Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5615 del 13/11/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 5615 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) NICOLI SERGIO, N. IL 6/8/1948,
avverso la sentenza n. 77636/2009 pronunciata dalla Corte di Appello di Roma
del 4/6/2012;
udita la relazione fatta dal Consigliere dr. Salvatore Dovere;
udite le conclusioni del P.G. Dott.

Oscar Cedrangolo, che ha chiesto la

declaratoria di inammissibilità del ricorso;
udite le conclusioni del difensore delle parti civili, avv. Roberto Zannotti, che ha
chiesto il rigetto del ricorso;
udite le conclusioni del difensore dell’imputato, avv. Carlo Zaccagnini, che ha
chiesto l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1.1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Roma ha
confermato la condanna pronunciata dal Tribunale di Roma nei confronti di Nicoli
Sergio, giudicato colpevole del reato di cui all’art. 589 cod. pen., commesso in
qualità di chirurgo pediatrico in danno di Federico Marzocca.
1.2. Secondo la ricostruzione degli accadimenti operata nei gradi di merito e
non contestata dalle parti, salvo quanto si riporterà in prosieguo, il piccolo
Federico, di anni cinque, era stato ricoverato presso l’ospedale S. Camillo di
Roma nella mattina dell’8 luglio 2004 con la diagnosi di dolore addominale per
probabile congestione o indigestione. Nelle ore successive il paziente era stato

Data Udienza: 13/11/2013

visitato da diversi medici che avevano escluso la necessità di intervento
chirurgico (dr. Patti) e diagnosticato una sospetta appendicite (Prof. Paolone).
Alle ore 13 del 9 luglio era stata richiesta una nuova consulenza chirurgica
pediatrica che era stata effettuata dal dr. Ceccherini; essa non conduceva ad una
diversa diagnosi. Alle 16,45 veniva registrata nel diario clinico una notevole
riduzione del dolore addominale. Alle ore 21,30 i dolori erano ripresi e si era
avuto un episodio di vomito, che aveva indotto la pediatra dr.ssa Mazzoli a
richiedere una terza consulenza chirurgica, effettuata questa volta dal dr. Nicoli

e aveva diagnosticato una disidratazione ed emesso una prognosi riservata di
non urgenza chirurgica. Nelle ore successive le condizioni del bambino erano
peggiorate. Alle ore 1,00 del 10 luglio il piccolo aveva avuto un importante
episodio di vomito, con febbre sino a 38/39 gradi. Alle ore 3,00 del 10 luglio il
Nicoli aveva effettuato su richiesta della Mazzoli una seconda consulenza
chirurgica, quando era stato già deciso di far eseguire una Tac. L’esame non
aveva evidenziato occlusioni o invaginazioni del volvolo di Meckel e la radiologa
dr.ssa Bergonzi aveva ritenuto non necessario effettuare un clisma opaco. Alle
ore 8 del 10 luglio il degente veniva sottoposto ad intervento di laparotomia
esplorativa da parte del prof. Calisti che aveva diagnosticato la presenza di un
volvolo delle ultime anse su diverticolo di Meckel con ematoma del tratto
ileocecale. Nonostante il felice esito dell’intervento, il bambino decedeva il 17
luglio a seguito di una insufficienza multiorgano.
A seguito di ciò l’imputazione di omicidio colposo era stata elevata nei
confronti del Ceccherini, del Paolone, della Mazzoli e del Nicoli, tutti condannati
dal Tribunale di Roma. La Corte di Appello, per contro, ha mandato assolti i
primi tre imputati, mantenendo ferma la condanna del Nicoli.
La Corte territoriale ha ritenuto che il Nicoli fosse incorso in colpa non
avendo diagnosticato la sofferenza ischemica dell’intestino, pur in presenza – già
alle ore 22,20 del 9 luglio e ancor più alle ore 1 del 10 luglio – di sintomi di un
quadro con “inequivocabile connotazione chirurgica” (pg. 10). Ricordando quanto
rilevato dai periti (ai quali l’incarico era stato conferito in sede di giudizio di
appello), la Corte distrettuale ha rimarcato come “anche dopo l’esame della Tac il
Nicoli avesse invece escluso la sussistenza di segni di ostacolo patologico o
meccanico e aveva ipotizzato un ileo paralitico su probabile base infettiva”. Dalla
mancata esecuzione di laparotomia esplorativa era conseguita la progressione
dello shock, con prolungato e ripetuto arresto cardiaco, con i conseguenti danni
anossici encefalici irreversibili che avevano portato alla morte cerebrale del
bambino, sopravvissuto sino al 17 luglio 2004.

