Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5582 del 30/09/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 5582 Anno 2014
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso presentato nell’interesse di
Ferrario David, nato a Milano il 26/07/1974

avverso la sentenza emessa il 10/07/2012 dalla Corte di appello di Venezia

visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa
Elisabetta Cesqui, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del
ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 10/07/2012, la Corte di appello di Venezia confermava
la pronuncia emessa dal Tribunale della stessa città (sezione distaccata di
Portogruaro) in data 05/07/2011 nei confronti di David Ferrario, recante la
condanna dell’imputato alla pena di anni 1 e mesi 2 di reclusione per il delitto di

Data Udienza: 30/09/2013

lesioni gravi, in ipotesi commesso in danno di Michele Parcianello, costituitosi
parte civile.
I fatti si riferivano ad un contrasto fisico occorso tra il Ferrario ed il
Parcianello, dopo che questi aveva preso a male parole la cognata del primo,
Vanessa Spano (socia del Parcianello nella gestione di un bar-ristorante);
intervenuto il Ferrario, ne erano derivati – secondo il capo d’imputazione – una
testata e dei calci all’indirizzo della persona offesa, con conseguente trauma
facciale ed alcune fratture. Stando alla ricostruzione offerta dai giudici di

il diverbio aveva avuto inizio, quindi la stessa vittima (in apparente stato di
alterazione da abuso di alcolici) aveva seguito il Ferrario all’esterno dell’esercizio:
qui era stato nuovamente affrontato dall’imputato, ed era caduto a terra dopo
alcuni secondi da quando l’altro gli aveva sferrato un calcio o comunque lo aveva
urtato con una gamba, riportando anche una frattura scomposta del malleolo.
La Corte territoriale, nel disattendere le doglianze prospettate dall’imputato
appellante, aveva rilevato che:
– della testata avevano concordemente riferito sia il soggetto offeso che il di lui
padre;
– a parlare di un gesto violento dell’odierno ricorrente indirizzato verso gli arti
inferiori del Parcianello erano stati la parte civile, la Spano ed altri testi, ed
anche se nessuno di questi ultimi aveva notato un calcio o comunque un colpo
specificamente portato al piede della persona offesa vi era stato chi aveva visto
cadere il Parcianello, che subito dopo aveva gridato “mi ha rotto la gamba”,
senza più rialzarsi: ciò induceva a ritenere, «in applicazione delle regole della
logica e della comune esperienza», che quella lesione fosse stata provocata dalla
condotta del Ferrario;
– non emergevano elementi di sorta a sostegno della pur invocata legittima
difesa, nemmeno in termini di putatività, «difettando l’idoneità in proposito della
dimostrata condotta tenuta dal Parcianello (il quale, a quanto è emerso, si è
limitato, dopo aver subito la testata, a seguire l’imputato fuori dal locale), e
soprattutto mancando la proporzione fra le lesioni cagionate ed il riferito stato di
alterazione alcolica e di adiramento con il quale il predetto Parcianello aveva
seguito l’imputato fuori dal locale, senza però mai assumere nei suoi confronti
una funzione attiva di aggressione»;
– la pena inflitta, per quanto superiore di 11 mesi rispetto al minimo, rientrava
comunque «nella prima metà dello spazio sanzionatorio edittale», e doveva
ritenersi congrua anche tenendo conto dei due precedenti penali – uno dei quali
specifico – del Ferrario;

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merito, il Parcianello era stato colpito con una testata all’interno del locale, dove

- l’entità delle lesioni subite dal Parcianello comportava un indubbio rilievo della
correlata circostanza aggravante, sì da determinare un giudizio di equivalenza
rispetto alle riconosciute attenuanti generiche, e non già di prevalenza di queste
ultime;
– dovevano intendersi elementi negativi, in ordine alla pur richiesta sospensione
condizionale della pena, sia la mancata comparizione del prevenuto all’udienza,
sia la carenza di informazioni circa la sua attuale condotta, tenendo presenti
l’indole violenta dimostrata e la sussistenza di un ulteriore precedente per

