Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 560 del 30/10/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 560 Anno 2014
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: BRUNO PAOLO ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da

GHIRARDINI Luciano, nato ad Aversa il 23/05/1987

avverso l’ordinanza dell’08/05/2013 del Tribunale di Napoli, quale giudice del
riesame.

visto il ricorso, gli atti e l’ordinanza impugnata;
udita la relazione del Consigliere dr. Paolo Antonio BRUNO.
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dr.
Carmine Stabile, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
sentiti, altresì, gli avv. Fabrizio Merluzzi e Carmine D’Aniello, che hanno chiesto
l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 18/06/2012 il Tribunale del riesame di Napoli annullava la
misura della custodia cautelare in carcere disposta dal Gip di quello stesso Tribunale

Data Udienza: 30/10/2013

il 18/04/2013 nei confronti di Luciano Ghirardini, indagato per il reato di
partecipazione ad associazione per delinquere di stampo mafioso denominato “clan
dei casalesi”, e segnatamente alla fazione facente capo a Raffaele Bidognetti,
denominato “gruppo misto”. Ad avviso del giudice del riesame, le dichiarazioni dei
collaboratori di giustizia (Diana Francesco, Barone Michele e Cocchi Alessandro) non
integravano un quadro indiziario idoneo in quanto, pur convergenti nell’indicazione
dell’appartenenza dell’indagato al sodalizio delinquenziale, operante nel settore

Pronunciando sul ricorso per cassazione proposto dal Procuratore della
Repubblica presso il Tribunale di Napoli, questa Corte di legittimità, Sezione Prima,
annullava l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Napoli.
Rilevava questa Suprema Corte che il compendio dichiarativo dei collaboratori di
giustizia, così come riportato nel testo impugnato, non era logicamente
riconducibile a “generiche attestazioni di appartenenza a sodalizio mafioso”
dell’indagato Luciano Ghirardini, ma appariva, invece, caratterizzati”‘ da
indicazioni specifiche in ordine al ruolo da lui svolto quale addetto alle estorsioni e
beneficiario di stipendio corrisposto dal gruppo malavitoso di appartenenza.
L’ordinanza era, dunque, annullata perché il giudice del riesame provvedesse a
nuova valutazione della sussistenza di gravi indizi in ordine al contestato delitto
associativo attraverso un esauriente apprezzamento del contenuto complessivo
delle dichiarazioni rese dai collaboratori, esteso anche ai passaggi dichiarativi in cui
vengono riferite “condotte, comportamenti o fatti specifici” ascritti all’indagato
Ghirardini Luciano.

2. Provvedendo in sede di rinvio, il Tribunale di Napoli, con l’ordinanza indicata
in epigrafe, accoglieva il gravame, confermando l’ordinanza emessa dal Gip di
quello stesso Tribunale il 18/04/2013, con consequenziali statuizioni.

3. Avverso la pronuncia anzidetta il difensore dell’indagato, avv. Fabrizio
Merluzzi, ha proposto ricorso per cassazione, affidato alle ragioni di censura indicate
in parte motiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con unico motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia mancanza o mera
apparenza della motivazione, in violazione degli artt. 273 e 275 cod.proc.pen., sul
rilievo che il giudice del rinvio, disattendendo, sostanzialmente, il

dictum del

Supremo Collegio, non aveva proceduto a rigorosa valutazione delle propalazioni
accusatorie dei collaboratori di giustizia, omettendo di rilevare la contraddittorietà e
lacunosità dei fatti riferiti e, dunque, la loro inidoneità ad essere ricondotti al
2

delle estorsioni, erano prive di riferimenti a fatti specifici.

paradigma tipico del reato associativo. Non era stata, inoltre, rilevata la mancanza
di riscontri specifici e non era stato tenuto conto delle dichiarazioni di altri
collaboratori, ben più recenti di quelli indicati nell’ordinanza impugnata, che
escludevano dal novero degli affiliati il Ghirardini, sia pure con lo pseudonimo
Luciano Moia. Si trattava di ben dieci collaboratori arrestati fra l’estate del 2009 e
l’ottobre del 2010 (dunque in epoca successiva alla propalazione dei tre indicati a
sostegno dell’ordinanza impugnata), che pur essendo intranei al sodalizio

