Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5622 del 16/10/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 5622 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: GRASSO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SICLARI GASPARE SECONDO N. IL 09/05/1954
avverso l’ordinanza n. 84/2010 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 04/11/2011
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO;
lette/sentttrie conclusioni del PG Dott.
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Data Udienza: 16/10/2013

4

FATTO E DIRITTO

1. Siclari Gaspare Secondo, a mezzo del proprio difensore, ha proposto
ricorso per cassazione avverso l’ordinanza della Corte di Appello di Reggio
Calabria, depositata il 18/11/2011, con la quale venne rigettata la sua istanza di
riparazione per l’ingiusta detenzione subita, in relazione all’accusa di aver
partecipato ad una associazione di tipo mafioso, in esecuzione dell’ordinanza di
custodia cautelare in carcere emessa dal GIP di Reggio Calabria il 21/2/2006,

Siclari, il quale, dopo sentenza di annullamento con rinvio di questa Corte, era
già stato posto in libertà con ordinanza del locale tribunale del 2/2/2007, veniva,
infine, assolto dall’imputazione mossagli per non aver commesso il fatto con
sentenza del 24/10/2008.

2. La Corte territoriale ravvisò la circostanza escludente del diritto alla
riparazione di cui all’art. 314, 1° comma, cod. proc. pen., e cioè di avere
concorso a dare causa all’emissione del provvedimento restrittivo della libertà
personale per colpa grave, per quanto appresso.
Il Siclari era stato tratto in arresto con l’accusa di aver fatto parte di una
associazione a delinquere di tipo mafioso sulla base dell’evidenze probatorie
derivanti dalle plurime captazioni disposte. La Corte territoriale rimproverava al
ricorrente di aver dimostrato di condividere, nelle conversazioni intercorse con
Alampi Matteo, ragionamenti riguardanti questioni vitali per l’impresa di famiglia,
poste in relazione ai rapporti intercorrenti con le figure di spicco delle cosche
locali, non mancando di evidenziare la caratura e lo spessore di siffatti rapporti
(«Noi non siamo pinco pallino>>); anzi, in una telefonata emergeva essere

proprio il Siclari ad informare l’Alampi su «Chi comanda» a Brancaleone e
sulle strategie da mettere in atto per pilotare le gare pubbliche d’appalto.

3. Il Siclari, con il primo motivo, chiede l’annullamento dell’ordinanza
impugnata criticando il ragionamento della Corte territoriale, anche sotto il
profilo della violazione di legge.
Assume il predetto che la Corte reggina, errando, si era limitata a congetturare,
utilizzando argomenti indiziari non significativi e, perciò, non idonei a suffragare
l’ipotesi accusatoria già in sede d’indagini. Le intercettazioni, per la gran parte, si
risolvevano nella captazione di una sola conversazione avvenuta all’interno
dell’autovettura dell’Alampi; inoltre, a parte la scarsa qualità della stessa, che ne
rendeva di difficile comprensione il contenuto, la frase

«Se io non ero

indran…ma…», ampiamente utilizzata per suffragare l’accusa, era del tutto

sostituita con quella degli arresti domiciliari con provvedimento del 4/6/2006. Il

scomparsa dalla trascrizione peritale, a causa della non intelligibilità sul punto
della registrazione. Conclude il ricorrente che se i giudici dell’ingiusta detenzione
avessero approfondito la loro analisi avrebbero dovuto cogliere che il Siclari non
aveva «creato alcuna apparenza circa un suo coinvolgimento negli affari
societari del nipote [Alampi Matteo], e che la sua presunta contiguità ad
ambienti malavitosi è frutto esclusivamente di una non corretta trascrizione delle
conversazioni (…) e, conseguentemente, di un’erronea interpretazione delle

3.1. Con il secondo motivo il ricorrente denunzia vizio motivazionale.
La Corte d’appello aveva assegnato alla condizione negativa di cui al comma 1
dell’art. 314, cod. proc. pen. una portata eccessivamente ampia, giungendo a
forgiare una nozione di colpa grave abnormemente estesa, tanto da
ricomprendere in essa, senza spiegarne le ragioni, la mera sussistenza del
rapporto di frequentazione con l’Alampi, giustificato, peraltro, dal vincolo di
parentela. Inoltre, non solo dalle intercettazioni non poteva trarsi il
convincimento che il ricorrente operasse, in qualche modo, rafforzamento della
partecipazione del nipote, ma, al contrario, «era lo zio Gaspare a chiedere al
nipote chi fosse a comandare in quella zona>>.

Proprio per queste ragioni,

continua il ricorrente, la Corte di legittimità aveva escluso sussistere i gravi indizi
di colpevolezza, mancando la prova della consapevole partecipazione al sodalizio,
così anticipando l’accertamento negativo in ordine alla condotta colposa del
Siclari.
Evidenzia, infine, il ricorrente che la norma penale non impone ai consociati di
astenersi dal tenere comportamenti che possano dar luogo a sospetti da parte
delle forze dell’ordine e della magistratura inquirente.

4. Il ricorso va disatteso in quanto infondato avuto riguardo ad entrambe le
prospettazioni censuratorie, intimamente connesse.