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alle ore 22,20. Attraverso l’esame il Nicoli aveva rilevato la presenza di fecaloma

2. Ricorre per cassazione nell’interesse dell’imputato il difensore di fiducia
avv. Lucia Zaccagnini.
2.1. Con un primo motivo deduce violazione degli artt. 41 e 589 cod. pen.,
contraddittorietà ed illogicità della motivazione nonchè omessa valutazione di
prove in favore dell’imputato.
L’esponente contesta che in occasione del primo consulto eseguito dal Nicoli
fosse a questi evidente un qualche sintomo rivelatore di un ileo meccanico in
atto; asserisce che in quel momento erano assenti anche il sintomo del vomito

univoci indicatori della patologia ostruttiva, rarissima e in genere interessante i
bambini al di sotto di un anno di età.
Rimarca ancora l’esponente che anche alle ore 1,30 persisteva un quadro di
incertezza clinica e di complessità diagnostica perché il sintomo che si era
presentato era stato costituito dal solo vomito che in quanto caffeano e non
fecaloide non poteva orientare la diagnosi del medico.
Solo alle ore 3,30, con l’effettuazione della Tac, il quadro sintomatologico
aveva deposto per la presenza di un’ostruzione da rimuovere chirurgicamente,
ma il Nicoli era stato tratto in errore dalla radiologa dr.ssa Bergonzi, che aveva
escluso l’ipotesi di ileo meccanico e aveva rifiutato di sottoporre il bambino agli
ulteriori accertamenti richiesti dal Nicoli (clisma opaco).
Si contesta, quindi, evocando quanto trascritto nel diario clinico e la
testimonianza del Prof. Calisti nonché gli esami dell’imputato e della coimputata
Mazzoli, che tra le ore 22,00 del 9.7.2004 e le ore 1,30 del giorno successivo vi
fosse dolore addominale continuo, vomito gastrico-biliare o biliare-fecaloide, alvo
caratterizzato da mancata emissione di feci e gas, distensione dell’addome,
febbre in misura superiore a 38 gradi, così come ritenuto dai periti.
A tal ultimo riguardo viene rilevata la manifesta illogicità della sentenza che
ha ritenuto l’errore indotto dalla Bergonzi come non idoneo ad esimere da
responsabilità il Nicoli mentre ha assolto la Mazzoli perché indotta in errore dal
parere del Nicoli, a sua volta ingannato dalla Bergonzi. Proprio con riferimento al
periodo subito successivo alla esecuzione della Tac, l’esponente rimarca la
sintomatologia tutt’altro che univoca (per la presenza di gas nell’intestino che
sarebbe caratteristico dell’ileo paralitico), che indusse un gruppo di medici, non
solo il Nicoli, ad una strategia di attesa, e il peso decisivo assunto dalla posizione
della Bergonzi, che prospettò la presenza di un ileo paralitico e l’inutilità
dell’effettuazione di un clisma opaco.
Infine, il ricorrente lamenta che la sentenza non ha individuato con
precisione il tipo di intervento che avrebbe garantito la sopravvivenza del
paziente, parlando ora di laparotomia, ora di laparoscopia esplorativa.

