Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5567 del 16/01/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 5567 Anno 2014
Presidente: GALLO DOMENICO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 16/01/2014

SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di ROMANO Giuseppe, n. a Palermo
il 14.09.1964, attualmente agli arresti domiciliari per questa causa,
rappresentato e assistito dall’avv. Nino Zanghì avverso l’ordinanza
emessa dal Tribunale di Palermo sezione feriale del riesame in data
02.08.2013;
rilevata la regolarità degli avvisi di rito;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Andrea Pellegrino;
sentite le conclusioni del sostituto procuratore generale dott. Massimo
Galli che ha chiesto il rigetto del ricorso nonché del difensore del
ricorrente che ha chiesto di voler cassare l’ordinanza impugnata.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza ex art. 309 cod. proc. pen., il Tribunale di Palermo,

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sezione feriale del riesame, respingeva la richiesta di riesame
proposta nell’interesse di ROMANO Giuseppe avverso l’ordinanza
applicativa della misura cautelare degli arresti domiciliari disposta
dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di
Palermo in data 16.07.2013 per i delitti di cui agli artt. 611 e 628
cod. pen..
2. Avverso detto provvedimento, nell’interesse di ROMANO Giuseppe

veniva proposto ricorso per cassazione per i seguenti motivi:
-violazione dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen. in relazione all’art.
125, comma 3 cod. proc. pen. (primo motivo);
-violazione dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen. in riferimento all’art.
273, commi 1 e 1-bis cod. proc. pen. (secondo motivo);
-violazione dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen. in relazione agli artt.
274 e 292 cod. proc. pen. (terzo motivo).
In relazione al primo motivo, lamenta il ricorrente come l’ordinanza
impugnata sia stata emessa, sia pur con altro numero di registro
generale, dal Tribunale di Palermo, sezione feriale del riesame, nei
confronti del ricorrente ROMANO Giuseppe e del coindagato Di Maio
Filippo, con l’adozione di un testo che, ad eccezione dei nomi dei due
indagati, risulta essere stato redatto in “fotocopia” senza che fossero
state esaminate dai giudici della cognizione le singole posizioni, tra
loro non sovrapponibili.
In relazione ai secondo motivo, lamenta il ricorrente come i giudici
del riesame abbiano omesso una valutazione critica delle doglianze
difensive, essendosi limitati ad una superficiale ricostruzione della
dinamica dell’evento mutuata acriticamente dal racconto di un
soggetto, tale Agliuzza, definito attendibile solo per essere stato il
denunciante del ROMANO e del Di Maio. Inoltre, ci si lamentava di
come non si fosse tenuto conto:
– del mancato ritrovamento, in sede di perquisizione effettuata
nell’immediatezza, del coltello a serramanico che sarebbe stato
utilizzato per “dare concretezza” alle minacce profferite nei confronti
dell’Agliuzza;
– del fatto che il Di Maio era stato fermato subito dopo essere uscito a
bordo del ciclomotore dell’Agliuzza dagli stessi agenti che lo avevano
identificato pochi minuti prima unitamente al ROMANO e che si erano
appostati subito fuori dal condominio di via Castellana 64, teatro

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dell’evento;
-dell’insanabile discrasia tra l’orario delle denuncia dell’Agliuzza (ore
8.45 del 04.06.2012) e quello in cui si sarebbe verificato il fatto (ore
19.00 del 04.06.2012), quest’ultimo successivo al primo.
In relazione al terzo motivo, lamenta il ricorrente come i giudici del
riesame abbiano ritenuto di dover assolvere all’obbligo motivazionale
circa il concreto pericolo di reiterazione di “delitti analoghi”

omettendo di considerare la distanza temporale tra la data di
commissione del presunto reato (04.06.2012) e quella di
applicazione della misura cautelare (16.07.2013). Inoltre, ci si duole
del fatto che i giudici di merito nessun rilievo avessero dato al fatto
che l’Agliuzza, per sua stessa ammissione, fosse un soggetto dedito
alle truffe ed ai falsi, mentre il ROMANO (come il coindagato Di Maio)
fosse soggetto incensurato e che non avesse avuto più alcun
rapporto con la vittima nei tredici mesi successivi al presunto reato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è manifestamente infondato e, come tale, inammissibile.
4. In relazione al primo motivo, si osserva come la doglianza sia del
tutto infondata.
Come, riconosciuto dallo stesso ricorrente, non può considerarsi
viziata l’ordinanza del giudice che, nel respingere la richiesta
presentata da più imputati di sostituzione della misura della custodia
cautelare con quella degli arresti domiciliari, dia una motivazione
“collettiva” delle ragioni della decisione, in quanto tale tipo di
motivazione non viola l’obbligo di individualizzazione delle decisioni
nei casi in cui la sovrapponibilità delle situazioni consenta anche una
sovrapponibilità delle argomentazioni (Cass., Sez. 4, n. 12559 del
01/12/2004-dep. 05/0472005, Polito, rv. 231314).
Rileva il Collegio come le posizioni del ROMANO e del coindagato
concorrente Di Maio, sulla base delle prospettazioni rese dal
Tribunale di Palermo appaiano del tutto sovrapponibili e tali da
giustificare una trattazione, di fatto, unitaria.
5. Prima di passare all’esame del secondo motivo di doglianza, si rende
indispensabile operare una breve premessa in merito alle preclusioni
valutate operanti in sede di legittimità. Da sempre la Suprema Corte

