Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5586 del 28/10/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 5586 Anno 2015
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: MICCOLI GRAZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FELLINE ALFONSO ROCCO N. IL 20/01/1972
avverso la sentenza n. 455/2010 CORTE APPELLO di LECCE, del
06/06/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 28/10/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GRAZIA MICCOLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 28/10/2014

Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, dott. Gaetano Marotta, ha concluso
chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 6 giugno 2013 la Corte di Appello di Lecce, in riforma della sentenza del
Tribunale di Lecce, sezione distaccata di Gallipoli, ha ridotto la pena inflitta a Alfonso Rocco
FELLINE, che era stato riconosciuto responsabile del reato di cui agli articoli 110, 476 e 482
cod. pen. perché, in concorso con altra persona rimasta ignota, alterava la carta di circolazione
dell’autocarro targato LE 467163, apponendovi un falso tagliando di avvenuta revisione in data

2. Ha proposto ricorso l’imputato, con atto sottoscritto dal suo difensore, deducendo tre
motivi.
2.1 Vizio di motivazione ex articolo 606, lettera e, cod. proc. pen. e violazione di legge ex art.
606, lettera b, con riferimento all’articolo 530 capoverso cod. proc. pen.
Il ricorrente ha censurato la parte della sentenza nella quale si legge: “…. quanto alla buona
fede… Sarà sufficiente osservare che, probabilmente, non era a conoscenza dei controlli che
vengono effettuati….”. L’uso di tale espressione dubitativa e probabilistica -secondo il
ricorrente- renderebbe la motivazione contraddittoria ed illogica. Ha dedotto, inoltre, che la
sentenza non ha motivato in maniera esaustiva in ordine ai motivi d’appello proposti e, in
particolare, di quelli relativi alla mancanza di prove.
2.2 Con il secondo motivo il ricorrente ha dedotto il travisamento della prova ex articolo 606,
lettere b ed e, cod. proc. pen.
La Corte d’appello avrebbe trascurato totalmente la circostanza che sin dal suo primo
interrogatorio il FELLINE si era sempre dimostrato collaborativo e credibile; egli si era messo
subito a disposizione per riconoscere il commerciante che si era occupato per lui del disbrigo
della pratica. Il ricorrente ha censurato l’utilizzo della prova ex art. 513 cod. proc. pen. e la
mancata risposta nella sentenza della Corte territoriale ai motivi di appello in ordine a tale
profilo.
2.3 Inosservanza ed erronea applicazione dell’articolo 476 e 482 cod. pen. e vizio di
motivazione in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato.
Il ricorrente ha censurato la mancata considerazione della insussistenza dell’elemento
soggettivo in capo all’imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e, pertanto, immeritevole di accoglimento.
1. Al limite dell’inammissibilità è il primo motivo di ricorso.
Viene censurata la parte della sentenza nella quale si legge: “…. quanto alla buona fede… sarà
sufficiente osservare che, probabilmente, non era a conoscenza dei controlli che vengono
effettuati….”. L’uso di tale espressione dubitativa e probabilistica -secondo il ricorrenterenderebbe la motivazione contraddittoria ed illogica.

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10 maggio 2007 (reato accertato in Gallipoli il 25 giugno 2007).

Viene dedotto, inoltre, che la sentenza non avrebbe motivato in maniera esaustiva in ordine ai
motivi d’appello proposti e, in particolare, di quelli relativi alla mancanza di prove.
In effetti il ricorrente deduce una serie di elementi di fatto, evidentemente non valutabili in
questa sede.
Va ricordato, infatti, che a questa Corte non possono essere sottoposti giudizi di merito, non
consentiti neppure alla luce del nuovo testo dell’art. 606, lettera e), cod. proc. pen.; la
modifica normativa di cui alla legge 20 febbraio 2006 n. 46 lascia inalterata la natura del
controllo demandato alla Corte di cassazione, che può essere solo di legittimità e non può

