Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5589 del 25/10/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 5589 Anno 2014
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso presentato nell’interesse di
Alfano Giovanni, nato a Napoli il 04/10/1957

avverso la sentenza emessa il 27/11/2012 dalla Corte di assise di appello di
Napoli

visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Pigro Gaeta, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
udito per il ricorrente l’Avv. Mauro Valentino, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso, e l’annullamento della sentenza impugnata

RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 25/10/2013

1. La Corte di assise di Napoli, 1’11/11/2004, pronunciava sentenza con la
quale – fra le altre statuizioni – condannava Giovanni Alfano per i reati
contestati in rubrica ai capi DD) ed EE), concernenti l’omicidio di Mario Basile e di
Fulvio Campione, in concorso con Rosario Privato, Claudio Alberoni, Vincenzo Di
Fiore e Nicola Varriale (quest’ultimo poi deceduto), nonché per il porto delle armi
usate nell’occasione: per i fatti de quibus, che si assumevano commessi il
16/02/1993, l’Aifano riportava condanna alla pena dell’ergastolo, con isolamento
diurno per 2 anni, ed euro 2.000,00 di multa.

appello di Napoli – in data 01/06/2006 – assolveva invece l’imputato per non
aver commesso i fatti di cui sopra. Richiamate le dichiarazioni del chiamante in
correità Rosario Privato, partecipe dell’azione armata da cui era derivato il
duplice omicidio, la Corte rilevava che quanto alla posizione dell’Alfano – a
differenza di altri – non potevano intendersi acquisiti sufficienti elementi di
riscontro di carattere individualizzante, negando in particolare che tale valenza
dovesse attribuirsi al narrato di tale Costantino Sarno.
Secondo il Privato, l’agguato ai danni del Basile e del Campione si inseriva
nelle dinamiche dei gruppi di criminalità organizzata operanti nel territorio, e
trovava causa nella contrapposizione delle due vittime proprio all’Alfano, figura di
vertice di un omonimo dan camorristico, nei confronti del quale avevano
preparato un attentato in combutta con Antonio Caiazzo (quest’ultimo aveva
approfittato di un periodo di detenzione dell’odierno ricorrente per convergere su
se stesso i proventi di attività illecite in tema di commercio di stupefacenti). Il
Sarno, esponente del dan di Secondigliano, aveva reso dichiarazioni auto ed
etero accusatorie su svariati episodi delittuosi, riferendo di plurime occasioni di
incontro con l’Alfano e della volontà di costui di rivalersi nei confronti del Caiazzo
e dei suoi accoliti, tanto da essere stato lo stesso dichiarante promotore di
iniziative fra i due rivali per giungere ad una pacificazione: nella ricostruzione del
Sarno, la rottura tra l’Alfano e il Caiazzo si era verificata a seguito dell’uccisione

All’esito del successivo giudizio di secondo grado, la Corte di assise di

di tale “Fulvietto”, da intendersi il Campione, e di un suo amico (subito dopo il
duplice omicidio, a dire del Sarno, l’Alfano si era recato da Edoardo Contini “per
chiarire la cosa”, ma ne era derivata una pace assai breve).

2. La pronuncia emessa in grado di appello, a seguito di ricorso del P.g.
territoriale, veniva annullata dalla Prima Sezione di questa Corte con sentenza n.
30161 del 26/04/2007, dove si evidenziava che «secondo il disposto di cui
all’art. 192 cod. proc. pen., comma 3, ed i principi giurisprudenziali elaborati in
materia, la chiamata in reità (o correità) costituisce non già mero indizio ma
“prova” vera e propria, sebbene necessitante – per la natura propria di tale

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,

mezzo istruttorio- di elementi di riscontro; di contro il “riscontro”, proprio perché
utilizzato a mera conferma della “prova” costituita dalla chiamata in reità (o
correità), può consistere in un qualsivoglia elemento o dato che, pur senza avere
valenza di “prova”, valga a conferire attendibilità al dichiarante ed al dichiarato;
sicché, allorquando il materiale probatorio sia così costituito, dovrà, da un lato,
tenersi conto della natura di “prova” delle dichiarazioni accusatorie del chiamante
e dovrà, dall’altro lato, attraverso quella metodica di verifica da attuarsi secondo
gli oramai noti e consolidati criteri (della previa valutazione della credibilità

