Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5568 del 16/01/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 5568 Anno 2014
Presidente: GALLO DOMENICO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 16/01/2014

SENTENZA
Sul ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica di Foggia
avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Bari, terza sezione penale
in funzione di giudice del riesame, in data 30.05.2013 nel
procedimento a carico di Mastropasqua Michele, n. a Zapponeta (FG)
il 16.08.1963 ed altri;
rilevata la regolarità degli avvisi di rito;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
letta la memoria difensiva presentata in data 10.01.2014 dagli
avvocati Raul Pellegrini (difensore di La Macchia Michele), Giulio
Treggiari (difensore di Mastropasqua Michele) ed Ermenegildo Russo
(difensore di La Macchia Michele e di Mastropasqua Michele);
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Andrea Pellegrino;
sentite le conclusioni del sostituto procuratore generale dott. Massimo
Galli che ha chiesto il rigetto del ricorso nonché dei difensori, avv.to

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Pellegrini e avv.to Russo che hanno aderito alle conclusioni della
pubblica accusa.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 30.05.2013, il Tribunale di Bari, terza
sezione penale, in funzione di giudice del riesame, in accoglimento

dell’istanza ex art. 309 cod. proc. pen. avanzata nell’interesse di
Mastropasqua Michele, annullava l’ordinanza emessa in data
30.04.2013 dal Giudice per le indagini preliminari presso il
Tribunale di Foggia per difetto di gravità indiziaria e disponeva
l’immediata remissione in libertà dell’indagato.
2. Evidenziavano i giudici di seconde cure come il procedimento,
originato da una lunga e complessa indagine posta in essere
dall’ufficio di vigilanza dell’INPS nonché della Guardia di Finanza,
avesse accertato l’esistenza di un collaudato meccanismo
frodatorio che vedeva quali soggetti protagonisti la La.Ma. Fruit
s.p.a., la ditta individuale Lamacchia Michele e la Mastropasqua
International s.p.a.; in particolare, Mastropasqua Michele, nella
sua qualità di legale rappresentante della Mastropasqua
International s.p.a., avrebbe contribuito a tale attività con artifizi
e raggiri consistiti nel formare falsi contratti di locazione del
capannone e dei mezzi agricoli apparentemente in uso alla La.Ma.
Fruit inducendo in errore i funzionari dell’INPS che erogava
prestazioni non dovute per disoccupazione agricola, di maternità e
di malattia (capo A); con schema identico, veniva contestata la
tentata truffa ai danni dello Stato (capi B e C).
Evidenziava il Tribunale di Bari come nei confronti del
Mastropasqua non era dato comprendere quale sarebbe stato il
suo ruolo né quale sarebbe stato il danno arrecato all’INPS,
facendosi generico riferimento nell’incolpazione a circa 60/70
lavoratori che avrebbero effettivamente prestato la loro attività
lavorativa per la Mastropasqua International e non per la La.Ma.
Fruit o ditte varie riconducibili al Lamacchia. Inoltre, per il
Tribunale, nell’ordinanza impugnata si faceva riferimento
all’ingiusto profitto che sarebbe derivato alla Mastropasqua
International dal conseguente risparmio di spesa per i contributi

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che detta società avrebbe dovuto versare all’INPS, ma non ad
altro elemento costitutivo del delitto contestato, ovvero il danno
che sarebbe stato subito dallo Stato per una prestazione
effettivamente resa. In ogni caso, con riferimento alla posizione
del Lamacchia Michele, le dichiarazioni rese dai lavoratori agli
ispettori dell’INPS sarebbero state comunque inutilizzabili perché
assunte in violazione dell’art. 220 disp. att. cod. proc. pen..

3. Avverso detto provvedimento, veniva proposto dal Procuratore della
Repubblica di Foggia ricorso per cassazione per violazione di legge
(art. 606 lett. b cod. proc. pen.) nonché per omessa e
contraddittoria motivazione (art. 606 lett. e cod. proc. pen.) con
richiesta di annullamento dell’ordinanza impugnata e rinvio al
Tribunale di Bari per nuova determinazione. Assume il ricorrente che,
difformemente da quanto ritenuto dal Tribunale di Bari, chiaro era il
danno subito dall’INPS, dal momento che nessun datore di lavoro né quello reale, né quello fittizio – aveva pagato i contributi all’INPS.
Inoltre, il Tribunale di Bari aveva reso motivazione illogica (oltre che
in violazione di legge) sul punto avendo omesso di considerare come
il risparmio di spesa del datore di lavoro, conseguente al mancato
pagamento dei contributi, è – esso stesso – un danno per l’INPS.
Con riferimento alle altre ipotesi di truffa, il Tribunale di Bari aveva
omesso di considerare come l’ordinanza cautelare si fondasse su altri
elementi rispetto alle dichiarazioni dei lavoratori, e precisamente:
a) sulle dichiarazioni rese dai soggetti economici che formalmente
risultavano aver avuto rapporti contrattuali con l’impresa La
Macchia Michele (ad es. Benvenuti Nicola, Ferrante Massimo,
Ariano Alberto, Failla Sebastiano);
b) sulle dichiarazioni del dott. Mogavero;
c) sulle dichiarazioni della dott.ssa Pavoni;
d) sulla reale titolarità dei mezzi agricoli e delle celle frigorifere
utilizzate dalle imprese La.Ma. Fruit e La Macchia Michele;
e) sulle numerosissime incongruenze registrate nelle dichiarazioni
dei lavoratori che hanno affermato di aver lavorato alle
dipendenze dell’impresa La Macchia Michele.