motivazione, la cui mancanza, illogicità o contraddittorietà può essere desunta non solo dal
testo del provvedimento impugnato, ma anche da altri atti del processo specificamente
indicati; è perciò possibile ora valutare il cosiddetto travisamento della prova, che si realizza
allorché si introduce nella motivazione un’informazione rilevante che non esiste nel processo
oppure quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronunzia. Attraverso
l’indicazione specifica di atti contenenti la prova travisata od omessa, si consente nel giudizio
di cassazione di verificare la correttezza della motivazione.
Più approfonditamente, si è affermato che la specificità dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen.,
dettato in tema di ricorso per Cassazione al fine di definirne l’ammissibilità per ragioni
connesse alla motivazione, esclude che tale norma possa essere dilatata per effetto delle
regole processuali concernenti la motivazione, attraverso l’utilizzazione del vizio di violazione di
legge di cui al citato articolo, lett. c). E ciò, sia perché la deducibilità per Cassazione è
ammessa solo per la violazione di norme processuali stabilita a pena di nullità, inutilizzabilità,
inammissibilità o decadenza, sia perché la puntuale indicazione di cui al punto e) ricollega ai
limiti in questo indicati ogni vizio motivazionale; sicché il concetto di mancanza di motivazione
non può essere utilizzato sino a ricomprendere ogni omissione od errore che concernano
l’analisi di determinati, specifici elementi probatori. (Sez. 3, n. 44901 del 17/10/2012, F., Rv.
253567).
Tanto premesso, occorre rilevare che il ricorrente si limita a censurare proprio la sussistenza di
prove sufficienti a suo carico.
Quanto dedotto è però del tutto generico e le censure sono formulate in modo stereotipato e in
alcuni passaggi anche al limite del paradosso: vengono formulati degli interrogativi nei quali si
rappresentano ipotesi ricostruttive alternative, senza alcun fondamento riferibile a risultanze
processuali.
In effetti, non v’è nelle censure del ricorrente alcuna considerazione degli elementi evidenziati
e degli argomenti spesi nella sentenza impugnata e in quella di primo grado, cui la Corte
territoriale ha anche fatto specificamente rinvio.
Quindi, l’assenza di un collegamento concreto con la motivazione della sentenza impugnata
impedisce di ritenere rispettati i requisiti di forma e di contenuto minimo voluti per il ricorso di
legittimità, che deve rivolgersi al provvedimento e non può invocare una mera rilettura dei
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estendersi ad una valutazione di merito. Il nuovo vizio introdotto è quello che attiene alla

fatti.
Peraltro, l’esame del provvedimento impugnato consente di ritenere che la motivazione del
giudice d’appello sia congrua ed improntata a criteri di logicità e coerenza.
Né va trascurato nel caso in esame che la sentenza impugnata ha confermato quella di primo
grado in ordine alla penale responsabilità del FELLINE, sicché vanno ribaditi i principi secondo i
quali, in tema di ricorso per cassazione, quando ci si trova dinanzi a una “doppia pronuncia
conforme” e cioè a una doppia pronuncia (in primo e in secondo grado) di eguale segno (vuoi

sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che
l’argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come
oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (Sez. 4, n. 4060
del 12/12/2013 – dep. 29/01/2014, Capuzzi e altro, Rv. 258438).

2.

Eguali considerazioni possono essere svolte in ordine al secondo motivo dedotto dal

ricorrente, il quale si è lamentato del fatto che la Corte d’appello avrebbe trascurato
totalmente la circostanza che sin dal suo primo interrogatorio egli si era sempre dimostrato
collaborativo e credibile, mettendosi subito a disposizione per riconoscere il commerciante che
si era occupato per lui del disbrigo della pratica.
Anche in questo caso vengono dedotti dei generici elementi di fatto, ribadendo l’originaria e
inverosimile tesi difensiva in ordine alla inconsapevolezza della falsità e al suo affidamento
sull’operato di un fantomatico commerciante che si sarebbe occupato per lui del disbrigo della
pratica di revisione.
Il ricorrente ha poi, sempre genericamente e con deduzioni stereotipate, al limite della
incomprensibilità, censurato “l’utilizzo della prova ex art. 513 cod. proc. pen.” e la mancata
risposta nella sentenza della Corte territoriale ai motivi di appello in ordine a tale profilo.
Va ricordato a tal proposito che la funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica
argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce, che si realizza con la presentazione di
motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 cod. proc. pen.), debbono indicare
specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta.
Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione è, quindi, innanzitutto e indefettibilmente il
confronto, con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano
il dissenso, con le argomentazioni del provvedimento che si censura.
Il motivo di ricorso in cassazione, poi, è caratterizzato da una duplice specificità. Deve essere
senz’altro conforme all’art. 581, lett. c, cod. proc. pen. ovvero contenere l’indicazione delle
ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta presentata al giudice
dell’impugnazione; ma quando censura le ragioni che sorreggono la decisione deve, altresì,
enucleare in modo specifico il vizio denunciato, in modo che sia chiaramente sussumibile fra i
tre soli vizi previsti dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., deducendo poi, altrettanto
specificamente, le ragioni della sua decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice del