rese, della riscontrabilità delle stesse), vagliarsi altresì la sussistenza o meno di
“riscontri” estrinseci – secondo l’accezione sopra precisata – di carattere generico
e c.d. “individualizzante” ossia tale da collegare il singolo chiamato in correità o
reità con il fatto di cui deve rispondere.
Ebbene non sembra che, in relazione alla posizione dell’Alfano, la Corte di
assise di appello si sia attenuta, completamente, ai principi di cui sopra. Dopo
aver sottolineato la credibilità soggettiva di Privato Rosario e l’attendibilità
intrinseca delle dichiarazioni da costui rese (che aveva riferito la dinamica
dell’azione criminosa, alla quale egli stesso aveva partecipato, ed indicato i
soggetti che a tale azione avevano preso parte, i ruoli svolti, le singole condotte,
gli antefatti e gli eventi successivi) non si è in sentenza argomentativamente
vagliata la valenza probatoria di tale chiamata in correità (con riguardo
all’Alfano), né si sono analiticamente considerati tutti gli elementi che la
sentenza di primo grado aveva indicato essere di riscontro alle dichiarazioni del
Privato, sostanzialmente limitando la disamina alla questione del movente
omicidiario e delle non coincidenti dichiarazioni rese in proposito dal Privato e da
Costantino Sarno (sul punto omettendo di considerare ed argomentare in ordine:
alla ragionevole esistenza di causali remote ed ultime degli eventi, alla possibilità
di moventi diversi e concorrenti, all’incidenza – anche a proposito del movente della conoscenza diretta o de relato dei fatti, alla consistenza o meno – tenuto
conto dell’imponenza dell’azione criminosa – di una causale “privata”). Ed
ancora, con riguardo alle dichiarazioni rese dal Sarno […], manca ogni
considerazione sulla generale attendibilità di costui ovvero sulle sue
dichiarazioni, e ciò anche al fine di confrontarle con quelle rese dal Privato e di
eventualmente privilegiare le une o le altre o parti di esse. Inoltre la poca
attenzione riservata in sentenza ai vari “riscontri” esterni, che la Corte di primo
grado aveva segnalato essere dimostrativi della sicura conoscenza da parte del
Privato delle modalità obiettive dei fatti e della veridicità del suo narrato, ha
impedito altresì, con riguardo alla posizione dell’Alfano, la emersione di eventuali
profili di carattere individualizzante di alcuni degli elementi acquisiti in atti (p. es.

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soggettiva del soggetto, della attendibilità intrinseca delle dichiarazioni da costui

l’incontro avvenuto dopo l’esecuzione degli omicidi tra Alfano ed Eduardo
Contini). Le carenze ed illogicità argomentative sopra indicate impongono
dunque una nuova disamina della posizione di Giovanni Alfano con riguardo ai
reati indicati nel ricorso proposto dal P.g.».

4. Il conseguente giudizio di rinvio era definito da altra sezione della Corte di
assise di appello di Napoli con sentenza del 27/11/2012, recante la conferma
della condanna all’ergastolo dell’Alfano quanto al reato sub DD) e la declaratoria

4.1 La Corte territoriale si soffermava in primis sul tema della utilizzabilità
delle dichiarazioni del Sarno, per quanto già ribadita in sede di legittimità: il
Sarno aveva infatti inteso ritrattare le prime narrazioni – risalenti al
luglio/settembre 1997 – anche dopo l’entrata in vigore della legge n. 63 del
2001, tuttavia rendendo interrogatorio al Pubblico Ministero il 30/05/2001 senza
limitarsi a manifestare la propria volontà di non rispondere alle domande. A
riguardo, anche per valutare il rispetto della previsione di cui all’art. 26, comma
secondo, della citata legge, i giudici di appello osservavano che in occasione di
quell’interrogatorio il Sarno, «alle domande del Pubblico Ministero (che gli aveva
puntualmente letto brani delle sue dichiarazioni rese in precedenza nelle date già
indicate) non si limitò a non rispondere, senza aggiungere altro, come è
doveroso fare quando ci si intenda avvalere del diritto al silenzio, ma rispose
testualmente (dopo aver formalmente dichiarato di avvalersi della facoltà di non
rispondere): “vorrei fare comunque una precisazione, e cioè che i brani che mi
sono stati letti non contengono tutte le dichiarazioni che io ho reso in merito a
quei fatti, e comunque smentisco quello che ho detto”. A fronte poi della
successiva domanda rivoltagli dal P.M. sulla eventuale presenza di pressioni e
minacce che lo avrebbero indotto a ritrattare, il Sarno ancora una volta risponde
nel merito dicendo “per pura cortesia le dico di no” (continuando poi subito dopo
a ribadire “continuo ad avvalermi della facoltà di non rispondere”)».
Secondo la Corte territoriale, il Sarno aveva così risposto all’interrogatorio,
volendo ritrattare tutto quanto aveva già sostenuto e rappresentare di non avere
subito intimidazioni di sorta; ciò perché «nel momento in cui si ritratta ciò che si
è detto in precedenza, è del tutto evidente che ci si è sottoposti ad esame,
perché ritrattare vuol dire riconoscere e dichiarare falsa una affermazione fatta
in precedenza» (e, dinanzi alla perentorietà della smentita, il P.M. non avrebbe
avuto comunque spazio per procedere ad ulteriori, specifiche contestazioni).
4.2 Procedendo quindi a nuova disamina della chiamata in correità del
Privato, la Corte di assise di appello confermava il giudizio di piena attendibilità
del dichiarante, rinvenendo i necessari riscontri al detto contributo in una

