Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5553 del 09/01/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 5553 Anno 2014
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: RAGO GEPPINO

SENTENZA
su ricorso proposto da:
CLERICI ANDREA nato il 13/06/1953, avverso l’ordinanza del
10/05/2013 del Tribunale del Riesame di Firenze;
Visti gli atti, l’ordinanza ed il ricorso;
udita la relazione fatta dal Consigliere dott. Geppino Rago;
udito il Procuratore Generale in persona del dott.ssa Elisabetta Cesqui
che ha concluso per il rigetto;
FATTO e DIRITTO
1. Con ordinanza del 10/05/2013, il Tribunale del Riesame di
Firenze confermava il decreto con il quale, in data 01/03/2013, il giudice
per le indagini preliminari del tribunale della medesima città aveva
disposto il sequestro preventivo della somma di € 10.381.721,17 ovvero
di beni per un valore corrispondente, nei confronti di CLERICI Andrea
indagato del reato di cui agli art. 110 – 640 bis cod. pen.

2. Avverso la suddetta ordinanza, l’indagato, a mezzo del proprio
difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo la

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VIOLAZIONE

Data Udienza: 09/01/2014

DELL’ART.

321/2

COD. PEN.

nella parte in cui il Tribunale aveva ritenuto di

far propria la tesi secondo la quale, in virtù del principio solidaristico,
ogni imputato risponde di tutto il profitto conseguito a seguito della
consumazione del reato, salvo, poi, il regresso nei confronti dei
concorrenti.

che la questione sia rimessa alle SSUU.

3. Il ricorso, nei termini in cui la doglianza è stata dedotta, è
infondato.
Il ricorrente ha sollevato, nuovamente, la questione se, in caso di
reato commesso da più persone, il sequestro preventivo (preordinato
alla successiva confisca) debba essere disposto ed eseguito, per l’intero
importo relativo al prezzo o al profitto del reato, in danno di uno o più
coindagati, nonostante le somme illecite siano state incamerate in tutto
o in parte da altri coindagati, ovvero se debba essere disposto in danno
di ogni singolo coindagato solo per la somma da ciascuno dei medesimi
incamerata.
La questione, non nuova, è dibattuta nell’ambito di questa Corte di
legittimità.
Secondo un primo cospicuo filone giurisprudenziale, «è legittimo il
sequestro preventivo, funzionale alla confisca di cui all’art. 322-ter cod.
pen., eseguito in danno di un concorrente del reato di cui all’art. 316-bis
cod. pen., per l’intero importo relativo al prezzo o profitto dello stesso
reato, nonostante le somme illecite siano state incamerate in tutto o in
parte da altri coindagati»: Cass. 15445/2004 riv 228750 – Cass.
30729/2006 riv 234849 – Cass. 31989/2006 riv 235128 – Cass.
10838/2006 riv 235832 – Cass- 9786/2007 riv 235842 – Cass.
45389/2008 riv 241974 – Cass. 5401/2009 riv 242777 – Cass.
18536/2009 riv 243190 – Cass. 33409/2009 riv 244839.
A tutt’altre conclusioni, giunge un altro indirizzo giurisprudenziale,
secondo il quale, invece, «in caso di pluralità di indagati, concorrenti nel
medesimo reato, il sequestro preventivo funzionale alla confisca,
compresa quella per equivalente ai sensi dell’art.322 ter cod. proc. pen.,

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Il ricorrente, con vari argomenti, critica la suddetta tesi chiedendo

non può eccedere, per ciascuno dei concorrenti, la misura del profitto
allo stesso attribuibile»: Cass. 31690/2007 – Cass. 34878/2007 – Cass.
35120/2007 – Cass. 10690/2009 riv 243189.
Questa Corte, ritiene di adeguarsi al primo dei suddetti indirizzi
per le ragioni di seguito indicate.

