Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5613 del 13/11/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 5613 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) MAKHALDAINI GAGA, N. IL 18/7/1976,
avverso la sentenza n. 515/2009 pronunciata dalla Corte di Appello di Firenze
del 6/6/2011;
udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Salvatore Dovere;
udite le conclusioni del P.G. Dott. Oscar Cedrangolo, che ha concluso per la
declaratoria di inammissibilità del ricorso per manifesta infondatezza;
udite le conclusioni del difensore, avv. Gregorio Equizi, in sostituzione dell’avv.
Fabio Tezzi, che si è riportato ai motivi chiedendo l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Firenze ha
riformato la condanna pronunciata nei confronti di Makhaldiani Gaga dal
Tribunale di Grossetto, sezione distaccata di Orbetello, escludendo l’aggravante
di cui all’art. 625, n. 4 cod. pen., confermando peraltro la pena inflitta dal primo
giudice. Nei giudizi di merito è stato pertanto accertato che l’imputato si era
impadronito di merce esposta nell’esercizio commerciale ‘Ottica Talluto’.
2. Avverso tale decisione ricorre per cassazione l’imputato a mezzo del
difensore di fiducia, avv. Fabio Tezzi, che con un primo motivo deduce la
violazione di legge, in relazione al rigetto della richiesta di declaratoria di
improcedibilità dell’azione penale per difetto di querela, essendo stata questa
proposta da soggetto non legittimato, trattandosi della signora Vichi Daniela,

Data Udienza: 13/11/2013

qualificatasi come ‘associata in partecipazione del negozio’ e preposta alla
vendita. In quanto né responsabile del negozio né delegata dal proprietario a
sporgere querela, la Vichi non poteva decidere al riguardo, come reso manifesto
anche dall’affermazione fatta in dibattimento dalla teste, che richiesta se
intendeva rimettere la querela rispondeva che avrebbe dovuto consultarsi con il
titolare.
Con un secondo motivo si deduce violazione di legge in relazione agli artt.
109, 143 e 178 cod. proc. pen., lamentando che la Corte di Appello ha rigettato

domicilio e nomina del difensore di fiducia per omessa traduzione dell’atto in
lingua conosciuta dall’imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è infondato.
3.1. Quanto al primo motivo, il tema proposto dal ricorrente risulta di
recente definito dalle Sezioni Unite di questa Corte, le quali hanno ritenuto che il
bene giuridico protetto dal delitto di furto è individuabile non solo nella proprietà
o nei diritti reali personali o di godimento, ma anche nel possesso – inteso come
relazione di fatto che non richiede la diretta fisica disponibilità – che si configura
anche in assenza di un titolo giuridico e persino quando esso si costituisce in
modo clandestino o illecito, con la conseguenza che anche al titolare di tale
posizione di fatto spetta la qualifica di persona offesa e, di conseguenza, la
legittimazione a proporre querela (Sez. U, n. 40354 del 18/07/2013 – dep.
30/09/2013, Sciuscio, Rv. 255975). Nella motivazione il S.C. si è preoccupato di
chiarire quale siano i contenuti della relazione qualificata che vale a costituire
anche la persona che ne è termine soggettivo come persona offesa del reato e
quindi legittimata a presentare la querela: “Quando ci si sofferma a cogliere il
tratto essenziale della figura di cui ci si occupa (il possesso penalistico) vi si
scorge una relazione di fatto autonoma, una signoria di fatto che consente di
fruire e disporre della cosa in modo indipendente, al di fuori della sfera di
vigilanza e controllo di una persona che abbia su di essa un potere giuridico
maggiore. Tale autonomia può essere definita in termini negativi: non vi è
signoria di fatto del dominus, né altrui custodia o vigilanza. Entro tale ordine
concettuale, conviene ripeterlo, si usano in una peculiare accezione penalistica i
termini possesso e possessore. … Il possesso penalistico di cui si parla non è
necessariamente caratterizzato da immediatezza, a differenza di quello civilistico
che, come è noto, può configurarsi anche per mezzo di altra persona. Esso,
peraltro, non implica necessariamente una relazione fisica con il bene. E’
concepibile pure il possesso a distanza, quando vi sia possibilità di ripristinare ad
libitum il contatto materiale; o anche solo virtuale, quando vi sia effettiva

2Q

l’eccezione di nullità del verbale di elezione di identificazione, elezione di

possibilità di signoreggiare la cosa. Per ripetere un antico ed efficace esempio, il
possessore della valigia rimane tale anche se essa è nelle mani del portabagagli
che è, invece, mero detentore…. Per quel che qui maggiormente interessa, la
qualificata relazione di fatto di cui si parla può assumere diverse sfumature, che
comprendono senz’altro il potere di custodire, gestire, alienare il bene. Essa,
dunque, si attaglia senz’altro alla figura del responsabile dell’esercizio
commerciale che, conseguentemente, vede vulnerati i propri poteri sul bene; ed
è perciò persona offesa, legittimata alla proposizione della querela”.

‘associata in partecipazione del negozio di ottica’ ed altresì preposta alle vendita.
La Corte di Appello, pertanto, nel replicare al rilievo mosso dall’appellante ha
fatto corretta applicazione del dato normativo, ponendosi nella linea
interpretativa avallata dalle Sezioni unite con la decisione sopra ricordata.
3.2. Parimenti destituito di fondamento è il secondo motivo.
Premesso che, in relazione alla natura dell’atto in rapporto al quale si
avanza la censura, a venire in considerazione è il diritto di farsi assistere da un
interprete e non già quello di ricevere una traduzione scritta dell’atto, occorre
rilevare che ogni disamina in punto di diritto è resa inutile dalla circostanza,
emergente dalla lettura della sentenza impugnata, per la quale all’indagato
venne invero nominato un interprete. Sicchè il motivo muove da premesse non
rispondenti alle emergenze processuali.

4. Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 13/11/2013.

Nel caso che occupa la querelante viene indicata nella sentenza quale

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