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di prescrizione dell’ulteriore addebito.

pluralità di elementi già accertati sulla individuazione del luogo dove il Basile e il
Campione erano stati uccisi e sulla dinamica in genere dell’azione omicidiaria;
inoltre, particolarmente significativa e affidabile doveva intendersi la
ricostruzione storica, offerta dal Privato, sulle dinamiche del gruppo criminale
dove i fatti si innestavano, ricostruzione che – prima ancora di trovare conforto
nei ricordi del Sarno – risultava in linea con quanto accertato nella sentenza
(irrevocabile) concernente la “strage dell’Arenella”, dove era stata affermata la
responsabilità dell’Alfano quale organizzatore di quell’iniziativa «al fine di

delinquenziale Caiazzo/Cimmino».
Definitivamente dirimente era quindi il narrato del Sarno, relativamente alle
prime (e utilizzabili) dichiarazioni, già considerando il particolare del riferito
colloquio tra l’Alfano e il Contini: ciò in quanto lo stesso Privato aveva a suo
tempo ricordato che l’Alfano, dopo i delitti cui aveva in prima persona
partecipato, aveva comunicato ai complici di essersi recato presso i vertici del
dan di Secondigliano per chiarire l’accaduto. In tale contesto, doveva ritenersi

scarsamente rilevante la discrasia concernente i soggetti con i quali l’Alfano si
era concretamente confrontato (secondo il Privato, egli era tornato dall’incontro
riferendo di aver parlato con Giuseppe Mallardo, il Contini e lo stesso Sarno,
mentre quest’ultimo ricorda che fu il solo Contini a vedere il ricorrente in quella
occasione), visto che il Privato aveva riportato quanto dettogli dall’imputato,
senza essere stato presente, e che in ogni caso il nucleo essenziale delle due
delazioni risultava convergente nel descrivere la volontà immediata dell’Alfano di
rendere conto dei fatti a chi si trovava in posizione sovraordinata a lui.

5. Propone ricorso per cassazione il difensore dell’Alfano.
5.1 Con un primo motivo di doglianza, la difesa lamenta violazione della
legge processuale, con riferimento alla ritenuta utilizzabilità delle dichiarazioni di
Costantino Sarno.

uccidere qualsiasi componente che si fosse incontrato dell’opposto gruppo

Il ricorrente rappresenta che le dichiarazioni del suddetto Sarno non furono
correttamente rinnovate in base alla previsione dell’art. 26, comma secondo,
della legge n. 63 del 2001. Premesso trattarsi di questione afferente la
inutilizzabilità, dunque rilevabile in ogni stato e grado del giudizio, il difensore
dell’Alfano deduce che la violazione della norma sopra ricordata non può
consentire il recupero delle dichiarazioni de quibus attraverso il meccanismo
delle contestazioni ex art. 500, comma 4, del codice di rito (come ritenuto
erroneamente dalla Corte territoriale).
Inoltre, dal contenuto del verbale di interrogatorio del 30/05/2001, cui il
P.M. competente diede corso appunto in ossequio al disposto dell’anzidetto art.