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biliare-fecaloide ed il riscontro strumentale dei livelli idroaerei, elementi che sono

2.2. Con un secondo motivo l’esponente deduce violazione di legge e vizio
motivazionale in relazione al nesso di causalità tra condotta ascritta al Nicoli ed
evento.
Ad avviso dell’esponente dagli atti emerge che il minore era afflitto da
invaginazione intestinale intermittente e reversibile nonché da insufficiente
ossigenazione del sangue, patologie che possono averne determinato la morte in
modo del tutto indipendente dall’occlusione intestinale, come dimostrato
dall’esito positivo del’intervento eseguito dal dr. Calisti.

l’esistenza di tali possibili causali alternative, indicate proprio dal teste Calisti ed
ha affermato, peraltro in termini di maggiori probabilità e non di certezza, che
l’intervento chirurgico, se fatto tempestivamente, avrebbe consentito di salvare il
Ma rzocca .
2.3. Con un terzo motivo si deduce violazione di legge e vizio motivazionale
in quanto la decisione non permette di “individuare le motivazioni che hanno
indotto il Collegio a distanziare significativamente il quantum di pena rispetto al
minimo edittale”, avendo peraltro la Corte valutato solo le modalità dell’azione e
la gravità del danno inferto alla persona offesa, senza considerare la natura
dell’azione, le modalità dell’azione, le condizioni individuali e professionali del
reo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. In via preliminare va rilevato che il reato per cui si procede è estinto per
prescrizione. Commesso il 17.7.2004, esso conosce un termine massimo di
prescrizione pari ad anni sette e mesi sei (in forza della disciplina attualmente
vigente, come modificata dalla legge n. 251/2005, da applicare ai sensi dell’art.
2 cod. pen., siccome più favorevole all’imputato). Risulta dagli atti un primo
periodo di sospensione del predetto termine per mesi quattro e giorni 18 ed un
secondo periodo dal 6.3.2008 al 3.4.2008. Pertanto, consta una sospensione del
per complessivi cinque mesi e sedici giorni. Tanto importa che
l’estinzione del reato in parola si è determinata con il decorso del 2.1.2012.
Non emergendo in atti elementi evidenti e palmari di irresponsabilità del
condannato, per una pronuncia nel merito più favorevole ai sensi dell’art. 129 co.
2 cod. proc. pen. deve pronunciarsi l’annullamento della sentenza, senza rinvio.

4.1. Le diffuse argomentazioni svolte dalla Corte territoriale nella pronuncia
impugnata, escludono qualsiasi possibilità di proscioglimento nel merito, ma
anche valgono ad escludere la fondatezza delle censure svolte dal Nicoli, che
sono comunque da esaminare attesa la pronuncia di condanna dello stesso al
risarcimento dei danni in favore delle parti civili.

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Per contro, la Corte di Appello ha omesso di prendere in considerazione

In tema di declaratoria di estinzione del reato, infatti, l’art. 578 cod. proc.
pen. prevede che il giudice d’appello o la Corte di Cassazione, nel dichiarare
estinto per amnistia o prescrizione il reato per il quale sia intervenuta
“condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni
cagionati”, sono tenuti a decidere sull’impugnazione agli effetti dei capi della
sentenza che concernano gli interessi civili; al fine di tale decisione i motivi di
impugnazione proposti dall’imputato devono essere esaminati compiutamente,
non potendosi trovare conferma della condanna al risarcimento del danno (anche