2. Propone ricorso il difensore del Ferrario, sviluppando quattro motivi.
2.1 Con il primo, la difesa deduce inosservanza ed erronea applicazione degli
artt. 192, 530 e 533 cod. proc. pen., in relazione agli artt. 582 e 583 cod. pen.,
nonché mancanza, contraddittorietà, manifesta illogicità della motivazione della
sentenza impugnata ed omessa assunzione di una prova decisiva.
Ricostruiti i contributi dei vari testimoni sull’episodio della testata, il
ricorrente rappresenta che la descrizione del gesto da parte del padre del
Parcianello confligge con quella della ex fidanzata della parte civile; inoltre,
sottolinea che non avrebbe dovuto riconoscersi alcuna attendibilità agli assunti
dello stesso Parcianello, a carico del quale il Tribunale aveva disposto la
trasmissione degli atti al Procuratore della Repubblica per valutare se si fosse
reso responsabile di concorso nel delitto di falsa testimonianza.
Infatti, venendo alla seconda parte della presunta condotta violenta, si era
verificato nel giudizio di primo grado che il teste Hadhoud (lavapiatti in quel
ristorante) aveva inizialmente sostenuto di aver visto l’imputato colpire con un
calcio la gamba del Parcianello, per poi ritrattare quel racconto all’udienza
successiva, rappresentando che era stata proprio la parte civile a suggerirgli cosa
dichiarare, e precisando di non avere affatto notato il calcio in questione.
Sempre in ordine a quanto sarebbe accaduto fuori dal locale, la Corte territoriale
avrebbe travisato il senso della deposizione della Spano, che non disse – come
invece ritenuto dai giudici di appello – di aver visto l’imputato fare un salto e
cadere sul piede della persona offesa – bensì l’esatto contrario, con il Parcianello
a correre verso il Ferrario, fare un salto come per tirargli un calcio e inciampare
sulla caviglia. Il teste Bortoli (cuoco) aveva dichiarato di non aver visto l’uno dei
due protagonisti colpire l’altro, precisando poi di non essere in grado di dire se il
Parcianello fosse caduto per avere subito un gesto violento, oppure a causa dello
scalino del marciapiede, dove forse era inciampato.
Mancherebbe pertanto la prova certa della responsabilità del Ferrario:
situazione confermata dal rilievo che inizialmente il P.M. procedente aveva

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lesioni.

instato per l’archiviazione del procedimento, proprio a causa dell’impossibilità di
ricostruire la dinamica dell’accaduto in presenza di versioni testimoniali
contraddittorie e divergenti.
Inoltre, la Corte territoriale non avrebbe tenuto presente che quanto ritenuto
logicamente plausibile sulla base delle regole della comune esperienza (e cioè
che il Parcianello fosse caduto in conseguenza di una condotta aggressiva del
Ferrarlo) risultava al contrario del tutto inverosimile, atteso che era stato il
Parcianello ad adottare un atteggiamento di sfida e provocazione, come

Risulterebbero pertanto emerse dall’istruttoria dibattimentale più spiegazioni
alternative del fatto, che i giudici di merito non hanno inteso o saputo confutare,
violando così la regola che impone la condanna dell’imputato solo superando
ogni dubbio ragionevole. In ogni caso, la sentenza impugnata dovrebbe essere
censurata quanto alla mancata assunzione della testimonianza della moglie del
Ferrario, presente ai fatti, ammessa inizialmente dal Tribunale e poi
inspiegabilmente revocata a seguito della mancata comparizione: prova che
avrebbe dovuto considerarsi senz’altro decisiva, viste le contraddizioni emerse
dalle deposizioni già acquisite.
2.2 Con il secondo motivo di ricorso, la difesa lamenta violazione ed erronea
applicazione degli artt. 52, 55 e 59 cod. pen., ed altresì mancanza,
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza
impugnata, con riguardo alla esclusione della scriminante della difesa legittima,
quanto meno nella forma putativa, o in subordine di una ipotesi di eccesso
colposo.
Il ricorrente ribadisce che fu il Parcianello, come segnalato dalle
testimonianze ricordate, a manifestarsi alterato ed a seguire il Ferrario fuori dal
bar-ristorante con fare aggressivo e scomposto: quell’atteggiamento era stato
peraltro già manifestato all’interno del locale quando, prima di ricevere la
presunta testata, era stato comunque il Parcianello a fare il giro del bancone per
portarsi in prossimità dell’imputato ed affrontarlo. Deve perciò considerarsi
manifestamente illogica l’osservazione della Corte territoriale, secondo cui la
parte civile si era “limitata” a seguire l’imputato, visto che non si trattò
certamente di una iniziativa pacifica e composta.
Vedendo quindi la persona offesa che si avvicinava a lui, pure volendo
superare la ragionevole alternativa di una caduta accidentale o provocata
dall’alterazione in cui lo stesso Parcianello versava, il Ferrario sicuramente
percepì una situazione di pericolo per la propria incolumità, effettiva o meno che
fosse (comunque sia, si trovò nella ragionevole persuasione di trovarsi in una
siffatta situazione), e ritenne di reagire: lo fece venendo a incidere su un ne