4.1. Si osserva che la giurisprudenza di legittimità è costantemente
orientata nel senso tracciato dalle Sezioni unite di questa Corte con la sentenza
n. 34559 del 15.10.2002, secondo la quale in tema di riparazione per l’ingiusta
detenzione, il giudice di merito, per valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o
concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo
autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare
riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica
negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del

risultanze intercettate>>.

convincimento conseguito motivazione, che, se adeguata e congrua, è
incensurabile in sede di legittimità.
E’ quindi determinante stabilire se la Corte di merito abbia motivato in modo
congruo e logico in ordine alla idoneità della condotta posta in essere dallo
istante ad ingenerare nel giudice che emise il provvedimento restrittivo della
libertà personale il convincimento di un probabile concorso nell’illecita detenzione
di stupefacente.

consistita la colpa grave del ricorrente, il quale aveva tenuto comportamento
ambiguo, dimostrando particolare dimestichezza a colloquiare con soggetto
inserito in contesti malavitosi organizzati, mostrandosi, non solo informato, ma
coinvolto ed interessato alle vicende, così da indirizzare verso la piena e
consapevole partecipazione del medesimo alla consorteria criminale.
L’interessamento ed il coinvolgimento intenso, il grado di conoscenza
approfondita e l’orgogliosa condivisione della politica criminale (<>)

costituiscono senz’altro condotta connotata da grave

imprudenza da parte del Siclari, al quale non sfuggiva affatto (ciò emerge
nitidamente dal tenore delle conversazioni) il ruolo del nipote e i collegamenti
malavitosi di quest’ultimo.
Ovviamente, non ha rilievo di sorta in questa sede la circostanza che gli elementi
raccolti siano stati giudicati inidonei a sostenere l’accusa: quel che qui rileva è
che con il tenuto comportamento il Siclari abbia ingenerato il fondato sospetto
della di lui partecipazione ad un’associazione a delinquere di tipo mafioso.
Quanto, poi, ai rilievi riguardanti le captazioni basta osservare che della frase
stigmatizzata in ricorso la Corte di merito non ha fatto uso alcuno; che, a parte
la genericità e non autosufficienza dell’asserto, quel che rileva non è certo la
quantità dei colloqui captati, ma la loro qualità; che, infine, ogni altra
osservazione, con la quale si contesta l’esattezza delle espressioni riportate dal
provvedimento impugnato, è priva di autosufficienza.
Sul piano soggettivo, poi, non poteva sfuggire al Siclari, intimo e parente
dell’Alampi, che la descritta condotta era idonea a indurre negli inquirenti il
convincimento di penale responsabilità del predetto.
Argomenti, questi, che correttamente hanno indotto la Corte territoriale a
reputare sussistente la colpa grave in capo all’istante.
Come a suo tempo chiarito, non potendo l’Ordinamento, nel momento in cui fa
i o.
applicazione della regola solidaristica, alla base del diritto Vr i gium~v
esame, obliterare il principio di autoresponsabilità che incombe su tutti i
consociati, allorquando interagiscono nella società (trattasi, in fondo, della regola

4.2. La Corte territoriale, nel caso di specie, ha individuato in cosa sia

che trova esplicitazione negli artt. 1227 e 2056, cod. civ.), deve intendersi
idonea ad escludere la sussistenza del diritto all’indennizzo, ai sensi dell’art. 314
comma 1 c.p.p., non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto
e rappresentato nei suoi termini fattuali, sia esso confliggente o meno con una
prescrizione di legge, ma anche la condotta consapevole e volontaria i cui esiti,
valutati dal giudice del procedimento riparatorio con il parametro dell’id quod
plerumque accidit secondo le regole di esperienza comunemente accettate, siano
tali da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento

pericolo. Poiché inoltre, anche ai fini che qui interessano, la nozione di colpa è
data dall’art. 43 c.p., deve ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla
riparazione, ai sensi del predetto comma 1 dell’art. 314 c.p.p., quella condotta
che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica
negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o
norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma
prevedibile, ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi
nell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o nella
mancata revoca di uno già emesso (in puntuali termini, S.U., 13/12/1995, n.
43).
A tal riguardo, la colpa grave può concretarsi in comportamenti sia processuali
sia di tipo extraprocessuale, come la grave leggerezza o la rilevante
trascuratezza, tenuti sia anteriormente che successivamente al momento
restrittivo della libertà personale; onde l’applicazione della suddetta disciplina
normativa non può non imporre l’analisi dei comportamenti tenuti
dall’interessato, anche prima dell’inizio dell’attività investigativa e della relativa
conoscenza, indipendentemente dalla circostanza che tali comportamenti non
integrino reato (anzi, questo è il presupposto, scontato, dell’intervento del
giudice della riparazione) (in puntuali termini, Sez. IV, 16/10/2007, n. 42729).

5. Al rigetto del ricorso consegue la condanna alle spese e al rimborso
delle spese legali in favore del Ministero costituito, che vista la notula, si
liquidano siccome in dispositivo nella misura reputata di giustizia.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali,
nonché a rimborsare al Ministero dell’Economia e delle Finanze le spese
sostenute per questo giudizio che liquida in complessivi euro 750,00.

dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in

Così deciso nella camera di consiglio del 16/10/2013.

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