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di condanna, vuoi di assoluzione), l’eventuale vizio di travisamento può essere rilevato in

merito per giungere alla deliberazione impugnata, sì da condurre a decisione differente (Sez.
6, n. 8700 del 21/01/2013 – dep. 21/02/2013, Leonardo e altri, Rv. 254584).
Risulta pertanto di chiara evidenza che se il motivo di ricorso si limita – come nel caso in
esame- a riprodurre il motivo d’appello, viene meno in radice l’unica funzione per la quale è
previsto e ammesso (la critica argomentata al provvedimento), posto che con siffatta mera
riproduzione il provvedimento impugnato, invece di essere destinatario di specifica critica
argomentata, è di fatto del tutto ignorato (tra le tante, Sez. 5 n. 25559 del 15 giugno 2012,
Pierantoni; Sez. 6 n. 22445 del 8 maggio 2009, p.m. in proc. Candita, rv 244181; Sez. 5 n.

Nè tale forma di redazione del motivo di ricorso (la riproduzione grafica del motivo d’appello)
potrebbe essere invocata come implicita denuncia del vizio di omessa motivazione da parte del
giudice d’appello in ordine a quanto devolutogli nell’atto di impugnazione. Infatti, quand’anche
effettivamente il giudice d’appello abbia omesso una risposta (ma nel caso in esame non è
accaduto), comunque la mera riproduzione grafica del motivo d’appello non è mediata dalla
necessaria specifica e argomentata denuncia del vizio di omessa motivazione.
In conclusione, la riproduzione, totale o parziale, del motivo d’appello può essere presente nel
motivo di ricorso solo quando ciò serva a “documentare” il vizio enunciato e dedotto con
autonoma specifica ed esaustiva argomentazione, che si riferisca al provvedimento impugnato
con il ricorso e che si confronti con la sua integrale motivazione (si vedano, tra le più recenti,
Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014 – dep. 28/10/2014, Cariolo e altri, Rv. 260608; Sez. 6, n.
34521 del 27/06/2013 – dep. 08/08/2013, Ninivaggi, Rv. 256133).
3. Infondato è anche l’ultimo motivo dedotto dal ricorrente in ordine all’inosservanza ed
erronea applicazione dell’articolo 476 e 482 cod. pen. e vizio di motivazione in ordine alla
sussistenza in particolare dell’elemento soggettivo.
Anche per tale motivo le modalità di censura sono generiche e articolate con una serie di
domande ipotetiche.
Peraltro, è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che l’apposizione sul libretto di
circolazione della falsa impronta della Motorizzazione civile, volta a far apparire adempiute le
formalità di revisione integra i reati di cui agli artt. 476, 482 e 469 cod. pen. e non anche la
fattispecie di cui all’art. 80, comma diciassettesimo, D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, riguardante
la mera esibizione agli organi competenti di una falsa revisione, ossia l’uso di un atto falso.
(Sez. 5, n. 23670 del 02/04/2004 – dep. 20/05/2004, Giusti, Rv. 228903).
Il delitto di falso in atto pubblico, pur se commesso -come nel caso di specie- dal privato ex
art. 482 cod. pen., è un reato di pericolo e non richiede alcun dolo specifico, essendo
sufficiente la coscienza e volontà della “immutatio veri” e non occorrendo un “animus nocendi
vel decipiendi”, sicché sussiste il reato anche quando il falso sia stato commesso con la
certezza di non produrre alcun danno o di non realizzare lucri non dovuti o nella eventuale
opinione di operare lecitamente, e ciò perché l’oggettività del reato di falso consiste nella

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11933 del 27 gennaio 2005, Giagnorio, rv. 231708).

lesione della pubblica fede e non nell’offesa di altro bene, pubblico o privato (Sez. 5, n. 6024
del 30/01/1981 – dep. 19/06/1981, SARTONI, Rv. 149426).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
si deciso in Roma, 28 ottobre 2014

estensore

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