Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5602 del 19/11/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 5602 Anno 2015
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: POSITANO GABRIELE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
REITANO SANTO N. IL 03/07/1963
avverso la sentenza n. 817/2010 CORTE APPELLO di CATANIA, del
30/01/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 19/11/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 19/11/2014

Il Procuratore generale della Corte di Cassazione, dr Gioacchino Izzo, conclude chiedendo
l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione
Per la parte civile è presente l’Avvocato Enrico Trantino, il quale conclude chiedendo
l’inammissibilità del ricorso. Deposita nota spese.
Per il ricorrente è presente l’Avvocato Ettore Randazzo, il quale chiede l’accoglimento del
ricorso.

1. Il difensore di Reitano Santo propone ricorso per cassazione contro la sentenza emessa,
in data 30 gennaio 2013, dalla Corte d’Appello di Catania, con la quale si confermava la
decisione del Tribunale di Catania, del 15 luglio 2000, con la quale l’imputato era stato
condannato per i reati di cui agli articoli 56 e 610 del codice penale (capo A) e 586 e
590, secondo comma, codice penale, in relazione all’articolo 583, primo comma, n. 1,
codice penale (capo B). In particolare, la Corte d’Appello ha confermato la decisione del
Tribunale di condanna dell’imputato per avere tentato di costringere Sangiorgi Cristina a
seguirlo nel locale scantinato del punto vendita Snna e per avere cagionato, alla
medesima parte offesa, quale conseguenza non voluta, lesioni personali gravi. La
vicenda prendeva le mosse da un episodio, verificatosi la mattina del 24 agosto 2005,
quando la persona offesa, cassiera presso il supermercato Sma, abbandonava la propria
posizione per recarsi in pausa, senza avvisare il direttore Reitano. Richiamata da
quest’ultimo, la persona offesa lo invitava a recarsi verso lo scantinato del
supermercato per discutere, in privato, della questione sulle scale.
2. Il giudice di secondo grado ha confermato la valutazione di attendibilità della
ricostruzione dei fatti operata dalla persona offesa, che ha dichiarato di essere stata
trascinata giù per le scale dall’imputato e che, nel tentativo di divincolarsi, si sarebbe
provocata dalle lesioni personali, superando i rilievi della difesa relativi al differente
contenuto delle dichiarazioni rese da tre testimoni presenti il giorno dei fatti, che
avrebbero reso dichiarazioni contrastanti con la ricostruzione operata dai giudici di
merito.
3. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione la difesa dell’imputato
lamentando:

vizio di motivazione riguardo alla errata valutazione del contenuto delle dichiarazioni
rese dai testi della difesa dell’imputato;

violazione di legge e vizio di motivazione riguardo alla sussistenza dei reati contestati
per l’assenza di un contatto fisico, tra l’imputato e la persona offesa e per la
insussistenza del dolo;
‘-),

RITENUTO IN FATTO

mancata assunzione di una prova decisiva costituita dall’escussione di due testi;

vizio di motivazione riguardo alla valutazione rigorosa di attendibilità della persona
offesa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La sentenza impugnata non merita censura.

prescrizione è maturato alla data del 5 agosto 3013, ma l’inammissibilità del ricorso per
cassazione per manifesta infondatezza dei motivi, non consentendo il formarsi di un
valido rapporto di impugnazione, preclude la possibilità di dichiarare le cause di non
punibilità di cui all’art. 129 cod. proc. pen., ivi compresa la prescrizione intervenuta
nelle more del procedimento di legittimità (Sez. 2, n. 28848 del 08/05/2013 – dep.
08/07/2013, Ciaffoni, Rv. 256463).
2. Con il primo motivo la difesa lamenta vizio di motivazione riguardo alle dichiarazioni
rese dai testi della difesa del imputato, evidenziando che, contrariamente a quanto
affermato nella sentenza impugnata, i testimoni Ursino e Russo, non avevano assistito
solo alla fase antecedente a quella in cui l’imputato e la vittima si erano recati negli
scantinati, ma hanno riferito di avere assistito alla discussione dal momento iniziale. Il
teste D’Emanuele, inoltre, ha reso una deposizione in totale contrasto con le
dichiarazioni della persona offesa.
3. Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione riguardo alla
sussistenza dei reati contestati, attesa la mancata dimostrazione dell’esistenza di un
contatto fisico, tra l’imputato e la persona offesa e l’omessa valutazione della
sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, quanto meno sotto il profilo della
prevedibilità dell’evento non voluto.