CONSIDERATO IN DIRITTO

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4. Il ricorso è infondato e, come tale, va respinto.
5. Prima di passare all’esame dei singoli motivi di doglianza, si rende
indispensabile operare una breve premessa in merito alle preclusioni
valutate operanti in sede di legittimità. Da sempre, la Suprema Corte
insegna che, in tema di giudizio di cassazione, al giudice di
legittimità sono precluse la rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di

nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti,
ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità
esplicativa, dovendosi essa limitare al controllo se la motivazione dei
giudici del merito sia intrinsecamente razionale e capace di
rappresentare e spiegare l’iter logico seguito (cfr., ex multis, Cass.,
Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006-dep. 28/12/2006, De Vita, rv.
235507). Inoltre, la denunzia di minime incongruenze argomentative
o l’omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente
ritenga tali da determinare una diversa decisione, ma che non siano
inequivocabilmente munite di un chiaro carattere di decisività, non
possono dar luogo all’annullamento della sentenza, posto che non
costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa
che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto, ma è solo l’esame
del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia
contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la
decisività degli elementi medesimi oppure la loro ininfluenza ai fini
della compattezza logica dell’impianto argomentativo della
motivazione (Cass., Sez. 2, n. 9242 del 08/02/2013-dep.
27/0272013, Reggio, rv. 254988). Si profila pertanto inammissibile il
motivo con il quale si deduca la violazione dell’art. 192 cod. proc.
pen., anche se in relazione agli artt. 125 e 546, comma 1, lett. e),
cod. proc. pen., per censurare l’omessa o erronea valutazione di ogni
elemento di prova acquisito o acquisibile, in una prospettiva
atomistica ed indipendentemente da un raffronto con il complessivo
quadro istruttorio, in quanto i limiti all’ammissibilità delle doglianze
connesse alla motivazione, fissati specificamente dall’art. 606,
comma 1, lett. e), cod. proc. pen., non possono essere superati
ricorrendo al motivo di cui all’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc.
pen., nella parte in cui consente di dolersi dell’inosservanza delle
norme processuali stabilite a pena di nullità (Cass., Sez. 6, n. 45249

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del 08/11/2012-dep. 20/11/2012, Cimini e altri, rv. 254274).
6. E così, conclusivamente, va riaffermato che, in tema di vizi della
motivazione, il controllo di legittimità operato dalla Suprema Corte
non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente
la migliore possibile ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la
giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione
sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile

opinabilità di apprezzamento.
7. Nella fattispecie, il pubblico ministero deduce violazione dell’art. 640
cod. pen. per non avere il giudice del riesame ravvisato l’elemento
costitutivo del reato, rappresentato dal danno per l’INPS. Risulta dai
documenti prodotti come l’impresa La Macchia avesse corrisposto
nell’aprile 2013 la somma di oltre 350.000,00 all’INPS, come del
resto riconosciuto dal Tribunale di Foggia, prima sezione penale, che,
in data 14.11.2013 aveva annullato la misura del sequestro
preventivo finalizzato alla confisca disposto dal giudice per le indagini
presso il Tribunale di Foggia in data 16.10.2013. Invero, l’INPS, in
presenza di prestazione di lavoro protrattasi per il tempo previsto
dalla legge, è tenuto comunque al pagamento delle prestazioni
previdenziali, e ciò anche quando il datore di lavoro rimanga
inadempiente al debito contributivo. Se l’INPS, quindi, non può
evitare di corrispondere le prestazioni previdenziali nell’ipotesi di
inadempienza da parte del datore di lavoro, tale ultima circostanza
finisce per divenire un fatto neutro rispetto a quell’obbligo, ma
certamente non può essere interpretato come un “artificio o raggiro”
idoneo a costringere l’INPS ad adempiere alla propria obbligazione.
Appare pertanto evidente che la truffa all’INPS è possibile, in
astratto, solo se – ad essere fittizia e/o inesistente – è la prestazione
lavorativa, non se fittizio è il datore di lavoro.
Ulteriore,

evidente,

corollario

al

principio

è

l’irrilevanza

dell’individuazione del reale debitore contributivo, non potendo la
situazione essere diversa se a restare totalmente inadempiente ai
propri obblighi contributivi fosse il datore di lavoro effettivo, anziché
quello apparente: da qui l’irrilevanza, ai fini dell’integrazione del
danno ingiusto elemento costitutivo della truffa, della tesi
accusatoria della ricorrenza di una c.d. simulazione relativa del
contratto in presenza di una denuncia all’INPS da parte di un datore

