Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5572 del 16/01/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 2 Num. 5572 Anno 2014
Presidente: GALLO DOMENICO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 16/01/2014

SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di ROMANO Giuseppe, n. a Palermo
il 14.09.1964, attualmente agli arresti domiciliari per questa causa,
rappresentato e assistito dall’avv. Nino Zanghì avverso l’ordinanza
emessa dal Tribunale di Palermo sezione del riesame in data
25.10.2013;
rilevata la regolarità degli avvisi di rito;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Andrea Pellegrino;
sentite le conclusioni del Sostituto procuratore generale dott.
Massimo Galli che ha chiesto il rigetto del ricorso nonché del difensore
del ricorrente che ha chiesto di voler cassare l’ordinanza impugnata.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza ex art. 310 cod. proc. pen., il Tribunale di Palermo,

1

sezione del riesame, respingeva l’appello proposto nell’interesse di
ROMANO Giuseppe avverso l’ordinanza emessa dal Giudice per le
indagini preliminari presso il Tribunale di Palermo in data
26.09.2013 che aveva rigettato l’istanza di revoca e sostituzione
della misura cautelare degli arresti domiciliari per i delitti di cui
agli artt. 611 e 628 cod. pen., così qualificati dal giudicante e per i
quali era già stata formalizzata richiesta di giudizio immediato.

2. Avverso detto provvedimento, nell’interesse di ROMANO Giuseppe
veniva proposto ricorso per cassazione per i seguenti motivi:
-violazione dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen. in riferimento all’art.
273, commi 1 e 1-bis cod. proc. pen. (primo motivo);
-violazione dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen. in riferimento agli
artt. 274 e 292 cod. proc. pen., motivazione apparente (secondo
motivo).
In relazione al primo motivo, lamenta il ricorrente come il
provvedimento impugnato meriti censura e riforma dal momento che
i giudici di secondo cure non hanno colto la valenza del fatto nuovo
costituito dalla notifica all’imputato della richiesta di giudizio
immediato per un’ipotesi di reato diversa rispetto a quella per la
quale era stata emessa la misura custodiale (art. 629 cod. pen.).
Nella fattispecie si sarebbe in presenza di indizi ritenuti,
originariamente, sussistenti per un fatto diverso rispetto a quello per
il quale il pubblico ministero procedente ha successivamente
richiesto il giudizio immediato, con la conseguenza che i gravi indizi
di colpevolezza richiesti dall’art. 273, commi 1 e 1-bis cod. proc.
pen. dovevano ritenersi insussistenti così come erano stati ritenuti
dallo stesso giudice per le indagini preliminari al momento
dell’emissione dell’ordinanza custodiale.
In relazione al secondo motivo, lamenta il ricorrente come il
provvedimento impugnato meriti censura anche con riferimento alle
violazioni indicate per assoluta carenza di motivazione, dal momento
che, al di là di semplici affermazioni di stile, nessuna reale
motivazione era stata addotta dai giudici di seconde cure al fine di
rispondere compiutamente alle doglianze difensive. Invero, il
Tribunale di Palermo, dopo una stringata elencazione di massime
giurisprudenziali, aveva ritenuto assolto il compito di motivare circa il
concreto pericolo di reiterazione di delitti analoghi da parte del

2

ricorrente, senza tenere in alcun conto della doglianza difensiva
relativa la tempo intercorso tra la data di commissione del presunto
reato (04.06.2012) e la data di applicazione della misura cautelare
(16.07.2013). Nel corso di questi sedici mesi, nessun fatto che abbia
in qualche modo coinvolto il ROMANO era stato prospettato al fine di
descriverne negativamente la personalità o di dare una sia pur
minima parvenza di concretezza al pericolo di recidiva. Appariva

inoltre poco logica la motivazione del provvedimento impugnato in
ordine alla paventata pervicacia ed attitudine alla consumazione di
reati della stessa specie di quelli per cui si procede, valutazione che
mal si coniuga con il totale disinteressamento ed inerzia del ROMANO
nei riguardi della parte offesa, con la quale ogni rapporto risulta
essersi interrotto dal 04.06.2012.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato e, come tale, inammissibile.
2. Rileva il Collegio come le posizioni del ROMANO e del coindagato
concorrente Di Maio, sulla base delle prospettazioni rese dal
Tribunale di Palermo, appaiano del tutto sovrapponibili (peraltro,
anche alla luce degli identici ricorsi per cassazione proposti) e tali da
giustificare una trattazione, di fatto, unitaria.
3. In relazione al primo motivo, si osserva come per consolidata
giurisprudenza di questa Suprema Corte (cfr., Cass., Sez. un., n. 16
del 19/06/1996-dep. 22/10/1996, Di Francesco, rv. 205617; Cass.,
Sez. 1, n. 4864 del 14/07/1997-dep. 06/11/1997, P.G. in proc.
Cavaliere, rv. 208724), al giudice per le indagini preliminari, in sede
di applicazione della misura cautelare ai sensi dell’art. 292 cod. proc.
pen. e al tribunale in sede di riesame o di appello ai sensi degli artt.
309 e 310 cod. proc. pen., è consentito modificare la qualificazione
giuridica data dal pubblico ministero al fatto per cui si procede,
giacchè, in forza del principio di legalità, è sempre consentito al
giudice attribuire la corretta qualificazione giuridica al fatto descritto
nell’imputazione, senza che ciò incida sull’autonomo potere
d’iniziativa del pubblico ministero e fermo restando che l’eventuale
correzione del

