Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5566 del 21/11/2012


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 5566 Anno 2013
Presidente: FOTI GIACOMO
Relatore: D’ISA CLAUDIO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
I) BAHAJ REFAT N. IL 17/09/1983
avverso la sentenza n. 1576/201 I CORTE APPELLO di VENEZIA, del
25/10/2011
dato avviso alle parti,
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. CLAUDIO D’ISA;

Data Udienza: 21/11/2012

Per questi motivi

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della
Cassa delle ammende della somma di euro 1000,00 (mille/00).
Così deciso in Roma in camera di consiglio il 21 novembre 2012.

Osserva
BAHA) REFAT ricorre in Cassazione avverso la sentenza in epigrafe
indicata, della Corte d’appello di Venezia che, in parziale riforma della
sentenza di condanna emessa nei suoi confronti il 4.11.2010 dal GUP del
Tribunale di Padova in ordine a più delitti di cui agli artt. 110 cod. pen. e 73
d.P.R. 309/90, ha ridotto la pena inflitta in primo grado.
Denuncia manifesta illogicità della motivazione in relazione alla erronea
quantificazione della pena per i capi C) e D) della rubrica. Si deduce che la
Corte, pur rilevando l’errore in cui è incorso il giudice di primo grado che
aveva impropriamente considerato separati i fatti di cui ai capi C) e D),
ritenendola un’unica imputazione, erra nell’affermare la responsabilità del
ricorrente per tutti gli episodi elencati al capo D), atteso che nell’ambito di
tale unico capo d’imputazione l’unica condotta illecita contestata al
ricorrente è quella dell’ultimo episodio indicato alla data del 12.04.2009.
Il motivo è manifestamente infondato sicché il ricorso va dichiarato
inammissibile.
Va premesso che in sede di udienza camerale, innanzi alla Corte d’appello,
il difensore dell’imputato rinunciava tutti i motivi di appello diversi da quelli
inerenti alla riduzione della pena.
Ed invero questa Corte ha affermato (Sez. 2, Sentenza n. 3593 del
03/12/2010 Ud. Rv. 249269) che è inammissibile il ricorso per cassazione
avverso la decisione del giudice di appello che, rilevata la rinuncia
dell’imputato ai motivi di appello diversi da quelli relativi alla riduzione di
pena, dichiari, in virtù degli art. 589, commi secondo e terzo e 591, comma
primo, lett. d) cod. proc. pen., l’inammissibilità sopravvenuta dei motivi
oggetto di rinuncia, omettendone l’esame ai fini dell’applicazione dell’art.
129 cod. proc. pen., considerato che la rinuncia ha effetti preclusivi
sull’intero svolgimento processuale, ivi compreso il giudizio di legittimità.
Pertanto, poiché, ex art. 597, comma primo, cod. proc. pen., l’effetto
devolutivo dell’impugnazione circoscrive la cognizione del giudice del
gravame ai soli punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti,
una volta che essi costituiscano oggetto di rinuncia, non può il giudice di
appello prenderli in considerazione, né può farlo il giudice di legittimità sulla
base di un’ipotetica implicita revoca di tale rinuncia, stante l’irrevocabilità di
tutti i negozi processuali, ancorché unilaterali.
Nel caso di specie il motivo esposto non riguarda la quantificazione della
pena ma la responsabilità in ordine a determinate condotte contestate.
Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della
Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma di
euro 1000,00 (mille/00) a titolo di sanzione pecuniaria.

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