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insegna che, in tema di giudizio di cassazione, al giudice di
legittimità sono precluse la rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di
nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti,
ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità
esplicativa, dovendosi essa limitare al controllo se la motivazione dei
giudici del merito sia intrinsecamente razionale e capace di

rappresentare e spiegare l’iter logico seguito (cfr., ex multis, Cass.,
Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006-dep. 28/12/2006, De Vita, rv.
235507). Inoltre, la denunzia di minime incongruenze argomentative
o l’omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente
ritenga tali da determinare una diversa decisione, ma che non siano
inequivocabilmente munite di un chiaro carattere di decisività, non
possono dar luogo all’annullamento della sentenza, posto che non
costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa
che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto, ma è solo l’esame
del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia
contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la
decisività degli elementi medesimi oppure la loro ininfluenza ai fini
della compattezza logica dell’impianto argomentativo della
motivazione (Cass., Sez. 2, n. 9242 del 08/02/2013-dep.
27/02/2013, Reggio, rv. 254988). Si profila pertanto inammissibile il
motivo con il quale si deduca la violazione dell’art. 192 cod. proc.
pen., anche se in relazione agli artt. 125 e 546, comma 1, lett. e),
cod. proc. pen., per censurare l’omessa o erronea valutazione di ogni
elemento di prova acquisito o acquisibile, in una prospettiva
atomistica ed indipendentemente da un raffronto con il complessivo
quadro istruttorio, in quanto i limiti all’ammissibilità delle doglianze
connesse alla motivazione, fissati specificamente dall’art. 606,
comma 1, lett. e), cod. proc. pen., non possono essere superati
ricorrendo al motivo di cui all’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc.
pen., nella parte in cui consente di dolersi dell’inosservanza delle
norme processuali stabilite a pena di nullità (Cass., Sez. 6, n. 45249
del 08/11/2012-dep. 20/11/2012, Cimini e altri, rv. 254274).
6. E così, conclusivamente, va riaffermato che, in tema di vizi della
motivazione, il controllo di legittimità operato dalla Suprema Corte
non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente

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la migliore possibile ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la
giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione
sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile
opinabilità di apprezzamento.
7. Fermo quanto precede, si osserva come il secondo motivo di ricorso
è inammissibile perché sostanzialmente deduce questioni di merito,
sollecitando una rivisitazione esorbitante dai compiti del giudice di

distrettuale ha operato, sostenendola con motivazione coerente ai
dati probatori richiamati ed immune da vizi logici. Invero, il Tribunale
territoriale ha dato pienamente conto delle ragioni che l’avevano
indotto ad accreditare l’ipotesi accusatoria ed in tal senso ha
riconosciuto gravità indiziaria negli elementi sottoposti al suo vaglio,
rappresentati dalla comunicazione di notizia di reato del 16.06.2012
e relativi allegati, dalla denuncia sporta dalla persona offesa Agliuzza
Francesco in data 04.06.2012, dal verbale di sommarie informazioni
rese da Scimeca Maria, moglie dell’Agliuzza, in data 07.06.2012,
dalle annotazioni di servizio, infine, con le quali gli ufficiali di polizia
giudiziaria hanno dato atto dei loro interventi ed accertamenti:
elementi che avevano consentito di ritenere l’esistenza di un grave
compendio indiziario a carico del ROMANO con riferimento alle
accuse ritenute dal Giudice delle indagini preliminari presso il
Tribunale di Palermo in ragione della violenza e delle minacce
esercitate dal predetto ROMANO e dal correo Di Maio, per costringere
Agliuzza Francesco a commettere i reati di falso e truffa a loro
vantaggio, nonché dell’impossessamento del motociclo dell’Agliuzza
avvenuto tramite minaccia con l’uso di un coltello.
In particolare, il Tribunale di Palermo, nel sottoporre a vaglio critico
le dichiarazioni della persona offesa, ha escluso la sussistenza di
dubbi sulla sua attendibilità “soggettiva”, valutata in base a dati e
circostanze attinenti direttamente alla sua persona, quali, in
particolare, i rapporti con gli accusati, la genesi ed i motivi della
denuncia evidenziando:
-come la vittima non solo avesse prontamente denunciato ciascuno
dei fatti posti in essere ai suoi danni nella fase finale della vicenda,
ma si fosse altresì recata presso il Commissariato di Pubblica
Sicurezza ancor prima (da qui il superamento del rilievo difensivo in

