Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5605 del 13/12/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 5605 Anno 2014
Presidente: BEVERE ANTONIO
Relatore: SAVANI PIERO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CASSA DI RISPARMIO TERAMO SPA (IN PERSONA DELL’AVV.
DI AMATO ASTOLFO)
avverso l’ordinanza n. 317/2013 TRIB. LIBERTA’ di ROMA, del
05/07/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott.2 eEZSCNI;
letit&sentite le conclusioni del PG Dott.

Data Udienza: 13/12/2013

IN FATTO E DIRITTO
La Cassa di Risparmio della Provincia di Teramo s.p.a. (in seguito TERCAS) aveva proposto richiesta di riesame avverso il decreto del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma in data 15 giugno 2012, con cui era stato ordinato il sequestro preventivo della somma di
€.8.185.403 nei confronti della TERCAS, in quanto considerato profitto dei reati di bancarotta
fraudolenta e preferenziale e di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, ipotizzati
come commessi da dirigenti dell’istituto di credito in concorso con DI MARIO Raffaele, RONZIO Paola e CAPASSO Lucio, rispettivamente legali rappresentanti della Dimafin s.r.l. e della
Dima Costruzioni s.p.a., dichiarate fallite dal Tribunale di Roma con sentenza del 29 marzo
2011, e della Stone & Project s.r.l.
Tale richiesta, con provvedimento in data 9 luglio 2012 del Tribunale del riesame, definitivo in
data 11 gennaio 2013, era stata dichiarata inammissibile, siccome proposta da terzo estraneo al
reato in mancanza della necessaria procura speciale,.
Con successiva istanza presentata dal procuratore speciale e difensore della TERCAS l’Istituto di
credito chiedeva al competente G.I.P. il dissequestro delle somme sottoposte al vincolo e, essendo stata rigettata l’istanza relativa con provvedimento datato 10 aprile 2013, proponeva appello
al Tribunale distrettuale ai sensi dell’art. 322bis c.p.p.
Il Tribunale di Roma, con ordinanza datata 5 luglio 2013, ha rigettato l’appello e la banca TERCAS propone ai sensi dell’art. 325 c.p.p. ricorso per cassazione avverso tale provvedimento deducendo con unico motivo la violazione dell’art. 321 c.p.p. e la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento nella parte in cui non aveva considerato che la sottoposizione della
Banca all’amministrazione straordinaria, gestita da organi nominati dall’Autorità Pubblica, avrebbe garantito la corretta gestione anche dei fondi de quibus, ove liberati dal vincolo.
Con memoria e motivi aggiunti rileva omissione di motivazione sul periculum in mora essendo
la motivazione dell’ordinanza meramente apparente.
Il ricorso è inammissibile.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (cfr. per tutte Sez. V, n. 35532 del 25/6/2010)
in tema di riesame delle misure cautelali, il ricorso per cassazione per violazione di legge, a
norma dell’art. 325, comma primo, c.p.p., può essere proposto solo per mancanza fisica della motivazione o per la presenza di motivazione apparente, ma non per mero vizio logico della stessa
(conf: n. 5302/2004, Rv. 227095; n. 8434/2007, Rv. 236255; n. 7472/2009; Rv. 242916; Sezioni
Unite: n. 5876/2004 Rv. 226710). Il ricorso, nella sua veste originaria ed anche nel suo modificarsi con motivi aggiunti, pur nella formale proposizione di doglianze che appaiono ricondotte a
violazioni di legge si duole in sostanza del contenuto della motivazione dell’ordinanza in materia
di periculum in mora, laddove, peraltro, il provvedimento impugnato affrontava l’unico argomento in sostanza proposto dal ricorrente, e riproposto nell’attuale impugnazione, e cioè il fatto
che la sottoposizione ad amministrazione straordinaria della Banca avrebbe escluso in radice ogni possibilità di dispersione di quei fondi.
Al contrario di quanto ritenuto dal ricorrente, il Tribunale di appello ha affrontato la questione
evidenziando come il fatto stesso della liberazione da ogni vincolo delle somme in sequestro avrebbe frustrato ogni possibilità di recupero delle somme che nulla, se non affermazioni
dell’appellante sfornite di concretezza, avrebbe garantito venissero mantenute a disposizione per
la confisca.
E tale motivazione appare al Collegio, per la situazione rappresentata dalla Banca ai giudici del
merito, del tutto logica e sufficiente soprattutto se collegata all’ampia evidenziazione delle operazioni illecite che avevano portato alla creazione delle disponibilità oggetto della cautela.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 C.P.P., la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese del procedimento e — per i profili di colpa correlati all’irritualità
dell’impugnazione — di una somma in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di E. 1.000,00# in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma il 13 dicembre 2013.

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