Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5623 del 16/10/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 5623 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SPEZIALE PASQUALE N. IL 02/06/1980
avverso l’ordinanza n. 40/2009 CORTE APPELLO di
CALTANISSETTA, del 27/10/2011
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SALVATORE
DOVERE;
151C/~tite le conclusioni del PG Dott. trh 0 12(

301,Sb ,eQ,

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fitAp-c-~-554s(2_,Q.,hr

Data Udienza: 16/10/2013

RITENUTO IN FATI-0
1. Speziale Pasquale, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per
cassazione avverso l’ordinanza indicata in epigrafe, con la quale è stata rigettata
la sua istanza di riparazione per l’ingiusta detenzione subita dal 27.4.2005 al
24.5.2005, in relazione al delitto di cui all’art. 73 T.U. stup.,

per il quale era

stato mandato assolto in data 14.5.2008 dal giudice di primo grado, per
insussistenza del fatto (sentenza irrevocabile il 29.11.2008).

riparazione di cui all’art. 314, 1° comma, cod. proc. pen., in quanto il
comportamento dell’odierno ricorrente aveva dato corso all’ordinanza di custodia
cautelare, individuando gli estremi della colpa grave, preclusiva al
riconoscimento dell’indennizzo richiesto. E ciò perché – secondo quanto
emergeva dall’ordinanza di custodia cautelare a suo tempo adottata – lo Speziale
aveva frequentato tale Bulla, soggetto pacificamente dedito allo spaccio di
sostanze stupefacenti ed aveva altresì detenuto presso la sua abitazione un
bilancino, occultato all’interno di un divano, avuto con ignoto interlocutore una
conversazione dal tenore ambiguo e tuttavia deponente per la volontà di
acquistare stupefacente dal Bulla e non aveva dato chiarimenti in sede di
interrogatorio di garanzia.

2. Il ricorrente ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata per violazione
dell’art. 314 cod. proc. pen. Con un primo motivo, rivisitando il significato delle
circostanze assunte dalla Corte di Appello, lamenta violazione di legge per aver
questa ritenuto la sussistenza della colpa grave nonostante la norma pretenda
“che il dolo o la colpa siano concreti e non nominalistici”. Con un secondo
motivo si censura l’ordinanza impugnata per asserito vizio motivazionale,
rilevando che la Corte di Appello “omette qualsivoglia argomentazione su un
punto essenziale …, ossia che il signor Speziale è stato assolto con la formula
‘perché il fatto non sussiste’. Inoltre si afferma il carattere illogico della
motivazione laddove espone che la conoscenza del Bulla concretava motivo di
legittimo motivo di sospetto per l’autorità inquirente e dà risalto alle presunti
dichiarazioni mendaci dello Speziale nonostante da alcun atto processuale
emerga che questi avesse acquistato droga dal Bulla.

3. Con atto depositato il 28.9.2013, l’Avvocatura generale dello Stato, in
rappresentanza del Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha chiesto la
conferma dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO

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La Corte territoriale ha ravvisato l’insussistenza dei presupposti del diritto alla

4. Il ricorso è inammissibile, siccome aspecifico e manifestamente infondato.
4.1. Il ricorso propone due linee di critica all’ordinanza impugnata: per un verso
contesta la ricostruzione in fatto assunta dalla Corte di Appello, dall’altro censura
che da quella possa desumersi la colpa grave ostativa alla riparazione
dell’ingiusta detenzione.
Si tratta di prospettazioni irricevibili. La Corte di Appello ha fatto proprie le
circostanze di fatto che sono state assunte a base dell’ordinanza di custodia
cautelare e quindi quelle che ebbero efficienza concausale nell’instaurazione e

