazione delle linee portanti della disciplina
dell’istituto della riparazione per ingiusta detenzione, così come delineata dalla
giurisprudenza di legittimità.
In tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice di merito, per valutare
se chi l’ha patita vi abbia dato o concorso a darvi causa con dolo o colpa grave,
deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori
disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino
eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o
regolamenti, fornendo del convincimento conseguito motivazione, che, se
adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità (Sez. U, n. 34559 del
26/06/2002 – dep. 15/10/2002, Min. Tesoro in proc. De Benedictis, Rv. 222263).
In particolare, quanto al compendio degli elementi valutabili, il S.C. ha
ripetutamente puntualizzato che il giudice, nell’accertare la sussistenza o meno
della condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per
ingiusta detenzione, consistente nell’incidenza causale del dolo o della colpa
grave dell’interessato rispetto all’applicazione del provvedimento di custodia
cautelare, deve valutare la condotta tenuta dal predetto sia anteriormente che
successivamente alla sottoposizione alla misura e, più in generale, al momento

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circostanze che non sono in grado neppure di garantire la prosecuzione del

della legale conoscenza della pendenza di un procedimento a suo carico (Sez. U,
n. 32383 del 27/05/2010 – dep. 30/08/2010, D’Ambrosio, Rv. 247664; nel
medesimo senso già Sez. U, n. 43 del 13/12/1995 – dep. 09/02/1996, Sarnataro
ed altri, Rv. 203636).
Vale anche precisare che idonea ad escludere la sussistenza del diritto
all’indennizzo, ai sensi dell’art. 314, primo comma, cod. proc. pen. – è non solo
la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi
termini fattuali, sia esso confliggente o meno con una prescrizione di legge, ma

procedimento riparatorio con il parametro dell’ “id quod plerumque accidit”
secondo le regole di esperienza comunemente accettate, siano tali da creare una
situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a
tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo. Poiché inoltre, anche
ai fini che qui interessano, la nozione di colpa è data dall’art. 43 cod. pen., deve
ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione, ai sensi del
predetto primo comma dell’art. 314 cod. proc. pen., quella condotta che, pur
tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza,
imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme
disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile,
ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un
provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno
già emesso” (Sez. U, n. 43 del 13/12/1995 – dep. 09/02/1996, Sarnataro ed
altri, Rv. 203637).
4.2. In tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, con orientamento costante
questa Corte insegna, sin dalle prime pronunce sul tema, che qualora sia stato
ascritto un illecito plurisoggettivo, oltre alla condotta macroscopicamente
negligente o imprudente dell’istante, deve necessariamente ricorrere un
elemento aggiuntivo, rappresentato dalla consapevolezza dell’altrui attività
illecita. Si è affermato, ad esempio, che in tema di riparazione per l’ingiusta
detenzione, nel caso in cui sia contestato un reato in concorso con altre persone,
si concorre a dare causa alla misura della custodia cautelare se si sia al corrente
dell’attività delittuosa di altri e, ciò nonostante, pur non concorrendo in quella
attività, si pongano in essere, con evidente, macroscopica imprudenza, condotte
che si prestino, sul piano logico, alla deduzione della contiguità del concorso. Ma
se manca la consapevolezza che altri è dedito ad una certa attività costituente
reato, l’eventuale condotta denotante contiguità non può avere alcuna incidenza
negativa (Sez. 4, Sentenza n. 598 del 29/04/1994, Gandolfo, Rv. 200152). Più di
recente si è ribadito che in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione integra
gli estremi della colpa grave ostativa al riconoscimento del diritto, la condotta di

anche “la condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del

chi, nei reati contestati in concorso, abbia tenuto, pur consapevole dell’attività
criminale altrui, comportamenti percepibili come indicativi di una sua contiguità
(Sez. 4, n. 45418 del 25/11/2010 – dep. 27/12/2010, Carere, Rv. 249237).
Simili affermazioni sono state per lo più fatte in casi nei quali si trattava di
valutare comportamenti indicati come di connivenza [soggetto convivente con
persona detentrice di un rilevante quantitativo di stupefacente (Sez. 4,
Sentenza n. 37567 del 02/04/2004, Barison, Rv. 229142)] o di contiguità
[soggetto avente rapporti di frequentazione con esponenti di consorteria mafiosa

