Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5588 del 04/10/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 5588 Anno 2014
Presidente: BEVERE ANTONIO
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

Data Udienza: 04/10/2013

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Lo Piccolo Salvatore, nato a Palermo il 13.9.1958, avverso la sentenza
pronunciata dalla corte di appello di Palermo il 10.10.2012;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore
generale dott. Sante Spinaci, che ha concluso per l’inammissibilità del
ricorso.

FATTO E DIRITTO
1. Con sentenza pronunciata il 10.10.2012 la corte di appello di Palermo
confermava la sentenza con cui il tribunale di Palermo, in data
9.11.2010, aveva condannato Lo Piccolo Salvatore, imputato, nella sua

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qualità di presidente e legale rappresentante della “Conac Aoc coop.
a.r.l.”, dichiarata fallita con sentenza del tribunale di Palermo del 710.7.2000, del delitto di bancarotta fraudolenta documentale, alle pene,
principale ed accessorie, ritenute di giustizia.
2. Avverso tale sentenza, di cui chiede l’annullamento, ha proposto
ricorso per Cassazione l’imputato, a mezzo dei suoi difensori di fiducia,
articolando quattro motivi di impugnazione.

all’art. 606, co. 1, lett. b), c) ed e), c.p.p., in relazione all’art. 2, c.p., in
quanto, premesso che la dichiarazione di fallimento rappresenta
l’elemento costitutivo del delitto per il quale il Lo Piccolo ha riportato
condanna, la corte territoriale ha errato nel non considerare applicabile
alla fattispecie in esame l’art. 150, d. Igs. 5/06, in base alla quale la
società cooperativa innanzi indicata non sarebbe stata dichiarata fallita.
4. Con il secondo motivo di ricorso, i difensori dell’imputato lamentano la
contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione della
sentenza impugnata, che appare non motivata in relazione alla mancata
tenuta delle scritture contabili per l’anno 1992, avendo la corte
territoriale omesso di considerare .1) che i beni di cui è stata contestata
al Lo Piccolo la distrazione erano due automezzi acquistati di seconda
mano nel 1992, per cui alla data del fallimento erano privi di valore
commerciale; 2) che la cooperativa dal 1996, non svolgendo più alcuna
attività, non aveva presentato più i bilanci; 3) che l’imputato, all’atto
della dichiarazione di fallimento, era detenuto e, quindi, non era in grado
di collaborare con il curatore fallimentare per ricostruire le vicende
societarie, per cui non può affermarsi che il Lo Piccolo abbia agito al
preordinato scopo di arrecare pregiudizio ai creditori.
5. Con il terzo motivo di impugnazione i difensori del Lo Piccolo
lamentano la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità
della motivazione della sentenza impugnata in ordine al mancato
riconoscimento in favore dell’imputato della circostanza attenuante del
danno patrimoniale di speciale tenuità, di cui all’art. 219, ultimo comma,
I. fall., in quanto la valutazione negativa operata al riguardo dalla corte

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3. Con il primo motivo i difensori dell’imputato lamentano i vizi di cui

territoriale, fondata sulla notevole entità del passivo accertato, non tiene
conto della realtà economica e non rispetta la “ratio” perseguita dal
legislatore.
6. Con il quarto motivo di ricorso, i difensori dell’imputato lamentano la
mancanza di motivazione della sentenza impugnata, con riferimento al
mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ed alla
riduzione delle pene inflitte, essendosi limitata la corte territoriale ad

affermare, al riguardo, che la pena inflitta dal primo giudice appare
contenuta e sproporzionata al non lieve disvalore penale del fatto.
7.

Con memoria depositata il 17.9.2013, a firma dell’avv. Reale

venivano ribaditi i motivi di ricorso in precedenza indicati, evidenziando
anche che “non risulta provato., il superamento di tutte le soglie di
punibilità stbilite dalla legge in capo al Lo Piccolo”.
8. Il ricorso di cui in premessa non può essere accolto, essendo
inammissibili, sotto diversi profili, i motivi che ne costituiscono il
fondamento.
9. Ed invero il ricorso presentato nell’interesse del Lo Piccolo, con
particolare riferimento al secondo, al terzo ed al quarto motivo di
impugnazione, si riduce alla esposizione di censure che si risolvono in
una mera rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione impugnata, sulla base di nuovi e diversi parametri di
ricostruzione e valutazione dei fatti, senza individuare vizi di logicità tali
da evidenziare la sussistenza di ragionevoli dubbi, ricostruzione
valutazione, quindi, precluse in sede di giudizio di cassazione (cfr. Cass.,
sez. I, 16.11.2006, n. 42369, De Vita, rv. 235507; Cass., sez. VI,
3.10.2006, n. 36546, Bruzzese, rv. 235510; Cass., sez. III, 27.9.2006,
n. 37006, Piras, rv. 235508).
Ed invero non può non rilevarsi come il controllo del giudice di
legittimità, pur dopo la novella dell’art. 606, c.p.p., ad opera della I. n.
46 del 2006, si dispiega, pur a fronte di una pluralità di deduzioni
connesse a diversi atti del processo, e di una correlata pluralità di motivi
di ricorso, in una valutazione necessariamente unitaria e globale, che
attiene alla reale esistenza della motivazione ed alla resistenza logica

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del ragionamento del giudice di merito, essendo preclusa al giudice di
legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di
ricostruzione e valutazione dei fatti (cfr. Cass., sez. VI, 26.4.2006, n.
22256, Bosco, rv. 234148).
Il rilievo difensivo sul mancato riconoscimento delle circostanze
attenuanti generiche, peraltro, appare inammissibile anche sotto

territoriale fondato legittimamente la propria decisione al riguardo, su di
una valutazione negativa della personalità dell’imputato, desunta
dall’esistenza a suo carico di gravi precedenti penali, di cui uno per il
reato di cui all’art. 416 bis, c.p.
9.1 Generico, invece, appare il primo motivo di ricorso, oltre ad essere
fondato su di un assunto manifestamente infondato.
Come affermato, infatti, dal Supremo Collegio nella sua espressione più
autorevole, il giudice penale investito del giudizio relativo a reati di
bancarotta ex artt. 216 e seguenti R.D. 16 marzo 1942, n. 267 non può
sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento, quanto al presupposto
oggettivo dello stato di insolvenza dell’impresa e ai presupposti
soggettivi inerenti alle condizioni previste per la fallibilità
dell’imprenditore, sicché le modifiche apportate all’art. 1 R.D. n. 267 del
1942 dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 e dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n.
169, non esercitano influenza ai sensi dell’art. 2 cod. pen. sui
procedimenti penali in corso (cfr. Cass., sez. u., 28.2.2008, 19601, N.,
rv. 239398).
10. Alla inammissibilità del ricorso, che impedisce di dichiarare il delitto
estinto per prescrizione maturata dopo la pronuncia della sentenza di
secondo grado, consegue la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art.
616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, in
favore della cassa delle ammende, di una somma a titolo di sanzione
pecuniaria, che appare equo fissare in euro 1000,00, tenuto conto della
evidente inammissibilità del ricorso, facilmente evitabile dai difensori
dello stesso ricorrente, che, quindi, non possono ritenersi immuni da

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l’ulteriore profilo della manifesta infondatezza, avendo la corte

colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità
(cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della
cassa delle ammende.

Così deciso in Roma il 4.10.2013

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