1. Preliminarmente, rileva la Corte che per i reati oggetto di condanna il termine di

4. Con il terzo motivo lamenta la mancata assunzione di una prova decisiva, chiesta dalla
difesa con riferimento all’escussione di due testi che avrebbero contribuito a valutare la
credibilità della versione dei fatti fornita dall’imputato e l’attendibilità della persona
offesa, riferendo condotte tenute in circostanze analoghe.
5. Con l’ultimo motivo la difesa deduce il vizio di motivazione riguardo all’attendibilità della
persona offesa, la cui dichiarazione non è stata sottoposta a un vaglio rigoroso, al fine
di verificare l’esistenza di motivi di rancore nei confronti dell’imputato, in considerazione
del successivo licenziamento della persona offesa, senza considerare quanto riferito dai
testi Ursino e Russo riguardo ai toni della discussione.

6.2/

6. Il primo, secondo e quarto motivo possono essere trattati congiuntamente riguardando
la valutazione del materiale probatorio e l’attendibilità delle dichiarazioni della persona
offesa, sulla base delle dichiarazioni testimoniali in atti e del ruolo e dell’atteggiamento
della persona offesa nella vicenda per cui è processo.
7. Le censure sono inammissibili, siccome attinenti a questioni prettamente di merito,
quale, notoriamente è quella riguardante la valutazione delle risultanze processuali, che
si sottrae al sindacato di legittimità ogni qualvolta, come nel caso di specie, sia assistita

l’apprezzamento delle dichiarazioni di accusa della persona offesa, prudentemente
vagliate nella loro credibilità ed attendibilità, sulla base dei parametri di giudizio che,
per indiscusso insegnamento di questa Corte di legittimità, devono presiedere alla
relativa valutazione. In ragione della particolare delicatezza della vicenda il giudice di
appello si è fatto carico anche della ricerca di elementi di riscontro, puntualmente
indicati nel contesto motivazionale. In conclusione, l’insieme giustificativo non appare
affetto da errori di diritto od incongruenze di alcun genere, offrendo una complessiva
valutazione della vicenda conforme agli ordinari canoni di ragionevolezza e plausibilità,
in piena aderenza alle risultanze di causa. Le pretese incongruenze nelle quali sarebbe
incorsa la persona offesa nell’esame dibattimentale ovvero i riferimenti testimoniali non
apprezzati dal giudice di appello, così come ribaditi nella discussione in udienza, non
appaiono dotati di coefficiente di decisività tale da inficiare il complessivo giudizio di
attendibilità e da scardinare il costrutto logico-argomentativo della sentenza impugnata,
che, nell’indicare le emergenze di causa dotate di valenza probatoria a sostegno della
statuizione di colpevolezza, ha operato, come si conviene, una valutazione selettiva
degli elementi probatori, utilizzando le risultanze ritenute univocamente sintomatiche
nella recepita prospettazione accusatoria, offrendo al riguardo giustificazione logica ed
adeguata che, reca in sè, l’implicito apprezzamento di influenza od irrilevanza di ogni
altro elemento di segno contrario. Ciò che rileva è che la conclusiva ricostruzione della
vicenda risulti logica e congrua, oltre che giuridicamente corretta, ed a siffatto rilievo
estrinseco deve arrestarsi il sindacato di legittimità. È appena il caso di ribadire,
dunque, che questo Giudice non è chiamato a stabilire se la decisione di merito
proponga la migliore ricostruzione dei fatti, ne’ deve condividerne la giustificazione, ma
deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune
e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento, secondo una ricorrente
formula giurisprudenziale (cfr., tra le tante,