scioglimento dei due nodi dogmatici sottesi alla problematica in esame,
ossia, quale sia la natura giuridica: a) della confisca prevista dall’art.
322 ter c.p. (richiamato dall’art. 640 quater c.p.); b) del concorso delle
persone nel reato.
In ordine alla prima questione (natura giuridica della confisca),
l’alternativa è quella di qualificare la confisca o come misura di sicurezza
o come misura di carattere sanzionatorio.
La confisca come misura di sicurezza, è stata ritenuta dalla
giurisprudenza di legittimità, in relazione all’art. 240 c.p., essendo stato
statuito che «la confisca prevista dall’art. 240 Cod. pen. è una misura
di sicurezza patrimoniale, tendente a prevenire la commissione di nuovi
reati mediante l’espropriazione a favore dello stato di cose che, essendo
quanto meno collegate alla esecuzione di illeciti penali, manterrebbero
viva l’idea e la attrattiva del reato. Essa quindi ha carattere cautelare e
non punitivo ed implica, anche nell’ipotesi facoltativa più lata,
concernente “le cose che servono a commettere il reato”, un rapporto
di “asservimento” effettivo tra cosa e reato nel senso che la prima deve
risultare oggettivamente collegata al secondo da un nesso strumentale
che riveli effettivamente la possibilità futura del ripetersi di una attività
punibile»: ex plurimis Cass. 9903/1986 riv 173822.
Ove si aderisse a questa qualificazione giuridica anche in relazione
alla confisca prevista dall’art. 322 ter c.p., si dovrebbe logicamente
ritenere che la suddetta misura non potrebbe che essere applicata solo
nei confronti degli indagati che abbiano l’effettiva disponibilità del prezzo
e/o profitto del reato, proprio perché, una volta confiscato prezzo e/o
profitto del reato (o, comunque, l’equivalente ove il prezzo o il profitto
non sia rinvenibile), automaticamente verrebbe meno «la possibilità

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La soluzione della questione non può che passare attraverso lo

futura del ripetersi di una attività punibile» venendo troncate, alla
radice, «l’idea e l’attrattiva del reato».
Ad opposta conclusione si perviene, ove, invece, si ritenga che la
confisca di cui all’art. 322 ter c.p. sia una mera sanzione patrimoniale
con funzione, da una parte, di prevenzione e di strumento strategico di

economica e di criminalità organizzata e, dall’altra, di prelievo pubblico a
compensazione di prelievi illeciti. In tale ottica, è consequenziale
ritenere che, quale effetto sanzionatorio del reato, essa può interessare
ciascuno dei concorrenti anche per l’intera entità del prezzo o profitto
accertato, salvo ovviamente l’eventuale riparto del relativo onere nei
rapporti interni tra i vari concorrenti, che, però, in quanto fatto interno
tra concorrenti, non può ovviamente interessare l’ottica penale:

in

terminis Cass. 15445/2004 cit.
Innanzitutto, va rilevato che la trasposizione meccanica della citata
giurisprudenza formatasi in relazione all’art. 240 c.p., non è corretta per
la semplice ragione che la confisca è un istituto di natura polivalente la
cui natura giuridica va rinvenuta, di volta in volta, attraverso l’analisi dei
testi normativi che la prevedono (Corte Cost. n° 29/1961 – n°
46/1964).
E, proprio in aderenza al suddetto principio, deve osservarsi che
diversi sono i riscontri testuali e sistematici che fanno propendere per la
tesi qui accolta.
L’art. 322 ter, secondo comma, seconda parte, stabilisce che, nel
caso di condanna per il reato di cui all’art. 321 c.p., nei confronti del
corruttore, è ordinata la confisca per equivalente «di beni di cui il reo ha
la disponibilità, per un valore corrispondente a quello di detto profitto e,
comunque, non inferiore a quello del denaro o delle altre utilità date o
promesse […]»: il che significa che la confisca, per il corruttore, ha
natura afflittiva e sanzionatoria proprio perché, essendo parametrata al
«valore comunque, non inferiore a quello del denaro o delle altre utilità
date o promesse», prescinde dall’utile ricavato dalla corruzione che, in
ipotesi, potrebbe essere anche inferiore.

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politica criminale, inteso a contrastare fenomeni sistemici di criminalità

E’ stato, poi, fatto rilevare che, a far velo ad una configurazione
della confisca per equivalente nel panorama delle pene propriamente
intese, concorrono due rilievi: «Anzitutto, presupposto imprescindibile
per l’applicazione della confisca per equivalente è che nella “sfera
giuridico – patrimoniale” della persona indagata per uno dei reati in

