Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 557 del 29/11/2017


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 557 Anno 2018
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: LIBERATI GIOVANNI

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
FELICETTI MARINO nato il 10/08/1954 a SAN BENEDETTO DEL TRONTO

avverso la sentenza del 01/12/2016 del TRIBUNALE di ASCOLI PICENO
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere GIOVANNI LIBERATI;

Data Udienza: 29/11/2017

RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale di Ascoli Piceno ha condannato
Marino Felicetti alla pena di euro 3.000,00 di ammenda in relazione ai reati di cui agli
artt. 64, comma 1, lett. a), c) et d), 71, comma 1, 192, comma 2, d.lgs. 81/2008.
Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando
violazione di legge e vizio della motivazione, a cagione del fatto che la motivazione della
sentenza di condanna si fondava esclusivamente su quanto dichiarato dal testimone

riscontri a tali dichiarazioni; ha lamentato anche la mancata illustrazione dei criteri di
determinazione della pena.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato.
La doglianza relativa alla insufficienza della motivazione, in quanto fondata
esclusivamente sulle dichiarazioni degli operanti, oltre che generica, non indicando lacune
o incompletezze della motivazione, è manifestamente infondata, non occorrendo riscontri
alle dichiarazioni testimoniali (peraltro rinvenibili nel riferimento ai verbali di
sopralluogo), se non nell’ipotesi di cui al terzo comma dell’art. 192 cod. proc. pen., non
sussistente nel caso in esame.
Quanto alla doglianza relativa alla insufficienza della motivazione in ordine alla
misura della pena, va rilevato che il Tribunale, sia pure in modo estremamente sintetico,
ha dato atto di aver considerato tutti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. e di ritenere
equo determinare la pena nella misura complessiva di euro 3.000,00, evidentemente
considerando l’entità dei fatti quali in precedenza descritti e la circostanza, sottolineata in
altra parte della motivazione, della mancata ottemperanza da parte dell’imputato alle
prescrizioni impartitegli per regolarizzare luoghi e strumenti di lavoro: si tratta di
motivazione che, per quanto assai sintetica, dà conto del criterio seguito per determinare
la pena, stante il rilievo attribuito ai fatti, alla condotta dell’imputato e alla sua
personalità, e non può, quindi, ritenersi inadeguata; essa, poi, non è censurabile sul
piano del merito nel giudizio di legittimità, con la conseguente manifesta infondatezza
anche di tale censura.
Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e
rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia
proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma
dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del
versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata
in C 3.000,00.
1

dell’accusa, senza alcuna autonoma valutazione da parte del Tribunale, né indicazione di

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 29 novembre 2017
Il Presidente

Il Consigliere estensore

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