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confermato dai suddetti Spano e Bortoli.

giuridico del tutto omogeneo rispetto a quello che era in quel momento oggetto
dell’aggressione, senza pertanto che possa revocarsi in dubbio la proporzionalità
della reazione de qua.
In ogni caso, i giudici di secondo grado avrebbero del tutto pretermesso di
affrontare il problema – evidenziato nei motivi di appello – concernente il
superamento di quella proporzione da parte del Ferrario per mera colpa,
conseguentemente dovendo applicare la norma di cui all’art. 55 cod. pen.
2.3 II terzo motivo riguarda la dedotta inosservanza ed erronea applicazione

comma 1, lett. e) del codice di rito.
Secondo la difesa, i riferimenti generici alla gravità del fatto commesso od ai
precedenti dell’imputato non possono intendersi sufficienti per fondare la
determinazione del trattamento sanzionatorio, né per operare il giudizio di
comparazione fra circostanze di segno diverso: nel caso di specie, inoltre, risulta
comunque provato che la condotta del Ferrario dipese dal contegno di
prevaricazione che il Parcianello aveva assunto nei riguardi della Spano, poi
mantenuto anche nei confronti dello stesso imputato. Sarebbe infine scorretto
individuare una pena base nettamente superiore al minimo edittale in ragione
dell’entità delle lesioni provocate, quando tale elemento risulta oggetto di
doverosa – ed unica – valutazione al momento della verifica della sussistenza
dell’aggravante prevista dall’art. 583 cod. pen.
2.4 Il quarto ed ultimo motivo di ricorso richiama identiche censure rispetto
a quelle di cui al punto precedente, con riguardo alla negazione del beneficio
della sospensione condizionale della pena.
A riguardo, la difesa deduce comunque violazione dell’art. 597 cod. proc.
pen., dal momento che il giudice di prime cure aveva comunque disposto
l’anzidetta sospensione condizionale, di cui invece la Corte territoriale – seppure
formalmente confermando la sentenza impugnata – avrebbe escluso che il
Ferrario fosse meritevole. Dal momento che non vi era stato appello del P.M., si
sarebbe verificata una inammissibile reformatio in peius.
In ogni caso, del tutto irragionevoli si paleserebbero gli elementi su cui
quella negazione – od implicita revoca – appare fondata: da un lato, la Corte di
appello avrebbe riconosciuto rilievo alla mancata comparizione in udienza del
Ferrario, contrariamente alla più che consolidata giurisprudenza di legittimità
secondo cui dalla contumacia dell’imputato non è possibile ricavare dati di sorta
in punto di concedibilità o meno della sospensione condizionale; dall’altro, il fatto
stesso che non vi fossero informazioni sulla attuale situazione di vita e
sull’attuale condotta del ricorrente avrebbe dovuto impedire ogni presunzione in

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degli artt. 69 e 133 cod. pen., nonché correlati vizi della motivazione ex art. 606,

senso sfavorevole, tanto più che il precedente specifico più volte evocato
riguardava un episodio assai modesto, risalente al 2004 (con pena condonata).

3. In data 31/07/2013 è stata depositata memoria difensiva nell’interesse
della parte civile Michele Parcianello, con la quale si propongono argomenti volti
a confutare le tesi sviluppate dal ricorrente. Fra l’altro, vi si rileva che:
– non sarebbe comunque provato, risultando al contrario smentito da quanto
constatato presso i sanitari che prestarono cure tempestive al Parcianello, che

correggendo la prima deposizione in ordine al particolare della testata, aveva
confermato che il Parcianello non era ubriaco);
– la ricostruzione della parte civile appare riscontrata da più testimoni, al di là di
marginali discrasie su aspetti secondari, che debbono semmai leggersi come
indicative della genuinità delle rispettive narrazioni;
– la revoca dell’ordinanza ammissiva della testimonianza della moglie del Ferrario
fu ragionevole conseguenza della presa d’atto, da parte del giudice, che il
processo risultava sufficientemente istruito (in ogni caso, la donna era stata
regolarmente citata e non era comparsa senza addurre giustificazioni di sorta,
con la difesa dell’imputato a non insistere circa la necessità della sua audizione
né a formulare in seguito motivi di appello sul punto).