quanto previsto dall’art. 129, co. 2 cod. proc. pen. (Cass. Sez. 6, sent. n. 3284
del 25/11/2009, Mosca, Rv. 245876).
Anche sotto lo specifico profilo ora menzionato le doglianze proposte dal
Nicoli non sono fondate.
4.2. È da osservare, quanto al primo motivo di ricorso, che esso pur
prospettando la contraddittorietà e la manifesta illogicità della sentenza
impugnata, svolge invero censure in fatto, chiedendo a questa Corte di fare
propria una ricostruzione degli eventi difforme da quella definita dai giudici di
merito. Infatti il ricorrente intende veder avallata la tesi secondo la quale sino
all’esecuzione della Tac non erano rilevabili sintomi che deponessero per la
presenza di una occlusione intestinale.
Il dato fattuale emergente dalla decisione è però differente. Come ricordato
dallo stesso ricorrente, i periti nominati dal giudice di seconde cure hanno
affermato che già alle ore 21,30 del 9 luglio il quadro clinico generale e
addominale era notevolmente peggiorato ed era riferibile a un addome acuto da
ischemia intestinale, causa dell’incipiente schock e della necrosi della mucosa;
alle ore 1 del 10 luglio, con l’episodio del vomito caffeano il quadro aveva
assunto una inequivocabile connotazione chirurgica (pg. 10). Inoltre, ha
ricordato ancora la Corte distrettuale, il consulente del P.m., prof. Modini, aveva
affermato che sin dalla prima consulenza chirurgica del Nicoli era emerso un
quadro riconducibile a un volvolo intestinale, e che anche la disidratazione e lo
stato settico erano riconducibili alle fasi tardive del volvolo; quindi ribadiva che la
patologia aveva assunto caratteristiche di gravità alle ore 21,00 del 9 luglio (pg.
13). A tanto l’esponente contrappone una mera negazione, richiamando
contenuti prelevati dal diario clinico.
4.3. La ricostruzione operata dalla Corte di Appello non viene quindi travolta
dalle censure difensive, che neppure invocat’N ‘un travisamento della prova,
astrattamente ammissibile nella specie nonostante la presenza di una cd. ‘doppia
conforme’, per essere stata la perizia collegiale disposta in sede di appello.

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solo generica) dalla mancanza di prova della innocenza degli imputati, secondo

In ogni caso non si tratterebbe di rilievo decisivo, posto che il ricorrente
conviene sul fatto che con l’effettuazione della Tac il quadro sintomatologico
doveva essere necessariamente interpretato come riconducente ad un’ostruzione
da rimuovere chirurgicamente.
La difesa spiegata su tal ultimo punto – dell’essere il Niccoli caduto in errore
diagnostico incolpevole perché determinato dal comportamento della radiologa
dr.ssa Bergonzi – da un verso comprova la mancata contestazione della condotta
colposa attribuita all’imputato e dall’altro risulta infondata, perché, come

parole della radiologa, come correttamente rilevato dalla Corte di Appello. Vale
rammentare, al riguardo, il principio di diritto posto da questa Corte in tema di
attività medica di equipe, alla quale può assimilarsi il concorso di più
professionalità nella attività diagnostica, secondo una distribuzione di compiti
coerente alle specifiche competenze, quale si è verificato nel caso che occupa.
Orbene, si è affermato che in tali casi, ciascuno dei soggetti che si dividono il
lavoro risponde dell’evento illecito, non solo per non aver osservato le regole di
diligenza, prudenza e perizia connesse alle specifiche ed effettive mansioni
svolte, ma altresì per non essersi fatto carico dei rischi connessi agli errori
riconoscibili commessi nelle fasi antecedenti o contestuali al suo specifico
intervento (ex multis, Sez. 4, n. 41317 del 11/10/2007 – dep. 09/11/2007, Raso
e altri, Rv. 237891). E con specifico riferimento alle ipotesi di cooperazione
multidisciplinare nell’attività medico-chirurgica, sia pure svolta non
contestualmente, si è posto il principio per il quale ogni sanitario, oltre che al
rispetto dei canoni di diligenza e prudenza connessi alle specifiche mansioni
svolte, è tenuto ad osservare gli obblighi ad ognuno derivanti dalla convergenza
di tutte le attività verso il fine comune ed unico. Ne consegue che ogni sanitario
non può esimersi dal conoscere e valutare l’attività precedente o contestuale
svolta da altro collega, sia pure specialista in altra disciplina, e dal controllarne la
correttezza, se del caso ponendo rimedio o facendo in modo che si ponga
opportunamente rimedio ad errori altrui che siano evidenti e non settoriali e,
come tali, rilevabili ed emendabili con l’ausilio delle comuni conoscenze
scientifiche del professionista medio (Sez. 4, n. 18548 del 24/01/2005 – dep.
18/05/2005, Miranda ed altri, Rv. 231535; più di recente Sez. 4, n. 46824 del
26/10/2011 – dep. 19/12/2011, Castellano e altro, Rv. 252140).
Né si rinviene qui un vizio della motivazione, come invece vorrebbe il
ricorrente, per aver al suo riguardo negato quanto affermato per la Mazzoli
(valenza dell’errore da altri determinato).
In primo luogo va escluso che la manifesta illogicità o la contraddittorietà
possa trarsi dalla comparazione delle motivazioni relative a due imputati,