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i

26, risulta che il magistrato diede lettura al Sarno di alcuni passi delle
dichiarazioni da lui rese in precedenza prima ancora di chiedergli se egli
intendesse rendere dichiarazioni ovvero se volesse avvalersi della facoltà di non
rispondere. A quel punto, il Sarno precisò di non voler rispondere, salvo limitarsi
a dichiarare che i brani degli interrogatori precedenti, di cui aveva avuto lettura
immediatamente prima, non contenevano tutto ciò che egli aveva detto in ordine
ai fatti ivi narrati, aggiungendo di voler smentire quel che aveva sostenuto in tali
occasioni.

contestazioni in senso tecnico, dal momento che una contestazione deve semmai
seguire, e non precedere, dichiarazioni di contrario tenore; né appare rituale una
contestazione mossa a seguito di una dichiarazione spontanea, come deve
ritenersi quella formalizzata dal Sarno il 30/05/2001, dopo avere egli inteso
segnalare che intendeva avvalersi della facoltà di non rispondere.
5.2 Con il secondo motivo, il difensore deduce violazione dell’art. 192 cod.
proc. pen. quanto alla ritenuta sussistenza di riscontri individualizzanti che il
chiamante in correità Privato avrebbe incontrato in ordine all’indicazione della
responsabilità dell’imputato (secondo lo stesso Privato, organizzatore del duplice
omicidio e materiale compartecipe alla fase esecutiva).
Stando al Privato, quei fatti erano stati deliberati a seguito di una scissione
apertasi tra il gruppo criminale facente capo ad Alfano e quello di due
“transfughi” (i ricordati Cimmino e Caiazzo): però il Privato aveva spiegato nei
medesimi termini anche un altro omicidio (di cui era rimasto vittima tale
Cozzolino), episodio per il quale l’Alfano era stato assolto con sentenza ormai
irrevocabile. Inoltre, al tempo della presunta scissione l’imputato era per lo più
detenuto od agli arresti domiciliari: ergo, in quel periodo le decisioni avrebbero
potuto essere tranquillamente prese da altri, come Cimmino, Caiazzo, o lo stesso
Privato in forma autonoma, tanto più che una presunta faida vedeva coinvolti
certamente anche i singoli associati prima ancora dei vertici dei rispettivi gruppi.
Il ricorrente evidenzia poi, al fine di contestare la convergenza delle
dichiarazioni del Privato e del Sarno, che il primo aveva indicato la causale del
duplice omicidio nel traffico di droga intrapreso dal Cimmino e dal Caiazzo nel
corso della restrizione in carcere dell’Alfano, mentre il secondo aveva riferito di
una contrapposizione del Cimmino e del Caiazzo nei riguardi dello stesso Privato,
del quale contestavano il ruolo assunto all’interno del sodalizio. Perciò, secondo
la difesa la sentenza impugnata «non motiva in modo soddisfacente sulla
inconciliabilità delle causali e sulla loro divergenza, ma non valuta neppure che
quella riferita dal Sarno, lungi dall’attingere direttamente l’Alfano Giovanni,
riguardava, viceversa, direttamente e personalmente il Privato Rosario, portatore

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Ritiene perciò la difesa che nel caso in esame non possa discutersi di

lui sì, e non il ricorrente, di una causale personale e diretta»; tanto più che,
diversamente da quanto ritenuto dai giudici di appello, il Sarno non aveva mai
rappresentato che l’Alfano, incontrandosi con i vertici del dan di Secondigliano,
aveva inteso assumersi la paternità dell’omicidio (mentre, pure nel caso di
un’iniziativa delittuosa assunta motu proprio dal Privato, a confrontarsi in merito
con il Contini o il Mallardo, per questioni di rango, avrebbe dovuto essere
comunque l’Alfano).
Infine, nessuna rilevanza individualizzante sulla posizione del ricorrente

capace di offrire: ciò comprova soltanto la sua partecipazione diretta al fatto di
sangue, peraltro realizzato con modalità cruente e tali da rivelare una certa
improvvisazione (ad esempio, per l’uso di un coltello dopo l’impiego di più armi
da fuoco), scarsamente conciliabili con l’idea di un’organizzazione pianificata su
disposizioni di un capo clan.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non può trovare accoglimento.
1.1 II primo motivo si palesa inammissibile, atteso che in sede di giudizio di
rinvio non poteva comunque intendersi rituale la nuova prospettazione di
questioni di nullità od inutilizzabilità, sia per il disposto di cui all’art. 627, comma
4, cod. proc. pen., sia perché la Sezione Prima di questa Corte aveva
espressamente dato atto dell’utilizzabilità delle dichiarazioni del Sarno,
richiamando apertis verbis – e dunque facendole proprie – «le ragioni espresse
sul punto nella sentenza impugnata».
Del resto, nella giurisprudenza di legittimità risulta già affermato il principio
secondo cui «sono utilizzabili le dichiarazioni rese nella fase delle indagini
preliminari dai soggetti indicati negli artt. 64 e 197-bis disp. att. cod. proc. pen.
se , nel corso della rinnovazione dell’interrogatorio a norma dell’art. 26, comma
secondo, legge 1 marzo 2001, n. 63, il dichiarante ritratti nella sua interezza
quanto sino ad allora riferito» (Cass., Sez. II, n. 150 del 18/10/2012, Andreicik,
Rv 254677: assai significativamente, come risulta dalla motivazione di detta
pronuncia, il caso riguardava un soggetto che, rendendo interrogatorio al
Pubblico Ministero, non si era limitato a dare atto di non voler rispondere senza
null’altro aggiungere, «come è doveroso fare quando ci si intenda avvalere del
diritto al silenzio, ma rispose, come indicato in sentenza, “tutto falso quello che
ho detto fino ad ora. Speravo in tal modo di poter uscire”»).