fatto che si conosca l’altrui agire trasgressivo può essere essenziale perché possa
pretendersi dal consociato di orientare il proprio comportamento sulla base di
una prognosi sul possibile coinvolgimento in ipotesi di intervento giudiziario. A
ben vedere ciò è richiesto perché è necessario che il soggetto possa percepire la
natura colposa, macroscopicamente colposa, del proprio comportamento, sì da
potergli muovere il rimprovero che preclude alla riparazione. Ma quando questa
percezione è resa possibile dalle caratteristiche intrinseche della condotta – e
sempre che già questa renda possibile ipotizzare reati per i quali è consentita la
detenzione -, non sembra necessario, ove sia stato ipotizzato un concorso
morale nel reato, che si sia stati consapevoli della esecuzione del reato da altri
fatta.
4.3. E’ opportuno prendere le mosse dai rilievi infondati.
In ordine alla presunta omessa valutazione del comportamento collaborativo del
Maviglia, coglie il segno il P.G. requirente laddove afferma che una simile
condotta non esclude che la colpa grave possa essere colta aliunde.
La sottolineatura della circostanza per la quale il Gip, dopo l’interrogatorio
dell’arrestato, avrebbe avuto la disponibilità di tutti gli elementi che condussero
alla dichiarazione di improcedibilità è stata avanzata solo con la memoria
difensiva e quindi va intesa unicamente come ulteriore esplicazione
dell’originario motivo; diversamente, ovvero a considerarlo come prospettante
una violazione dell’art. 314, comma 2 cod. proc. pen. esso risulterebbe
inammissibile. Ed infatti, qualora venga proposto ricorso per cassazione avverso
l’ordinanza della Corte di Appello che ha riconosciuto il diritto alla riparazione per
l’ingiusta detenzione e vengano presentati motivi aggiunti, detti motivi sono da
considerarsi come memorie di parte ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ. e,
quindi, meramente illustrative dei motivi di ricorso e non possono contenere, a
pena di inammissibilità, motivi nuovi rispetto a quelli del gravame (così, in tema
di ricorso del Ministero del Tesoro, Sez. 4, Sentenza n. 1369 del 30/11/1993,
Ministero del Tesoro in proc. Guardabascio, Rv. 196509).

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(Sez. 4, Sentenza n. 37528 del 24/06/2008, Grigoli, Rv. 241218)]. In tali casi il

Quanto ai restanti rilievi, l’evocazione dell’esistenza di un vulnus costituzionale
ove si assumano le risultanze delle indagini preliminari come base del giudizio è
palesemente infondata, perché non si vede come si dovrebbe diversamente
definire il quadro fattuale di riferimento e perché è nella disponibilità
dell’imputato medesimo concorrere alla formazione dei materiali sottoposti al
giudice dell’udienza preliminare, ad esempio attraverso le indagini difensive
4.4. E’ però fondato il rilievo della impropria valorizzazione operata dalla Corte di
Appello del giudizio del Gup circa l’esistenza di residui elementi di sospetto. Su
ciò si dirà ancora a breve.

deriva dal fatto che, pur in presenza di un addebito imperniato sulla
partecipazione ai reati in qualità di mandante, la Corte di Appello ha lungamente
argomentato in ordine alla natura colposa delle condotte pacificamente riferibili
al Maviglia (per intendersi, quelle antecedenti e posteriori al 22.12.2005), ma
non ha neanche enunciato il tema delle prove concernenti la consapevolezza da
parte di questi dell’aggressione subita dalla coppia Liuzzo-Foti. Né può valere a
colmare la decisiva lacuna il richiamo al passo della sentenza per il quale “gli
elementi indiziari sostanziavano il ragionevole sospetto che proprio il Maviglia
fosse il mandante del pestaggio”, perché se tale affermazione poteva avere nella decisione del Gup (e qui ci si salda con quanto sopra espresso) – la
funzione di manifestare la esistenza di elementi di contrastante valore, tali da
precludere una soluzione propendente per il rinvio a giudizio o, all’inverso, per la
sicura estraneità ai fatti del Maviglia, altrettanto non può dirsi nell’ambito del
giudizio in tema di riparazione, ove il solo dato che si impone su ogni altro è la
dichiarata assenza di certezza in ordine al coinvolgimento del Maviglia nei fatti
commessi da ignoti in danno dei coniugi Liuzzo.
4.4. Pertanto, il provvedimento impugnato deve essere annullato con rinvio alla
Corte di Appello di Reggio Calabria perché rivaluti i fatti alla luce dei principi
sopra esposti; e quindi espliciti se la condotta del Maviglia fosse di per sé stessa
in grado di giustificare l’adozione di provvedimenti cautelari nei suoi confronti
ovvero, in caso negativo, se questi – nel porre in essere le condotte attribuitegli
– abbia avuto consapevolezza dell’agire illecito altrui.
P.Q.M.
Annulla l’impugnato provvedimento e rinvia per nuovo esame alla Corte di
Appello di Reggio Calabria.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 13/11/2913.

Intanto, però, il fondamentale profilo di illegittimità della decisione in esame

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