per una qualsivoglia ragione, il prezzo o il profitto del reato per cui si
proceda, ma di cui sia ovviamente certa l’esistenza”. Ne deriva, quindi,
che, operando la confisca – ed il sequestro – per equivalente soltanto
nella ipotesi di impossibilità di applicare la ordinaria misura della
confisca del profitto o del prezzo del reato, quale istituto
sostanzialmente surrogatorio di quest’ultimo, non può certo presupporsi
una sorta di novatio della misura, tale da trasformare il provvedimento
ablatorio in una vera e propria pena patrimoniale. È del tutto evidente,
infatti, che risulterebbe a dir poco eccentrica rispetto al sistema ed alla
stessa tavola dei valori costituzionali, la possibilità di far discendere
l’applicazione di una pena dalla semplice e casuale eventualità
rappresentata dalla impossibilità di rinvenire – e conseguentemente
aggredire – il profitto o il prezzo del reato. Per altro verso, ove il
legislatore avesse davvero inteso imprimere alla confisca per
equivalente le stigmate della sanzione criminale, non si spiegherebbe la
previsione della irretroattività sancita dal richiamato L. n. 300 del 2000,
art. 15, bastando a tal fine il generale precetto sancito dall’art. 25,
comma 2, della Carta Fondamentale»: Cass. 30729/2006 cit.
I suddetti rilievi, consentono, quindi, di ritenere che la confisca
prevista nell’art. 322 ter c.p. non possa essere qualificata come una
misura di sicurezza ma come una forma di prelievo pubblico a
compensazione di prelievi illeciti e, quindi, come una misura
sanzionatoria ed afflittiva che, in quanto tale, giustifica il sequestro (e la
successiva confisca) per equivalente del prezzo o profitto del reato
(nella specie truffa) anche nei soli confronti di alcuni dei concorrenti nel
reato, ferma la ripartizione interna.
La suddetta conclusione, trova, poi, un’ulteriore giustificazione, a
livello dogmatico, ove si osservi che, per la teoria monistica, cui è,

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ordine ai quali la misura stesa è applicabile, non sia stato “rinvenuto,

notoriamente, ispirata la disciplina del concorso di persone nel reato,
ciascun concorrente, la cui attività si sia inserita con efficienza causale
nel determinismo produttivo dell’evento, risponde anche degli atti posti
in essere dagli altri compartecipi e dell’evento delittuoso nella sua
globalità, che viene considerato come l’effetto dell’azione combinata di

azione delittuosa e dell’effetto conseguente in capo a ciascun
concorrente, quale che sia l’entità del contributo prestato, comporta
anche solidarietà nella pena, nel senso che, a norma dell’art. 110 c.p.,
ciascuno risponde della pena stabilita per il reato, salve le disposizioni di
legge volte a graduare la sanzione penale a seconda della valenza che
ciascuna partecipazione assume nel contesto generale del concorso,
sulla base dei parametri normativi di cui agli art. 112 e 114 c.p.: in
terminis Cass. 15445/2004 cit.
La suddetta tesi è stata ormai recepita dalla più recente
giurisprudenza di questa Corte (Cass. 21222/2013 Rv. 256545; Cass.
28264/2013 Rv. 255610; Cass. 13562/2012 Rv. 253581; Cass.
8740/2012 Rv. 254526; Cass. 13277/2011 Rv. 249839), sicchè non si
ravvisa l’opportunità di rimettere la questione alle SSUU, tanto più ove
si consideri, da una parte, che gli argomenti dedotti dal ricorrente a
sostegno della tesi contraria sono più che altro fondati su ragioni fattuali
e di mera opportunità (cfr pag 4 ss del ricorso), dall’altra, che le SSUU,
con la sentenza n. 26654/2008 Rv. 239926 hanno già fatto proprio il
principio solidaristico, avendo statuto che «In tema di responsabilità da
reato degli enti, nel caso di illecito plurisoggettivo deve applicarsi il
principio solidaristico che implica l’imputazione dell’intera azione e
dell’effetto conseguente in capo a ciascun concorrente e pertanto, una
volta perduta l’individualità storica del profitto illecito, la sua confisca e
il sequestro preventivo ad essa finalizzato possono interessare
indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l’intera entità del
profitto accertato, ma l’espropriazione non può essere duplicata o
comunque eccedere nel “quantum” l’ammontare complessivo dello
stesso»

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tutti. Questo principio solidaristico, che implica l’imputazione dell’intera

La censura, pertanto, va disattesa, alla stregua del seguente
principio di diritto: «è legittimo il sequestro preventivo, funzionale alla
confisca di cui all’art. 322 – ter cod. pen., eseguito in danno di un
concorrente del reato di cui all’art. 640 bis cod. pen., per l’intero
importo relativo al prezzo o profitto dello stesso reato, nonostante le

coindagati, in quanto, da un lato, il principio solidaristico, che informa la
disciplina del concorso di persone nel reato, implica l’imputazione
dell’intera azione delittuosa e dell’effetto conseguente in capo a ciascun
concorrente e comporta solidarietà nella pena; dall’altro, la confisca per
equivalente riveste preminente carattere sanzionatorio e può interessare
ciascuno dei concorrenti anche per l’intera entità del prezzo o profitto
accertato, salvo l’eventuale riparto tra i medesimi concorrenti che
costituisce fatto interno a questi ultimi e che non ha alcun rilievo
penale».
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
RIGETTA
il ricorso e
CONDANNA
il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Roma 09/01/2014
IL PRE DENTE
(Dott. Anto
IL CONSIGLIE
(Dott. G. Rag

sposito)

somme illecite siano state incamerate in tutto o in parte da altri

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