escluso di conoscerlo, benché avessero persino riferito di episodi estorsivi commessi
da loro stessi in concorso, così smentendo proprio il ruolo apparentemente
attribuito al ricorrente nella generica dichiarazione del Diana Tammaro. Era stata,
inoltre, omessa ogni valutazione sull’osservazione difensiva con riferimento alle
dichiarazioni accusatorie dello stesso Diana, che, dopo aver riconosciuto tutti gli
affiliati del gruppo di Lusciano, con specifica indicazione del rapporto ricorrente con
gli stessi ed i reati commessi in concorso tra loro, aveva escluso di aver conosciuto
il Ghirardini del quale gli era stata mostrata la foto. Nulla era stato detto, infine, in
ordine al rilievo difensivo circa la mancanza del nominativo del ricorrente – sia pure
nello pseudonimo Moia – nell’elenco degli affiliati del gruppo di Lusciano, rinvenuto
al momento dell’arresto di Setola Giuseppe, ritenuto esponente di vertice della
consorteria delinquenziale. Non si trattava, allora, di una diversa lettura o di
interpretazione degli atti, ma della gravissima frattura motivazionale che, dopo aver
selezionato alcuni generici elementi senza neppure l’indicazione delle ragioni della
loro concludenza,

deselezionava

quelli di segno opposto semplicemente

condannandoli all’oblio dell’assenza.

2. Il ricorso é infondato e non può, quindi, trovare accoglimento. Ed invero, la
struttura motivazionale del provvedimento impugnato non merita le censure di
parte in quanto, in piena aderenza al

dictum di queta Corte regolatrice, nella

pronuncia rescindente indicata in premessa, ha proceduto alla richiesta rivisitazione
del compendio investigativo, segnatamente delle propalazioni accusatorie dei
collaboratori di giustizia, che non si erano limitati ad una generica indicazione di
appartenenza dell’indagato al sodalizio mafioso, ma avevano pure indicato elementi
specifici in ordine al ruolo dallo stesso svolto in seno alla detta consorteria,
specialmente nel settore delle estorsioni, indicandolo, altresì, come precettore di
stipendio da parte della stessa consorteria. Le anzidette, plurime, dichiarazioni,
convergendo nel nucleo essenziale dell’accusa, rappresentato dalla partecipazione
mafiosa, con il corredo di indicazioni specifiche, al di là di discrasie reputate
marginali, sono state ritenute di tale valenza dimostrativa da integrare una
piattaforma indiziaria dotata del necessario coefficiente di gravità ai fini della
legittimità del titolo di custodia cautelare.
3

delinquenziale di Lusciano (quello cui sarebbe appartenuto l’indagato) avevano

È appena il caso di notare, al riguardo, che non compete a questo Giudice di
legittimità la verifica del reale spessore indiziario delle anzidette propalazioni
accusatorie, in quanto il relativo esame deve, istituzionalmente, limitarsi ad una
verifica

ab extrinseco

della compiutezza e coerenza logica dell’impianto

giustificativo, che ha ritenuto sussistenti i gravi indizi in funzione di qualificata
probabilità di colpevolezza a carico dell’imputato. Per quanto si è detto, nel caso di
specie il collaudo di legittimità, in funzione soprattutto della verifica

largamente positivo.
Vanno, infine. disattese le censure in ordine alla mancata considerazione del
contrario apporto dichiarativo riveniente da più recenti collaborazioni di giustizia o
della circostanza che nell’elenco degli affiliati al clan di Lusciano, in occasione
dell’arresto di un esponente di rilievo della detta consorteria, non sia stato
rinvenuto il nominativo del Ghirardini né dello pseudonimo con cui è noto in ambito
malavitoso. Non risulta, infatti, che le dette circostanze, non apprezzabili in questa
sede, siano state sottoposte al vaglio del giudice del rinvio, in adempimento di
onere di allegazione imposto dalla regola dell’autosufficienza del ricorso, restando
inteso che le dette circostanze potranno pur sempre essere addotte a sostegno di
eventuale istanza di revoca del titolo custodiale.

3. Per quanto precede, il ricorso deve essere rigettato, con le conseguenziali
statuizioni dettate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 ter, disp. att.
cod.proc.pen.

Così deciso il 30/10/2013

dell’ottemperanza del dettame espresso nella pronuncia di annullamento, ha esito

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