Si tratta di circostanze che non sono state negate neppure dal ricorrente, salvo
che in relazione alla ‘intensità’ dei rapporti tra lo Speziale ed il Bulla (che si
afferma esser stati di mera conoscenza, avendo la sentenza assolutoria spiegato
che non vi era alcuna cointeressenza e rapporti di frequentazione) ed in ordine
all’acquisto di droga da parte dello Speziale dal Bulla. Tuttavia, riguardo a tali
due asserite discrasie, va affermato che esse sono in realtà insussistenti: il dato
valorizzato dalla Corte di Appello – perché recuperato dall’ordinanza genetica non è quello della frequentazione bensì quello del sicuro contatto con il Bulla, per
come emergente da una conversazione nella quale lo Speziale appare
manifestare la volontà di acquistare droga dallo stesso.
Né l’esponente ha lamentato travisamento della prova; in realtà egli ha operato
una critica meramente dialettica; in tal modo formulando – come correttamente
rimarcato dal P.G. nelle conclusioni rese per iscritto – una censura meramente
generica, che va incontro alla sanzione dell’inammissibilità, giusto il combinato
disposto agli artt. 581 e 591 cod. proc. pen.
Il fatto che lo Speziale sia stato mandato assolto dal reato ascrittogli non ha il
rilievo che sembra volergli attribuire l’esponente. Vale precisare che idonea ad
escludere la sussistenza del diritto all’indennizzo, ai sensi dell’art. 314, primo
comma, cod. proc. pen. – è non solo la condotta volta alla realizzazione di un
evento voluto e rappresentato nei suoi termini fattuali, sia esso confliggente o
meno con una prescrizione di legge, ma anche “la condotta consapevole e
volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del procedimento riparatorio con il
parametro dell’ “id quod plerumque accidit” secondo le regole di esperienza
comunemente accettate, siano tali da creare una situazione di allarme sociale e
di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità,
ragionevolmente ritenuta in pericolo. Poiché inoltre, anche ai fini che qui
interessano, la nozione di colpa è data dall’art. 43 cod. pen., deve ritenersi
ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione, ai sensi del predetto primo
comma dell’art. 314 cod. proc. pen., quella condotta che, pur tesa ad altri
risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza,

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nel mantenimento della restrizione della libertà personale dello Speziale.

trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una
situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento
dell’autorità giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un provvedimento
restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno già emesso”
(Sez. U, n. 43 del 13/12/1995 – dep. 09/02/1996, Sarnataro ed altri, Rv.
203637). Pertanto,ben può trattarsi di fatto non integrante reato.
Va inoltre tenuta distinta l’operazione logica propria del giudice del processo
penale, volta all’accertamento della sussistenza di un reato e della sua

riparazione. Questi, pur dovendo operare, eventualmente, sullo stesso
materiale, deve seguire un “iter” logico-motivazionale del tutto autonomo,
perché è suo compito stabilire non se determinate condotte costituiscano o meno
reato, ma se queste si sono poste come fattore condizionante (anche nel
concorso dell’altrui errore) alla produzione dell’evento “detenzione”; ed in
relazione a tale aspetto della decisione egli ha piena ed ampia libertà di valutare
il materiale acquisito nel processo, non già per rivalutarlo, bensì al fine di
controllare la ricorrenza o meno delle condizioni dell’azione (di natura civilistica),
sia in senso positivo che negativo, compresa l’eventuale sussistenza di una causa
di esclusione del diritto alla riparazione (in tal senso, espressamente, Sez. U, n.
43 del 13/12/1995 – dep. 09/02/1996, Sarnataro ed altri, Rv. 203638).
Quanto alla critica rivolta al giudizio in punto di sussistenza di una condotta
gravemente colposa, nella presente sede va rimarcato che trattasi di ambito
riservato al governo esclusivo del giudice di merito del procedimento previsto
dall’art. 315 cod. proc. pen.; a questa Corte compete unicamente di verificare la
congruenza logico-giuridica esibita dal decidente. Orbene, la motivazione resa
dalla Corte di Appello è sotto tale profilo immune da censure, poiché evidenzia
un complesso di circostanze – quelle già ripercorse nella superiore parte
narrativa – dalle quale può fondatamente derivarsi il carattere gravemente
colposo della condotta serbata dallo Speciale.
In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.

5. Segue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e al pagamento della somma di euro
1.000,00 (mille/00) in favore della Cassa delle ammende, nonchè a rimborsare
al Ministero resistente le spese sostenute per questo giudizio di Cassazione;
spese che liquida in complessivi euro 750,00.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle

commissione da parte dell’imputato, da quella propria del giudice della

ammende, nonchè a rimborsare al Ministero dell’Economia e delle Finanze le
spese sostenute per questo giudizio che liquida in complessivi euro 750,00.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 16.10.2013.

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