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potrebbe assumere la ricchezza di particolari sull’agguato che il Privato era stato

1.2 Compiuta ed analitica, e certamente immune da vizi di contraddittorietà
o manifesta illogicità, si rivela poi l’analisi dei giudici di appello quanto al
raffronto delle dichiarazioni del Privato e del Sarno. Occorre rilevare, in
proposito, che:
– l’avvenuta assoluzione dell’Alfano nel giudizio concernente l’omicidio del
Cozzolino non si pone in contrasto con la conferma della sua penale
responsabilità quanto ai fatti oggi sub judice, ove si consideri che in ordine a
questi la chiamata in correità del Privato può intendersi riscontrata, a differenza

– nella sentenza impugnata si rappresenta (a pag. 24) che l’Alfano fu ristretto in
carcere dal luglio del 1994 al febbraio 1995, quindi agli arresti domiciliari prima in ospedale, poi a casa – fino all’ottobre 1996: è dunque pacifico che in
concomitanza dell’omicidio del Basile e del Campione egli fosse libero (altrimenti,
peraltro, sarebbe stato agevole per la difesa smentire l’assunto di una sua
possibile partecipazione materiale al duplice delitto), a dispetto della possibilità
di autonome iniziative per il compimento di azioni così gravi da parte di chi come il Privato – era «pur sempre […] un suo sottoposto» (come si sostiene nel
corpo stesso del ricorso, onde giustificare la condotta dell’Alfano nel recarsi a
colloquio con i capi del dan di Secondigliano);
– le censure del ricorrente sulla divergenza delle causali riferite dal Privato e dal
Sarno, ipotizzando il secondo una possibile motivazione diretta del primo
chiamante in correità, non tengono conto della logica circostanza che un
eventuale disegno dei sodali delle due vittime, volto a contestare l’accresciuta
importanza del Privato nel dan, si poneva comunque in immediato conflitto con
le ragioni di chi (l’Alfano) aveva il Privato quale “suo sottoposto”, ed è parimenti
illogico ipotizzare che lo stesso Privato potesse intendersi per ciò solo autorizzato
a uccidere due persone senza consultarsi con la propria figura di riferimento, ben
sapendo che ne sarebbero derivate conseguenze di notevole rilievo nei rapporti
fra gruppi criminali;
– la difesa non si fa comunque carico di confutare l’osservazione dei giudici di
merito secondo la quale gli assunti del Privato trovano riscontro già nella
pronuncia irrevocabile sulla strage dell’Arenella: vero è che quei fatti, per i quali
l’Alfano risulta essere stato condannato, risalgono ad alcuni anni dopo, ma la
relativa causale appare analogamente rinvenuta nella “scissione” del Cimmino e
del Caiazzo, vale a dire la stessa motivazione sostanzialmente addotta dal
Privato e dal Sarno con riferimento al duplice omicidio qui in esame (a ben
guardare, la divergenza tra i due dichiaranti su cui la difesa insiste non riguarda
strettamente la causale dell’agguato, che entrambi riconducono alla

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da quanto in ipotesi accaduto nell’altra vicenda processuale;

contrapposizione dei “transfughi” rispetto agli equilibri del dan, ma sulle ragioni
per cui detta scissione vi era stata o stava maturando);
– sull’azione omicidiaria, la sentenza impugnata già chiarisce l’impossibilità di
ritenere che un agguato a due persone, per quanto disarmate, potesse essere
organizzato con modalità tali da escludere una qualunque evoluzione imprevista
(come il tentativo di fuga del Campione), rendendo così del tutto ragionevole il
ricorso all’uso contestuale di più armi.

delle spese del presente giudizio di legittimità.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 25/10/2013.

2. Il rigetto del ricorso comporta la condanna dell’imputato al pagamento

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