Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5608 del 19/11/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 5608 Anno 2015
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
Salerno Giuseppe, nato a San Fratello il 06/11/1965
avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Patti, sezione distaccata di
Sant’Agata Militello, il 06/06/2013
visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Gioacchino Izzo, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del
ricorso;
udito per la parte civile non ricorrente l’Avv. Salvatore Caputo, il quale ha
concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso

RITENUTO IN FATTO
Il difensore di Giuseppe Salerno ricorre avverso la pronuncia indicata in
epigrafe, recante la conferma della sentenza di condanna emessa a carico del
suo assistito dal Giudice di pace di Sant’Agata Militello in data 20/02/2012;

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Data Udienza: 19/11/2014

l’imputato risulta essere stato condannato a pena ritenuta di giustizia per i reati
di ingiuria e minaccia, in ipotesi commessi in danno di Giovanni Magrì.
Con l’odierno ricorso, la difesa lamenta erronea applicazione dell’art. 594
cod. pen., invocando l’esimente del diritto di critica: nel caso di specie, la
condotta era stata realizzata dal Salerno, consigliere comunale di Acquedolci, nei
confronti di un agente della Polizia Municipale ivi in servizio, dolendosi della
omissione di controlli ed accertamenti su presunte discariche presenti in zona, e
stigmatizzando l’uso eccessivo dell’auto di servizio da parte del Magrì, per fini

Nell’interesse del ricorrente si deduce altresì mancanza, contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata relativamente
alla ritenuta configurabilità del delitto di minaccia, atteso che la decisione
sembra da un lato reputare non necessaria la determinatezza del male
minacciato e l’effettività dell’intimidazione, dall’altro affermare l’esatto opposto.
In ogni caso, nella fattispecie concreta alle frasi che sarebbero state pronunciate
(“ti faccio mandare a casa” e “denunciami e vedrai cosa succede”) non venne
certamente dato seguito, escludendosi così per tabulas la ravvisabilità di una
possibile, concreta intimidazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve reputarsi inammissibile, per manifesta infondatezza dei
motivi di doglianza.
Quanto alla dedotta causa di giustificazione, la tesi della difesa è che «le
espressioni adoperate dal Salerno nei confronti del Magrì […] perfettamente si
inseriscono in un contesto di pubblico interesse, ove il fine ultimo perseguito
dall’odierno ricorrente non era altro che quello di garantire il buon andamento e
il corretto funzionamento dell’attività svolta dalla Polizia Municipale, in virtù
proprio del mandato fiduciario che la collettività di Acquedolci aveva conferito al
signor Salerno Giuseppe»; tuttavia, è proprio il richiamo alle frasi concretamente
pronunciate dall’imputato, prima ancora che allo scopo avuto di mira, a
sconfessare in radice la sostenibilità dell’assunto. Lungi dal potersi discutere di
un semplice modo espressivo «aspro e pungente», come pure si legge nel corpo
del ricorso, nel caso in esame ci si trova dinanzi ad epiteti ex se gravemente
offensivi e denigratori, ed è ineccepibile l’osservazione della Corte territoriale
secondo cui la portata aggressiva degli stessi eccede tout court i limiti della
continenza; non a caso, nella ricostruzione dei fatti il difensore del Salerno
richiama il capo d’imputazione in termini genericamente riferiti ai beni giuridici

2

personali.

..
che si assumono lesi, senza ricordare (fra l’altro) che alla persona offesa erano
stati rivolti gli appellativi di “stronzo” e “facchino”.
Non è poi dato riscontrare alcun profilo di contraddittorietà nell’impianto
motivazionale della decisione censurata, con riguardo alla contestata minaccia:
un conto è infatti parlare di reali e necessari effetti intimidatori della condotta,
che ben può sussistere in ragione delle modalità della stessa, tutt’altro è che il
male ingiusto paventato abbia o meno carattere di determinatezza; ed è
altrettanto innegabile che ai fini della ravvisabilità del delitto ex art. 612 cod.

vuoi se ventilato in termini allusivi, sia stato realizzato in concreto.
2. Non è pertanto possibile ritenere maturata la prescrizione del reato
addebitato al ricorrente. La causa estintiva, in vero, risulta essersi perfezionata
il 06/01/2014, dopo la pronuncia di secondo grado (dovendosi tenere conto di
cause di sospensione dei relativi termini, nel corso del giudizio di merito, per
complessivi mesi 1 e giorni 15); e, per consolidata giurisprudenza di questa
Corte, un ricorso per cassazione inammissibile, per manifesta infondatezza dei
motivi o per altra ragione, «non consente il formarsi di un valido rapporto di
impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause
di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen.» (Cass., Sez. U, n. 32 del
22/11/2000, De Luca, Rv 217266, relativa appunto ad una fattispecie in cui la
prescrizione del reato era maturata successivamente alla sentenza impugnata
con il ricorso; v. anche, negli stessi termini, Cass., Sez. IV, n. 18641 del
20/01/2004, Tricomi).

3. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna del Salerno al
pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità, in quanto riconducibile alla
volontà del ricorrente (v. Corte Cost., sent. n. 186 del 13/06/2000) – al
pagamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di € 1.000,00,
così equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti.
L’imputato deve essere altresì condannato a rifondere le spese sostenute
dalla parte civile nel presente giudizio di legittimità, che il collegio reputa equo
liquidare – in ragione dell’impegno professionale richiesto al patrocinatore dalla
complessità del processo e delle attività conseguentemente svolte – nella misura
di cui al dispositivo.

P. Q. M.

pen. non si richieda affatto che quel male, vuoi se specificamente prospettato

Dichiara inammissibile il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende, nonché al rimborso delle spese sostenute dalla parte civile, liquidate
in € 1.600,00, oltre accessori come per legge.

Così deciso il 19/11/2014.

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