eig4 Cass. Sez. 4, n. 4842 del 2.12.2003,

rv. 229369).
8. Quanto alle prospettate incongruenze con le dichiarazioni rese dai testi della difesa è
sufficiente rilevare che, dal tenore del verbale di udienza, emerge che le dichiarazioni
del teste D’Emanuele non sono incompatibili con la versione riferita dalla persona

da motivazione congrua e formalmente corretta. Ineccepibile, in particolare, risulta

offesa, poiché sussiste una zona d’ombra nella ricostruzione in cui il teste, di spalle, non
ha la possibilità di seguire l’incedere, lungo i gradini, dei due protagonisti della vicenda,
rendendo ragionevole l’ipotesi, ritenuta di fatto dai giudici di merito, che la Sangiorgi si
sia ferita in quel frangente. Quanto alle dichiarazioni dei testi Ursino e Russo, si tratta di
deposizioni dai contorni decisamente più sfumati e meno precisi, soprattutto con
riferimento alle dichiarazioni del primo. Infine, con specifico riferimento alla prima
censura, il motivo è inammissibile anche perché la difesa deposita, a sostegno del

la valutazione dei giudici di merito va riferita al contenuto di tali dichiarazioni e non di
quelle precedenti allegate al ricorso. Le considerazioni che precedono rendono
manifestamente infondata la generica ed astratta censura relativa alla carenza
dell’elemento soggetti del reato.
9. Manifestamente infondato è, infine, il terzo motivo poiché la stessa prospettazione
difensiva evidenzia che la prova richiesta, la cui mancata assunzione è deducibile come
motivo di ricorso per cassazione, non presenta nessuno dei caratteri della decisività e
cioè quelli propri della prova che, non assunta o non valutata, vizia la sentenza
intaccandone la struttura portante (Sez. 3, Sentenza n. 27581 del 15/06/2010 Ud.
(dep. 15/07/2010) Rv. 248105).
10.Secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale per “prova decisiva”, la cui mancata
assunzione è denunciabile con apposito motivo di ricorso per cassazione, deve
intendersi solo quella che, ove esperita, avrebbe determinato una diversa decisione
(Sez. 6, Sentenza n. 14916 del 25/03/2010 Ud. (dep. 19/04/2010) Rv. 246667).
11.E’ evidente che l’escussione di testi che avrebbero potuto contribuire a valutare la
credibilità della versione dei fatti fornita dall’imputato e dalla persona offesa, riferendo
condotte tenute da quest’ultima in circostanze analoghe, non esprime, in alcun modo, la
certezza della decisivita’ della prova ai fini del giudizio e dell’idoneita’ dei fatti che ne
sono oggetto ad inficiare le ragioni poste a base del convincimento manifestato dal
giudice (cfr. Cass. Penale sez. sez. 2^, 16354/2006, rv. 234752, Maio; 2380/1995 rv.
200980)”.
12.In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile ed alla pronuncia consegue ex art.
616 cod. proc. pen, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali,
nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, in
ragione delle questioni dedotte, appare equo determinare in euro 1.000,00. Del pari, il
ricorrente va condannato alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel
giudizio di legittimità, che, in relazione all’attività svolta, vengono liquidate in euro
1600, oltre accessori di legge.

ricorso, copia di atti non utilizzabili, poiché i testi sono stati ascoltati in dibattimento e

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende e condanna il ricorrente alla
rifusione delle spese sostenute, nel grado, dalla parte civile che liquida in euro 1.600,00 oltre
accessori come per legge.

Così deciso in Roma il 19/11/2014

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