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neppure il Nigoli contesta, egli non avrebbe dovuto acquietarsi di fronte alle

assumendo per contro rilievo unicamente i vizi che risultano dal testo della
motivazione e che consistono, rispettivamente, nella frattura logica evidente tra
una premessa, o più premesse nel caso di sillogismo, e le conseguenze che se ne
traggono e nell’incompatibilità tra l’informazione posta alla base del
provvedimento impugnato e l’informazione sul medesimo punto esistente negli
atti processuali.
In secondo luogo va rilevato come la Corte di Appello abbia espressamente
affermato che, avendo evidenziato i periti che un chirurgo addominale deve

eventualmente, dal parere espresso dal radiologo, nel caso di specie le risultanze
della Tac (evidenziazione di livelli idroaerei multipli a carico dell’intestino tenue,
con assenza di aria a carico del colon) erano tali da imporre al Nicoli di non
acquietarsi di fronte alle affermazioni della radiologa.
A tal riguardo è appena il caso di rimarcare che, a differenza di quanto
sostenuto dall’esponente, la lettura della motivazione nella parte concernente la
Mazzocchi evidenzia la coerenza della Corte di Appello nell’applicazione del
principio di diritto sopra rammentato. Infatti il giudice di seconde cure ha escluso
la responsabilità della Mazzocchi proprio perché ella si era ripetutamente attivata
per superare le indicazioni che le erano state date dalla radiologa e dallo stesso
Niccoli.
4.4. Quanto alla efficacia impeditiva del comportamento alternativo lecito
che avrebbe dovuto tenere il Nicoli, la Corte di Appello ha affermato – rifacendosi
a quanto affermato dai periti – che l’intervento chirurgico avrebbe avuto elevate
probabilità di salvare la vita del piccolo qualora tempestivamente eseguito,
individuando il termine ultimo di un utile intervento alle ore 4 del 10 luglio (cfr.
pg . 14 e 17). Di nessun pregio il rilievo difensivo secondo il quale la Corte di
Appello avrebbe menzionato ora la laparoscopia esplorativa ora la laparotomia
esplorativa: non vi è alcun dubbio che l’indicazione terapeutica era per
l’intervento chirurgico.
4.5. L’esistenza di cause alternative del decesso del piccolo Marzocca è
meramente asserita dall’esponente, il quale peraltro rammenta che i periti
esclusero la presenza di quella invaginazione intestinale (cfr. pg . 14, u.c.), alla
quale egli pure si richiama per ipotizzare un insussistente obbligo di motivazione
violato dalla impugnata sentenza. Si tratta quindi di mera congettura, che la
Corte di Appello non aveva alcun obbligo di considerare, avendo essa
correttamente definito il tema dell’accertamento del nesso di condizionamento
evidenziando il complesso degli elementi che, sulla base di quanto evidenziato
dall’attività istruttoria, sostengono l’attribuzione dell’evento alla condotta colposa
del Nicoli.

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necessariamente essere in grado di interpretare la Tac e di dissentire,

5. Segue al rigetto del ricorso ai fini civili la condanna del ricorrente a
rimborsare alla parte civile Marzocca Roberto le spese sostenute per questo
giudizio, che liquida in euro 2.500,00, oltre accessori come per legge.

P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata senza rinvio agli effetti penali perché il reato è
estinto per prescrizione.

civile Marzocca Roberto le spese sostenute per questo giudizio, che liquida in
euro 2.500,00, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 13.11.2013.

Rigetta il ricorso ai fini civili AI condanna de,ericorrente a rimborsare alla parte

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