Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5627 del 16/10/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 5627 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: GRASSO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DI FRANCO ANGELO N. IL 15/06/1975
avverso l’ordinanza n. 66/2011 CORTE APPELLO di PALERMO, del
12/12/2011
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO;
lette/sfactité le conclusioni del PG Dott. ‘Fel,

Jf

t-x—c.3 04

Ls

Uditi difens Avv.;

ALA-6,

Data Udienza: 16/10/2013

FATTO E DIRITTO

1. Di Franco Angelo, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per
cassazione avverso l’ordinanza della Corte di Appello di Palermo, depositata il
21/12/2011, con la quale venne rigettata la sua istanza di riparazione per
l’ingiusta detenzione subita, in regime di custodia cautelare, dal 9 dicembre 2002
al 3 giugno 2004, e, in regime di arresti domiciliari fino al 4 marzo 2005, per il

2. La Corte territoriale ravvisò la circostanza escludente del diritto alla
riparazione di cui all’art. 314, 1° comma, cod. proc. pen., e cioè di avere
concorso a dare causa all’emissione del provvedimento restrittivo della libertà
personale per colpa grave, per quanto appresso.
Il Di Franco era stato tratto in arresto con l’accusa di aver fatto parte di una
associazione finalizzata al traffico di stupefacenti sulla base dell’evidenze
probatorie derivanti dalle plurime intercettazioni e dai servizi di osservazione e
controllo disposti. La Corte territoriale rimproverava al ricorrente di aver
dimostrato attraverso lo stretto rapporto mantenuto con il coindagato Canicattì
Gioacchino, presso la cui macelleria l’odierno ricorrente soleva intrattenersi,
condotta spregiudicata, che aveva ingenerato il sospetto che il Di Franco fosse
accolito dell’associazione.

3. Il Di Franco ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata criticando
il ragionamento della Corte territoriale, anche sotto il profilo della violazione di
legge.
Assume il predetto che la Corte palermitana, errando, aveva ingiustamente
sopravvalutato le emergenze delle captazioni. In primo luogo andava osservato
non essere certa l’identificazione della voce del ricorrente (anzi, il consulente di
parte aveva escluso una tale rispondenza); in ogni caso, di poi, il giudice
dell’ingiusta detenzione non aveva considerato che la frequentazione del
Canicattì traeva origine dalla circostanza che costui era il padrino del Di Franco e
che, a fronte di una registrata presenza del ricorrente all’interno dell’esercizio
commerciale protrattasi per mesi, le conversazioni giudicate rilevanti si
riducevano a poche. Né la circostanza che il Di Franco risultasse assuntore di
stupefacenti avrebbe potuto indurre a considerarlo accolito della consorteria
criminale finalizzata allo spaccio.

delitto di cui all’art. 74 del d.P.R. n. 309/1990, dal quale era stato assolto.

4. Con memoria del pervenuta il 30/9/2013 l’Avvocatura generale dello
Stato si costituiva per l’Amministrazione finanziaria chiedendo dichiararsi
inammissibile o, comunque, rigettarsi il ricorso.

5. Il ricorso va disatteso in quanto infondato.

5.1. Si osserva che la giurisprudenza di legittimità è costantemente
orientata nel senso tracciato dalle Sezioni unite di questa Corte con la sentenza

detenzione, il giudice di merito, per valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o
concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo
autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare
riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica
negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del
convincimento conseguito motivazione, che, se adeguata e congrua, è
incensurabile in sede di legittimità.
E’ quindi determinante stabilire se la Corte di merito abbia motivato in modo
congruo e logico in ordine alla idoneità della condotta posta in essere dallo
istante ad ingenerare nel giudice che emise il provvedimento restrittivo della
libertà personale il convincimento di un probabile concorso nell’illecita detenzione
di stupefacente.