,

legittimità della valutazione del materiale probatorio che la Corte

ordine alla pretesa inverosimiglianza di una denuncia precedente al
reato) che il ROMANO ed il suo complice Di Maio realizzassero la
rapina ai suoi danni -rapina, più volte preannunciata dai correidando così la possibilità alla polizia giudiziaria di intervenire
tempestivamente e riscontrare i fatti in tempo reale;
-come la vittima, denunciando il ROMANO ed il suo complice Di Maio,
non avesse omesso di autoaccusarsi di molteplici reati di truffa e

falso;
-come non fossero emerse ragioni di astio che avrebbero potuto
indurre l’Agliuzza ad accusare falsamente il ROMANO ed il Di Maio;
-come non sussistessero motivi per dubitare della attendibilità
“intrinseca” delle dichiarazioni rilasciate dalla persona offesa,
desunta da dati specifici e non esterni ad essa, quali la
verosimiglianza, la precisione e la completezza della narrazione dei
fatti;
-come anche il giudizio di attendibilità “oggettiva” del denunciante,
effettuato mediante tutti gli altri elementi di riscontro o di controllo,
induceva a riconoscere la sua credibilità. Elementi di riscontro
rappresentati :
a)

dalle dichiarazioni della Scimeca, che aveva confermato la

versione del marito relativamente alle diverse e gravi minacce subite
dallo stesso ad opera del ROMANO e del Di Maio e che aveva
confermato di aver visto in data 04.06.2012, in più momenti della
giornata, il ROMANO ed il Di Maio fermi presso la portineria del
proprio condominio e di aver quindi notato il Di Maio andar via a
bordo di un motociclo che le sembrò essere quello del marito;
b) dagli accertamenti di polizia giudiziaria che accompagnarono
l’Agliuzza presso la propria abitazione e che, poco dopo, videro il Di
Maio andar via a bordo del motociclo dell’Agliuzza;
c) dai riscontri, acquisiti dalla polizia giudiziaria, in ordine alle lesioni
subite dalla persona offesa in data 09.12.2011 nonché presso la
banca dati dell’ACI dei passaggi di proprietà di auto in favore della
moglie del Di Maio nonché in favore di tale Cappadonia Antonio.
8. La linea argomentativa così sviluppata è immune da qualsiasi caduta
di consequenzialità logica, evidenziabile dal testo del provvedimento,
mentre il tentativo del ricorrente di prospettare una diversa
ricostruzione del fatto si risolve, per l’appunto, nella prospettazione

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di una lettura soggettivamente orientata del materiale probatorio
alternativa a quella fatta motivatamente propria dal giudice di merito
nel tentativo di sollecitare quello di legittimità ad una rivisitazione
degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o
all’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e
valutazione dei medesimi, che invece gli sono precluse ai sensi della
lett. e) del citato art. 606 cod. proc. pen..

9. Parimenti inammissibile è la terza censura avanzata nel ricorso.
Come è noto, afferma la giurisprudenza della Suprema Corte che, in
tema di misure cautelari personali, ai fini della valutazione del
pericolo che l’imputato commetta delitti della stessa specie, il
requisito della concretezza non si identifica con quello dell’attualità,
derivante dalla riconosciuta esistenza di occasioni prossime
favorevoli alla commissione di nuovi reati, ma con quello
dell’esistenza di elementi concreti sulla base dei quali è possibile
affermare che l’imputato possa commettere delitti della stessa specie
di quello per cui si procede, e cioè che offendano lo stesso bene
giuridico (cfr., da ultimo, Cass., Sez. 6, n. 28618 del 05/04/2013dep. 03/07/2013, Pmt. in proc. Vignali, rv. 255857).
La motivazione del Tribunale di Palermo che giustifica la misura
cautelare in atto è congrua e pienamente rispettosa dei criteri
elaborati dalla giurisprudenza avendo i giudici di seconde cure
adeguatamente motivato la concretezza del pericolo di reiterazione
del reato da parte del ROMANO tenuto conto:
-delle gravi modalità del fatto;
-della pervicacia con la quale l’indagato ha portato avanti il suo
intento criminale nel corso di diversi mesi, in una progressione di
violenza sfociata nella rapina in contestazione mediante l’uso di
un’arma;
-della sfrontatezza del comportamento criminoso da parte dei due
indagati che riferirono alla persona offesa che non avrebbero
desistito dal loro intento criminale neppure dopo l’intervento della
polizia giudiziaria.
10. Alla pronuncia di inammissibilità consegue ex art. 616 cod. proc.
pen. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali
nonché, valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, la condanna
al pagamento della somma di Euro 1.000,00 a favore della Cassa

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delle ammende

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle
ammende.

Il Presidente

Il Consigliere estensore
Dott. Andrea Pellegrino

Dott.

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llo

Così deliberato in Roma, in camera di consiglio del 16.1.2014

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