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di lavoro apparente (LA.MA Fruit s.r.I.) piuttosto che da parte di
quello effettivo (Mastropasqua s.r.I.).
E la stessa giurisprudenza di legittimità, in tema di interposizione
fittizia del datore di lavoro, non dubita che la prestazione lavorativa
esista e che l’INPS sia obbligata sul piano previdenziale, potendosi
solo discutere se il datore di lavoro apparente sia obbligato in solido
con il datore di lavoro effettivo al pagamento dei contributi e se

l’eventuale pagamento del datore di lavoro apparente sia satisfattivo
e valido anche per il datore di lavoro effettivo, cioè estingua anche la
sua obbligazione.
In presenza, quindi, di una prestazione lavorativa, l’interposizione
fittizia da parte del datore di lavoro non può mai esitare in una truffa
ai danni dell’INPS, con esclusione della sola ipotesi – nella
fattispecie, non ricorrente – in cui il rapporto di lavoro apparente sia
gravato da oneri contributivi inferiori rispetto a quelli che
graverebbero sul datore di lavoro effettivo o interponente,
comportando, in questo caso, l’interposizione fittizia datoriale, un
risparmio contributivo ai danni dell’INPS, idoneo a configurare il
danno ingiusto nella fattispecie di reato di cui all’art. 640 cod. pen..
8. Con riferimento alle altre ipotesi di truffa, si duole il ricorrente del
fatto che il Tribunale di Bari abbia annullato la misura cautelare solo
sul rilievo dell’inutilizzabilità delle dichiarazioni dei presunti falsi
lavoratori, omettendo di considerare e valutare l’esistenza di altre
quattro “diverse tipologie di prova” in base alle quali aveva richiesto
ed ottenuto il provvedimento cautelare.
L’assunto è infondato. Invero, mentre in un primo momento il
ricorrente riconosce, nel quadro indiziario, il carattere “assorbente”
dell’elemento di prova facente capo alle dichiarazioni dei lavoratori e,
correlativamente, la natura – per così dire – sussidiaria degli altri
indizi, subito dopo “rovescia” tale prospettiva, promuovendo questi
ultimi come indizi principali (e, verosimilmente, autosufficienti nella
prospettiva del presupposto della gravità) solo perché i primi sono
stati ritenuti inutilizzabili.
Peraltro, anche a voler prescindere dalla gravità, nulla viene dedotto
dal ricorrente in merito all’induzione in errore dell’INPS, essendo
l’Ente astrattamente in grado di controllare e di gestire la procedura
ed i pagamenti, provvedendo:

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a) a rilasciare ai datori di lavoro i moduli sui quali vengono redatti i
contratti di lavoro destinati poi a confluire negli elenchi dei
braccianti agricoli;
b) a ricevere le denunzie aziendali dei datori di lavoro per verificare
il numero di lavoratori occorrenti per i piani colturali denunziati;
c) a poter controllare, in presenza di nuove richieste di moduli
contrattuali, se sussistano le condizioni per il rilascio di nuovi

moduli, in base al verificato rapporto tra estensione terrenocoltura denunziata e numero dei lavoratori che si vogliono
assumere.
A questo va aggiunta la circostanza della mancata precisa
individuazione dei rapporti di lavoro asseritamente falsi (sessanta o
settanta lavoratori), con un’approssimazione capace di riverberarsi
nello stesso tempo sia sui termini dell’accusa che sui diritti difensivi e
che la fase processuale in corso non può giustificare né, tantomeno,
accettare.
Quanto alle altre indicate tipologie di prova, congrua appare la
valutazione in merito alla loro sostanziale inutilità ai fini della
dimostrazione della fittizietà dei rapporti di lavoro bensì – semmai
ai soli fini della prova dell’interposizione del datore di lavoro.
9. Da ultimo, appare rilevante evidenziare come la difesa abbia offerto
anche elementi che positivamente smentiscono la gravità indiziaria
delineata nel provvedimento impositivo della misura cautelare ed
oggetto di avallo da parte del pubblico ministero ricorrente; in
particolare, appare rilevante come l’iniziativa dell’INPS di ritenere le
posizioni dei lavoratori non contestati alle dipendenze di
Mastropasqua s.r.l. anziché di La Macchia s.r.I., costituisca oggetto di
un contenzioso presso il Tribunale del Lavoro di Foggia ove,
un’ingiunzione di pagamento per oltre 700.000,00 euro in danno di
Mastropasqua s.r.l. è stata sospesa, così come parimenti risulta
essere stata sospesa l’esecutività di altro avviso di addebito
notificato a Mastropasqua s.r.I., di cui dà conto il Tribunale di Foggia,
prima sezione penale, nel succitato provvedimento in data
14.11.2013

PQM

7

rigetta il ricorso.

Così deliberato in Roma, in camera di consiglio del 16.1.2014

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