5.2. La Corte territoriale, nel caso di specie, ha individuato in cosa sia
consistita la colpa grave del ricorrente, il quale aveva tenuto comportamento
ambiguo, dimostrando non solo di essere a piena conoscenza dell’illecita attività
condotta dal Canicattì insieme ad altri, ma anche di essere in grado di
pertinentemente interloquire (le conversazioni ambientali captate riportate sono
in chiaro).
La prospettazione, oggi allegata, secondo la quale, almeno in parte delle
captazioni non sarebbe certa l’identificazione della voce del Di Franco trova
insormontabile ostacolo nella ricostruzione della vicenda di merito, siccome
riportata nell’ordinanza impugnata: il Di Franco era stato assolto, nonostante il
carattere indiziante delle conversazioni intercettate, a cagione della ritenuta
insufficienza delle stesse in raffronto all’assidua frequentazione dell’esercizio e
non già perché accertata come non identificata la voce.
Sul piano soggettivo, poi, non poteva sfuggire al Di Franco, il quale non nega in
forma inequivoca di essere perlomeno consumatore di sostanze stupefacenti,
intimo e contiguo (ben al di là della lontana affiliazione di padrinaggio) di

n. 34559 del 15.10.2002, secondo la quale in tema di riparazione per l’ingiusta

soggetto ampiamente coinvolto, che una simile condotta era idonea a indurre
negli inquirenti il convincimento di penale responsabilità del predetto.
Argomenti, questi, che correttamente hanno indotto la Corte territoriale a
reputare sussistente la colpa grave in capo all’istante.
Come a suo tempo chiarito, non potendo l’Ordinamento, nel momento in cui fa
applicazione della regola solidaristica, alla base del diritto al risarcimento in
esame, obliterare il principio di autoresponsabilità che incombe su tutti i
consociati, allorquando interagiscono nella società (trattasi, in fondo, della regola

idonea ad escludere la sussistenza del diritto all’indennizzo, ai sensi dell’art. 314
comma 1 c.p.p., non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto
e rappresentato nei suoi termini fattuali, sia esso confliggente o meno con una
prescrizione di legge, ma anche la condotta consapevole e volontaria i cui esiti,
valutati dal giudice del procedimento riparatorio con il parametro dell’id quod
plerumque accidit secondo le regole di esperienza comunemente accettate, siano

tali da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento
dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in
pericolo. Poiché inoltre, anche ai fini che qui interessano, la nozione di colpa è
data dall’art. 43 c.p., deve ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla
riparazione, ai sensi del predetto comma 1 dell’art. 314 c.p.p., quella condotta
che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica
negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o
norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma
prevedibile, ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi
nell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o nella
mancata revoca di uno già emesso (in puntuali termini, S.U., 13/12/1995, n.
43).
A tal riguardo, la colpa grave può concretarsi in comportamenti sia processuali
sia di tipo extraprocessuale, come la grave leggerezza o la rilevante
trascuratezza, tenuti sia anteriormente che successivamente al momento
restrittivo della libertà personale; onde l’applicazione della suddetta disciplina
normativa non può non imporre l’analisi dei comportamenti tenuti
dall’interessato, anche prima dell’inizio dell’attività investigativa e della relativa
conoscenza, indipendentemente dalla circostanza che tali comportamenti non
integrino reato (anzi, questo è il presupposto, scontato, dell’intervento del
giudice della riparazione) (in puntuali termini, Sez. IV, 16/10/2007, n. 42729).

che trova esplicitazione negli artt. 1227 e 2056, cod. civ.), deve intendersi

6. Al rigetto del ricorso consegue la condanna alle spese e al rimborso
delle spese legali in favore del Ministero costituito, che vista la notula, si
liquidano siccome in dispositivo nella misura reputata di giustizia.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali,
nonché a rimborsare al Ministero dell’Economia e delle Finanze le spese

Così deciso nella camera di consiglio del 16/10/2013.

sostenute per questo giudizio che liquida in complessivi euro 750,00.

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