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non può trovare accoglimento.
1.1 Innanzi tutto, è evidente che gli argomenti utilizzati dal difensore
dell’imputato nel primo motivo di gravame tendono a sottoporre al giudizio di
legittimità aspetti che riguardano la ricostruzione del fatto e l’apprezzamento del
materiale probatorio, da riservare alla esclusiva competenza del giudice di merito
e già adeguatamente valutati sia in primo che in secondo grado.
Sino alla novella introdotta con la legge n. 46 del 2006, la giurisprudenza di
questa Corte affermava pacificamente che al giudice di legittimità deve ritenersi
preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione
impugnata e l’autonoma adozione di nuovi o diversi parametri di ricostruzione e
valutazione dei fatti, ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore
capacità esplicativa, dovendo soltanto controllare se la motivazione della
sentenza di merito fosse intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e
spiegare l’iter logico seguito. Quindi, non potevano avere rilevanza le censure
che si limitavano ad offrire una lettura alternativa delle risultanze probatorie, e la

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costui versasse in stato di alterazione alcolica (lo stesso Hadhoud, pur

verifica della correttezza e completezza della motivazione non poteva essere
confusa con una nuova valutazione delle risultanze acquisite: la Corte, infatti,
«non deve accertare se la decisione di merito propone la migliore ricostruzione
dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma limitarsi a verificare se
questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una
plausibile opinabilità di apprezzamento» (v., ex plurimis, Cass., Sez. IV, n. 4842
del 02/12/2003, Elia).
I parametri di valutazione possono dirsi solo parzialmente mutati per effetto

novella: in linea di principio, questa Corte potrebbe infatti ravvisare un vizio
rilevante in termini di inosservanza di legge processuale, e per converso in
termini di manifesta illogicità della motivazione, laddove si rappresenti che le
risultanze processuali avrebbero in effetti consentito una ricostruzione dei fatti
alternativa rispetto a quella fatta propria dai giudici di merito, purché tale
diversa ricostruzione abbia appunto maggior spessore sul piano logico
(realizzando così il presupposto del “ragionevole dubbio” ostativo ad una
pronSiiièipeiiattnedpiùlaNte ribadito che anche all’esito della suddetta riforma «gli
aspetti del giudizio che consistono nella valutazione e nell’apprezzamento del
significato degli elementi acquisiti attengono interamente al merito e non sono
rilevanti nel giudizio di legittimità se non quando risulti viziato il discorso
giustificativo sulla loro capacità dimostrativa e […], pertanto, restano
inammissibili, in sede di legittimità, le censure che siano nella sostanza rivolte a
sollecitare soltanto una rivalutazione del risultato probatorio» (Cass., Sez. V, n.
8094 dell’11/01/2007, Ienco, Rv 236540). E, proprio con riguardo al principio
dell’ “oltre ogni ragionevole dubbio”, si è da ultimo precisato che esso non ha
comunque inciso sulla natura del sindacato della Corte di Cassazione in punto di
motivazione della sentenza e non può, quindi, «essere utilizzato per valorizzare e
rendere decisiva la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto,
eventualmente emerse in sede di merito e segnalate dalla difesa, una volta che
tale duplicità sia stata oggetto di attenta disamina da parte del giudice
dell’appello» (Cass., Sez. V, n. 10411 del 28/01/2013, Viola, Rv 254579).
Nella fattispecie oggi in esame, al contrario, la difesa punta proprio a far
rivalutare a questa Corte le emergenze istruttorie, occupandosi soltanto degli
elementi di fatto a dispetto della dedotta sussistenza di vizi ex art. 606 cod.
proc. pen. Si deve osservare, a riguardo, l’evidente inconsistenza degli
argomenti su cui il ricorso si sofferma per evocare la possibilità di dubbi
ragionevoli sulla ricostruzione di merito fatta propria dai giudici di primo e
secondo grado, ove si consideri – a tacer d’altro – che pure ravvisando elementi
di divergenza nel narrato della fidanzata e del padre del Parcianello sulla