“nomen juris”

non può avere effetto oltre il

procedimento incidentale. Ne consegue che detta modifica non ha

3

determinato né immutazione del fatto, né lesione di ipotetici diritti di
difesa, né conseguenze sui termini di efficacia della misura cautelare
ovvero sui provvedimenti successivamente richiesti al giudice quale
conseguenza dell’esercizio dell’azione penale: da qui l’inammissibilità
del motivo.
4. Prima di passare all’esame del secondo motivo di doglianza, si rende
indispensabile operare una breve premessa in merito alle preclusioni

valutate operanti in sede di legittimità. Da sempre la Suprema Corte
insegna che, in tema di giudizio di cassazione, al giudice di
legittimità sono precluse la rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di
nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti,
ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità
esplicativa, dovendosi essa limitare al controllo se la motivazione dei
giudici del merito sia intrinsecamente razionale e capace di
rappresentare e spiegare l’iter logico seguito (cfr., ex multis, Cass.,
Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006-dep. 28/12/2006, De Vita, rv.
235507). Inoltre, la denunzia di minime incongruenze argomentative
o l’omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente
ritenga tali da determinare una diversa decisione, ma che non siano
inequivocabilmente munite di un chiaro carattere di decisività, non
possono dar luogo all’annullamento della sentenza, posto che non
costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa
che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto, ma è solo l’esame
del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia
contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la
decisività degli elementi medesimi oppure la loro ininfluenza ai fini
della compattezza logica dell’impianto argomentativo della
motivazione (Cass., Sez. 2, n. 9242 del 08/02/2013-dep.
27/0272013, Reggio, rv. 254988).
Fermo quanto precede, si osserva come il secondo motivo di ricorso
è inammissibile perché sostanzialmente deduce valutazioni di merito,
sollecitando una rivisitazione esorbitante dai compiti del giudice di
legittimità della valutazione del materiale probatorio che il giudice
dell’appelo cautelare ha operato, sostenendola con motivazione
coerente ai dati probatori richiamati ed immune da vizi logici.
Come è noto, afferma la giurisprudenza della Suprema Corte che, in

4

tema di misure cautelari personali, ai fini della valutazione del
pericolo che l’imputato commetta delitti della stessa specie, il
requisito della concretezza non si identifica con quello dell’attualità,
derivante dalla riconosciuta esistenza di occasioni prossime
favorevoli alla commissione di nuovi reati, ma con quello
dell’esistenza di elementi concreti sulla base dei quali è possibile
affermare che l’imputato possa commettere delitti della stessa specie

di quello per cui si procede, e cioè che offendano lo stesso bene
giuridico (cfr., da ultimo, Cass., Sez. 6, n. 28618 del 05/04/2013dep. 03/07/2013, Pmt. in proc. Vignali, rv. 255857).
La motivazione del Tribunale di Palermo che giustifica il
mantenimento della misura cautelare in atto è congrua e pienamente
rispettosa dei criteri elaborati dalla giurisprudenza avendo i giudici di
seconde cure adeguatamente motivato la concretezza del pericolo di
reiterazione del reato da parte del ROMANO tenuto conto:
-delle gravi modalità del fatto;
-della pervicacia con la quale l’indagato ha portato avanti il suo
intento criminale nel corso di diversi mesi, in una progressione di
violenza sfociata nella rapina in contestazione mediante l’uso di
un’arma;
-della sfrontatezza del comportamento criminoso da parte dei due
indagati che riferirono alla persona offesa che non avrebbero
desistito dal loro intento criminale neppure dopo l’intervento della
polizia giudiziaria;
-dell’assenza di sopravvenienze favorevoli all’indagato e tali da
giustificare un’attenuazione della misura, non potendo il solo dato
temporale giustificare una rivisitazione del giudizio cautelare.
5. Alla pronuncia di inammissibilità consegue ex art. 616 cod. proc.
pen. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali
nonché, valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, la condanna
al pagamento della somma di Euro 1.000,00 a favore della Cassa
delle ammende

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle

5

ammende.

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Dott. Andrea Pellegrino

Dott. Dom4nico Gallo

Così deliberato in Roma, in camera di consiglio del 16.1.2014

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA