Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5592 del 25/10/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 5592 Anno 2014
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso presentato da
Della Monica Gaetano, nato a Cava dei Tirreni 1’11/03/1940

avverso la sentenza emessa il 26/10/2012 dalla Corte di appello di Salerno

visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Préj-o Gaeta, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso

RITENUTO IN FATTO

Gaetano Della Monica ricorre avverso la sentenza indicata in epigrafe,
recante la conferma della condanna pronunciata nei suoi confronti dal Tribunale
di Salerno il 22/01/2010; i fatti si riferiscono a presunti episodi di bancarotta per
distrazione e documentale, relativi alla gestione della Tessi! Tirrenia s.r.1.,

Data Udienza: 25/10/2013

dichiarata fallita nel 2003 e della quale il Della Monica era stato amministratore
unico.
Il ricorrente lamenta:
1. carenza e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata
A riguardo, il Della Monica sostiene che:
– i dati contabili relativi ai valori delle rimanenze delle merci non
avrebbero dovuto essere posti a base dell’asserita distrazione, dal
momento che lo stesso curatore fallimentare aveva precisato come quei

– non avrebbe potuto intendersi provata la distrazione da parte sua di un
autocarro indicato in rubrica, visto che il mezzo risultava ancora intestato
alla società e nella disponibilità dei soci;
– l’esistenza di un passivo fallimentare avrebbe dovuto intendersi
penalmente irrilevante, in vista della necessità di dimostrare la
distrazione di cespiti effettivi e determinati
2. violazione di legge processuale, nonché inosservanza ed erronea
applicazione degli artt. 216 e 217 legge fa/I.
L’addebito di bancarotta documentale, che al più avrebbe dovuto
derubricarsi nella meno grave fattispecie di bancarotta semplice essendo
riscontrabili nel caso concreto mere irregolarità, si fonderebbe su
ammissioni di responsabilità da parte dello stesso imputato dinanzi al
curatore fallimentare: dette dichiarazioni, tuttavia, avrebbero dovuto
considerarsi non utilizzabili
3. inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 219, comma terzo, legge
fa/I.
Per invocare la ravvisabilità dell’attenuante indicata, il Della Monica
evidenzia che erroneamente «i giudici del merito tendono a confondere il
danno causato dal fallimento dell’azienda in sé con quello causato dal
sottoscritto ricorrente»: in ogni caso, non vi sarebbe stata prova di
distrazioni di rilevante entità o di danni significativi arrecati ai creditori.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve qualificarsi inammissibile, giacché fondato su motivi che
riproducono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del
gravame: detti motivi debbono perciò considerarsi non specifici, in quanto il
difetto di specificità del motivo – rilevante ai sensi dell’art. 581, lett. c), cod.
proc. pen. – va apprezzato non solo in termini di indeterminatezza, ma anche

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dati non fossero idonei a fornire in effetti i valori de quibus;

«per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione
impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che
quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato, senza
cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell’art. 591, comma 1, lett.
c), cod. proc. pen., all’inammissibilità dell’impugnazione» (Cass., Sez. II, n.
29108 del 15/07/2011, Cannavacciuolo).
Nel caso in esame, è appena il caso di rilevare che – premessa una censura
generica alla tecnica di redazione della sentenza impugnata, in quanto

il contenuto del ricorso oggi in esame è perfettamente sovrapponibile all’atto di
appello a suo tempo presentato, risolvendosi in una acritica ed assoluta
iterazione delle identiche doglianze. Così facendo, il ricorrente non coglie e non
prova neppure a confutare i dati ritenuti decisivi dalla Corte territoriale, a
conferma della decisione di primo grado, e che – a dispetto delle doglianze
dell’imputato – non si esauriscono affatto in un apodittico richiamo alla sentenza
del Tribunale.
Del tutto correttamente, i giudici di appello sottolineano che le dichiarazioni
rese dal fallito al curatore fallimentare sono certamente utilizzabili, per pacifica
giurisprudenza (sul punto, da ultimo, v. infatti Cass., Sez. V, n. 13285 del
18/01/2013, Pastorello, Rv 255062, secondo cui dette dichiarazioni «non sono
soggette alla disciplina di cui all’art. 63, comma secondo, cod. proc. pen. che
prevede la inutilizzabilità delle dichiarazioni rese all’autorità giudiziaria o alla
polizia giudiziaria, in quanto il curatore non rientra in queste categorie e la sua
attività non è riconducibile alla previsione di cui all’art. 220 norme di coord. cod.
proc. pen. che concerne le attività ispettive e di vigilanza»). Nella sentenza
impugnata, inoltre, vengono puntualmente ricordate le risultanze della relazione
del curatore, e delle successive dichiarazioni testimoniali del medesimo, in ordine
all’impossibilità di ricostruire il movimento degli affari dell’impresa ed al mancato
rinvenimento di beni portati in bilancio, fra cui il ricordato autocarro «che si
trovava nella disponibilità di uno stretto congiunto dell’imputato»; ineccepibile è
infine la considerazione che la richiesta di concessione dell’attenuante prevista
dall’art. 219, comma terzo, legge fall. veniva fondata dal Della Monica sugli
stessi elementi addotti per sostenere l’insussistenza

tout court dei reati in

rubrica.

2. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità (v. Corte Cost., sent. n. 186
del 13/06/2000) – al versamento in favore della Cassa delle Ammende della

3

riproduttiva per relationem degli argomenti adottati dal giudice di primo grado –

somma di C 1.000,00, così equitativamente stabilita in ragione dei motivi
dedotti.

P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle

Così deciso il 25/10/2013.

Ammende.

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