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delle modifiche apportate agli artt. 533 e 606 cod. proc. pen. con la ricordata

dinamica della prima testata, è comunque innegabile che tutti e due riferiscano
di un simile gesto violento; inoltre, anche chi di testate non ne distinse notò un
segno sul labbro del Parcianello (il Bortoli) od un sanguinamento (Hadhoud),
visibili immediatamente dopo che la parte civile era stata affrontata
dall’imputato. Quanto al presunto calcio, per superare l’assoluta linearità degli
argomenti adottati dai giudici di merito (ancora una volta, il riscontro immediato
della lesione subita, anche nella percezione della frattura che subito il Parcianello
dimostrò di avere avuto, rispetto al contrasto fisico con il Ferrario), il ricorrente

visto la parte civile “fare un salto, per tirare un calcio, e cadere. Cioè inciampare
sulla caviglia”: un salto che, per quanto erroneamente attribuito a parti inverse
nella motivazione della sentenza impugnata, non notò neppure il Bortoli,
trovatosi in mezzo fra i due contendenti.
Evidente, al di là delle osservazioni correttamente esposte dalla difesa di
parte civile nella memoria da ultimo depositata circa il difetto di impugnazione
della sentenza di primo grado in parte qua, è poi l’impossibilità di reputare prova
decisiva la testimonianza della moglie del Ferrario, cui il Tribunale ritenne
ragionevolmente di non dare corso: richiamando il contrasto di versioni già
emerso, è infatti lo stesso ricorrente a segnalare che detta prova non sarebbe
stata affatto decisiva, visto che, al più, avrebbe sposato l’una o l’altra delle
ricostruzioni già emerse (mentre, se ne avesse proposta una terza, sarebbe stata
ancor meno dirimente).
1.2 E’ infondato il secondo motivo di ricorso, sulla dedotta inosservanza ed
erronea applicazione degli artt. 52, 55 e 59 cod. pen.: già la sentenza di primo
grado, in vero, si dilunga sulla possibilità del Ferrario di allontanarsi senza
accettare la presunta “sfida” portatagli dall’altro, tanto da avere anche superato
l’intervento del Bortoli che si era frapposto come paciere. Ciò esclude in radice
la possibilità di discutere di difesa legittima, anche sul piano putativo od in
termini di eccesso colposo.
1.3 In ordine alla quantificazione della pena, deve ricordarsi che la
graduazione del trattamento sanzionatorio rientra nella discrezionalità del giudice
di merito, il quale la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai
principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.., sicché è inammissibile la
censura che, nel giudizio di Cassazione, miri ad una nuova valutazione della
congruità della pena (v. Cass., Sez. III, n. 1182 del 17/10/2007, Cilia). Inoltre,
le Sezioni Unite hanno puntualizzato che le statuizioni relative al giudizio di
comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale
tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non
siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da

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si avvale del contributo a dir poco fantasioso di chi – la Spano – ritenne di aver

sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi anche quella che per giustificare
la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare
l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (v. Cass., Sez. U, n. 10713 del
25/02/2010, Contaldo)
1.4 II quarto motivo di ricorso esprime una doglianza del tutto priva di
significato concreto, atteso che la Corte di appello risulta essere incorsa in un
chiaro refuso nel segnalare che non poteva esservi spazio per ipotizzare una
futura regolarità di comportamento da parte del Ferrarlo, così volendo motivare

della pena – che invece era stato già riconosciuto in favore dell’imputato. Il
contenuto della decisione di secondo grado, consacrato nel dispositivo della
pronuncia, è comunque di conferma della sentenza del Tribunale, per cui le
osservazioni in punto di negata sospensione condizionale non comportano alcuna
reformatio in peius e

oltre a risultare erronee, segnatamente laddove si

assegna valenza negativa ad un comportamento, quale la mancata comparizione
in udienza, che costituisce manifestazione di una facoltà prevista dalla legge debbono considerarsi tamquam non essent.

2. Il rigetto del ricorso comporta la condanna dell’imputato al pagamento
delle spese del presente giudizio di legittimità.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 30/09/2013.

la conferma della negazione di un beneficio – della sospensione condizionale

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